venerdì 9 febbraio 2024

Il cappio differenziato nella sanità - Ivan Cavicchi

 (ripreso da www.lavoroesalute.org)

Il più bravo è chi sbaglia di meno

Si dice che, in politica, ma io penso anche nella vita, in generale il più bravo non è chi non sbaglia mai ma è chi sbaglia di meno. I teorici del fallibilismo, prima ancora di Popper, di sicuro Peirce, dicono che siccome ci sono dei limiti umani non sbagliare mai è praticamente impossibile .

Questo governo di destra di limiti come si è visto già dalle sue prime decisioni politiche ne ha davvero tanti il che vuol dire che in teoria la sinistra dovrebbe facilmente sconfiggere la destra. Ma “in teoria” vuol dire che non è così scontato come si pensa. Per sconfiggere la destra la sinistra deve essere politicamente capace di farlo cioè, se vale la teoria fallibilista, essa deve a parte essere combattiva, avere meno limiti della destra. Cioè fare meno errori.

Essere politicamente più capaci della destra. Sono i tanti limiti della sinistra che protraendosi per decenni hanno fatto vincere la destra.

La destra che diversamente da noi è una forza conservatrice non ha vinto perché ha un programma politico più convincente ma perché il programma politico della sinistra ha smesso da anni di essere convincente. Infatti oggi la sinistra a limiti non è meno a nessuno. Quindi la battaglia dei limiti è aperta.

Una occasione politica

Secondo me il premierato e il regionalismo differenziato sono occasioni politiche di straordinaria importanza per vincere in prospettiva le destre. Entrambi sono controriforme alla Costituzione cioè entrambi sono sostanziali lesioni alla nostra idea di Sato. Entrambi sono contraddizioni del “secondo ordine” cioè un mucchio di contraddizioni. Entrambi per la sinistra le contraddizioni della destra sono limiti della destra da superare con nuove capacità.

Cominciamo con il dire che per l’orientamento fallibilista in generale le scelte soprattutto della politica non dovrebbero mai essere considerate dogmatiche ma esattamente il contrario. Quindi scelte non solo rivedibili ed emendabili ma che a priori dovrebbero essere considerate scelte “quasi vere” e “quasi giuste”

. Dove il “quasi” significa che ogni scelta politica ha uno scarto quindi un grado di discordanza da mettere in conto .

Il regionalismo differenziato

Il governo di destra in ragione dei suoi equilibri interni considera il regionalismo differenziato proposto dalla lega una scelta politica non “quasi vera”, quindi da prendere a priori con le molle, ma perentoria e definitiva , quindi prescrittiva cioè assolutamente giusta. Perché prima di ogni cosa essa è una scelta necessaria per la tenuta del governo ma non per la crescita del paese. Quindi per il governo essa è una scelta strumentale alla propria sopravvivenza.

Questa non è una contraddizione di poco conto perché il regionalismo differenziato anche se è necessario a questo governo per stare in piedi, non coincide in nessun modo con ciò che è necessario al paese per crescere ed evolversi. Questo vuol dire che Il governo con la legge sul regionalismo differenziato entra di fatto in contraddizione con i bisogni e i problemi del paese .

Se non si fermerà il regionalismo differenziato, il paese pagherà un prezzo sociale davvero salato.

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E’ una legge che nei confronti degli ordinamenti giuridici del nostro paese è senz’altro eversiva, perché: fa saltare degli importanti assetti costituzionali,

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fa saltare la cultura dell’universalismo quindi fortemente regressiva cioè ingiusta

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afferma le intenzioni secessioniste della lega mettendo in discussione l’unità dello Stato

ci rende rispetto all’Europa eticamente regressivi più che mai.

E’ una legge deliberatamente contro una certa concezione dello Stato quella descritto dalla nostra costituzione e contro i diritti universali delle persone. Quindi davvero una gran brutta legge.

Grande contraddizione e grande occasione politica

Proprio perché è una gran brutta legge essa rispetto al governo Meloni, se la sinistra non facesse errori e facesse la sinistra, dovrebbe essere una gran brutta spina nel fianco, un tormentone , cioè un enorme punto vulnerabile . E’ una legge oggettivamente problematica molto divisiva secessionista in modo sfacciato.

Una legge quindi, tornando al fallibilismo politico che,per la prima volta, a questo governo, potrebbe porre un serio problema di consenso elettorale.

Il regionalismo differenziato per questo governo è nei fatti, da un punto di vista strettamente politico, un grave sbaglio politico forse il suo primo vero sbaglio cioè il più politicamente significativo fatto sino ad ora dalla destra

Questo secondo me è il suo vero punto debole.

Le ragioni dell’alleanza politica tra le destre che compongono il governo non sono in grado di compensare gli enormi svantaggi politici che il paese sarà chiamato a pagare a causa del regionalismo differenziato.

Su questa grande asimmetria la sinistra dovrà lavorare per colpire al cuore la credibilità delle destre

Con questa legge il paese perde di fatto l’art 32 della Costituzione che è la base sulla quale poggia la nostra sanità pubblica universale e solidale. Perde una idea di Stato universale accettando di frantumare il concetto di Repubblica in tanti saterelli.

Cambia l’idea di repubblica per cambiare il presupposto che rende possibile una certa idea di diritto fondamentale

Il governo Meloni per colpa del regionalismo differenziato dovrebbe pagare un prezzo di credibilità sociale molto alto che la sinistra dovrebbe essere capace di esigere. Dovrebbe… perché se la sinistra è farlocca e non è da escludere che lo sia ( di palingenesi sino ad ora non se ne sono viste) cioè non è sinistra la destra vincerà la sua battaglia anti-costituzionale.

Decidere una strategia unitaria della sinistra

Il primo problema che ha la sinistra è decidere una strategia unitaria. Il che da quello che si vede purtroppo non è per niente scontato. La sinistra per opporsi alla legge Calderoli aveva puntato le sue carte su una proposta di legge di iniziativa popolare che aveva presentato regolarmente in parlamento pensando di usare questa legge per mettere fuori gioco la proposta Calderoli

Ma le cose sono andate diversamente. Non abbiamo fatto i conti tenendo conto dell’oste e questo non è un errore da poco. La nostra proposta di legge non è passata si è fermata in commissione ma diciamoci la verità, considerando i rapporti di forza in parlamento e considerando la scarsa mobilitazione sociale di cui parla anche Villone sul manifesto, essa non sarebbe potuta passare.

C’è da chiedersi chi ce l’ha fatto fare a sprecare tante energie politiche per mettere in pista un corridore tanto claudicante senza alcuna possibilità di arrivare al traguardo. Oggi in parlamento passerà la controriforma senza che si sia riusciti a modificare nulla di sostanziale.

Quindi oggi per forza di cose per fermare la legge Calderoli si dovrà organizzare da subito uno scontro referendario attraverso il quale spiegare al popolo che il regionalismo differenziato è per il paese una proposta esiziale cioè è una proposta che potrebbe provocare al paese un danno irreparabile, rovinoso in grado di pregiudicare irrimediabilmente la salute delle singole persone e delle comunità quindi un danno mortale.

Questo significa che da subito su questa legge la sinistra unita dovrebbe mettere in piedi una campagna nazionale di informazione e di controinformazione.

Ci vuol subito una campagna di informazione

In questa campagna di informazione e di contro- informazione dovremmo spiegare alla gente il perché serve un referendum spiegando il tentativo inaccettabile di contro-riformare la Costituzione senza rispettare le procedure previste per questo scopo proprio dalla Costituzione.

Il danno politico al paese è preceduto e annunciato dalla scorrettezza procedurale della destra che non esita per scopi contro-riformatori a giocare sporco.

E’ la principale ragione apparentemente formale per la quale è giusto e necessario chiedere il referendum. La proposta di legge del regionalismo differenziato è considerata da questa maggioranza una proposta di legge ordinaria quando nella sostanza ordinaria non lo è e non può esserlo.

Cosa c’è di ordinario in una legge che cambia radicalmente sul diritto alla salute l’organizzazione della repubblica?

Bisogna ricordare che i costituenti. per cambiare la costituzione hanno previsto degli strumenti ad hoc e delle procedure parlamentari particolari . Si tratta della legge costituzionale e di revisione costituzionale. La prima ha una funzione integrativa del testo originario, mentre la seconda opera una modifica alla carta fondamentale.

Ma queste procedure particolari anche se con la Calderoli si cambia radicalmente la Costituzione sono ignorate. La proposta Calderoli è considerata formalmente una legge ordinaria quando di fatto non lo è.

Il porcellum 2

Il punto politico è che il colpo di mano è direttamente il governo Meloni in barba ai vincoli costituzionali a proporcelo.

E’ il governo che gioca sporco . E’ il governo che non rispetta i vincoli costituzionali. E’ il governo che è fuori dalle regole.

Il regionalismo differenziato per la sanità e per la scuola e per altre materie implica una modifica della costituzione di grandissima rilevanza politica che andrebbe a modificare in maniera significativa il nostro sistema istituzionale attuale.

La secessione regionalistica della sanità è la fine dell’art 32 e del SSN definito con la riforma del 78.Lo

stesso discorso vale per la scuola. Un cambiamento così rilevante necessiterebbe di un ampio consenso, sia nelle aule parlamentari che nel paese. Per cui il referendum per noi di sinistra dovrebbe essere irrinunciabile

La carta della legittimità costituzionale

Una importante occasione potrebbe essere rappresentata dall’art 127 della costituzione cioè giocare la carta della legittimità costituzionale:

“La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale [cfr. artt. 134, 136 ] entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge”

Ma anche in questo caso è necessario soppesare bene le obiezioni da sollevare presso la corte costituzionale

. In fin dei conti si tratta per le regioni di ricusare certo una sostanziale secessione ma che alle regioni comunque comporta una crescita dei propri poteri di intervento.

Ad oggi risulta che in particolare alcune regioni del sud ( La Campania per esempio) intendono avvalersi di questo articolo.

Io penso che con le regioni del sud ma non solo sia necessario mettere in piedi una forte iniziativa politica. Sono regioni che andrebbero dalla sinistra fortemente sostenute. Credo anche che il sud simbolicamente debba divenire l’epicentro politico della battaglia politica contro il porcellum n°2.

La marginalizzazione del parlamento

Il colpo di mano del governo Meloni non solo vuole trattare le modifiche costituzionali con delle leggi ordinarie ma nello stesso tempo vuole ridurre al minimo il ruolo del Parlamento al fine strumentale di amplificare al massimo in senso secessionista quello delle Regioni.

Nella proposta Calderoli di fatto la scelta politica che si è voluto fare è quella di non chiedere al Parlamento un atto di interpretazione o di reinterpretazione del titolo V ma di dare per scontato che l’atto di indirizzo per modificare la Costituzione già esiste ed è quello definito con la contro-riforma del titolo V del 2001.

Ridurre al minimo il ruolo del parlamento è funzionale all’ampliamento massino di quello delle regioni e all’enfatizzazione delle intese tra regioni e governo che il parlamento si dovrà limitarsi a ratificare.

Questo apre un enorme problema: in questo modo si rinuncia alla possibilità di mediare ad esempio sul numero e sul genere di materie da “secedere” e di definire le materie che per la loro natura chiaramene nazionale dovrebbero essere considerate indevolvibili.

Sanità e scuola ma anche contrattazione nazionale ed anche altre materie se si mantiene la concezione di Stato prevista nella Costituzione dovrebbero essere considerate materie indevolvibili, perché la loro devoluzione implicherebbe la distruzione di interi e complessi sistemi nazionali appesantendo il paese con un inutile carico di diseguaglianze e di discriminazioni.

Cambiare il titolo V controriformato dalla sinistra

Ma per decidere una riduzione delle materie da “secedere” servirebbe cambiare il titolo quinto e precisamente l’art 117. Oggi le regioni a causa della controriforma al titolo V che ricordo fu decisa dal centro sinistra nel 2001, possono chiedere la secessione di tutte le materie che vogliono E questa è una follia.

Bisogna inoltre ricordare che, in seguito soprattutto alle controriforme decise dal centro sinistra per la sanità negli anni 90 durante il periodo dell’Ulivo, per la sanità è stata già adottata una semi secessione nel senso che molti suoi poteri sono stati traferiti dallo stato centrale alle regioni Oggi la sanità di fatto è oggetto della legislazione concorrente cioè essa è di competenza sia statale che regionale. Allo Stato di fatto sono rimaste solo delle competenze formali come la definizione dei Lea (livelli essenziali di assistenza) ma nulla di più Alle regioni già è passato il grosso delle questioni.

Rispetto a questa situazione di fatto la proposta Calderoli sta creando le condizioni in virtù delle quali emarginare il più possibile il parlamento e mettere al centro le intese tra governo e regioni e i famosi DPCM.

Detto con altre parole: secondo la proposta Calderoli le intese tra regioni e governo decidono di fatto le variazioni alla costituzione. In questo modo alla fine sono le regioni e non più la Costituzione che decidono sui diritti fondamentali delle persone. Questo è lo spirito della secessione leghista.

Prove di secessionismo

La proposta Calderoli oggi in via di approvazione al parlamento di fatto non è niente altro che una estensione di una sorta di secessione iniziata con la legge 502 del1992 con la quale si fa fuori il comune si introduce l’azienda e si rafforzano i nuovi poteri delle regioni e con la legge 229 del 1992, la famosa legge ter della legge Bindi con la quale si sono spalancate le porte al privato mettendo fine di fatto alla nazionalizzazione della sanità definita con la riforma del 78 e che culminerà, al tempo di D’Alema, nel 2001, con la controriforma del tutolo V proprio della Costituzione.

Il regionalismo differenziato dobbiamo dire è stato ampiamente anticipato dalle controriforme decise dissennatamente dalla sinistra e meraviglia l’assenza più totale di autocritica da parte di quella sinistra che ha fatto questo capolavoro. Mi riferisco ovviamente al PD. Ma senza autocritica come si fa a convincere la gente che il regionalismo differenziato è il porcellum n° 2?

Dal diritto fondamentale al diritto potestativo

Oggi grazie alle contro-riforme volute dalla sinistra di governo, e che oggi hanno provveduto a spianare la strada a Calderoli il diritto fondamentale alla salute (art 32) è già stato messo ampiamente in discussione nel senso che è diventato suo malgrado di fatto un “diritto potestativo” perché di fatto oggi esso dipende dalle risorse assegnate alle regioni e dalle politiche compatibiliste decise dalle aziende in attesa di diventare nella prospettiva Calderoli sempre più dipendente quindi sempre più potestativo dal pil regionale prodotto localmente.

Alla fine l’idea del regionalismo differenziato è di differenziare il diritto universale alla salute in tanti diritti potestativi regionali cioè di sancire regione per regione tanti diritti resi diversi da’ diversi pil regionali.

A questo si deve aggiungere il sovraprezzo del neoliberismo la cui responsabilità politica ricade totalmente sul PD che concede la più ampia libertà proprio a livello regionale creando spazio a quello che, anche a sinistra, è stato salutato come il sistema multi-pilastro cioè un mosaico di soluzioni assistenziali nel quale la parte pubblica sarà sempre più marginale.

Come dimenticare che fu il PD e più esattamente Letta a dare il nulla osta al sistema multi-pilastro.

La questione dei residui fiscali

Ma a parte queste vistose contraddizioni procedurali che fanno passare per ordinario ciò che ordinario non è, vi sono nel porcellum 2 fatto proprio dal governo Meloni, delle aporie politiche che nel momento in cui faremo la battaglia referendaria per abolire il disegno secessionista della lega bisognerà aver molto chiare.

La prima riguarda i così detti “Residui fiscali” che a mio avviso nascondono un clamoroso inganno a danno di tutta la popolazione del paese.

Molti sono convinti che la questione dei residui fiscali sia stata accantonata. Io mi permetto di dubitarne e su questo argomento di essere scettico anzi di invitare tutti alla massima allerta.

Rammento che per “residui fiscali” si intende la differenza tra tutte le entrate fiscali pubblicamente

riscosse in un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese.

Se i residui fiscali come ha detto il ministro Calderoli non sono all’ordine del giorno, allora perché nei pre accordi fatti dalle regioni si propone di finanziare le regioni in due fasi:

la prima secondo la spesa storica

la seconda attraverso criteri proporzionali alla ricchezza locale prodotta?

Ricordo che il termine residuo fiscale è di Buchanan, premio Nobel per l’economia nel 1986 che se ne servì per trovare una giustificazione di tipo etico ai trasferimenti di risorse dagli stati più ricchi a quelli meno ricchi.

Con il regionalismo differenziato si vuole invertire l’idea di Buchanan cioè si vogliono trattenere nelle regioni più ricche le risorse in esse prodotte e alle regioni povere assicurare la carità quello che nella legge Calderoli si chiama il “fondo di perequazione”.

La vera ragione per la quale la lega vuole la secessione prima di essere politica è senza dubbio economica e guarda caso riguarda proprio la questione dei residui fiscali. E’ sufficiente consultare il policy paper fatto dalla Lombardia nel 2014 per capire che il problema sono proprio i residui fiscali.

Cioè il nord vuol tenersi in casa la ricchezza economica prodotta nei propri territori e non vuole darla ad altri. Cioè non vuole essere solidale con nessun altro e non vuole dipendere dai finanziamenti cronicamente scarsi dello Stato centrale. Al nord non interessa in nessun modo sulla sanità essere solidale con il sud. Al nord conviene aver un sud senza diritti perché esso per curarsi è costretto a spendere le proprie risorse negli ospedali del nord. Al nord conviene non l’autonomia regionale che già c’è ma l’autarchia e a partire proprio dagli enti locali e dalle regioni.

La fine dell’universalismo

Le ragioni dei residui fiscali che sembrano secondo Calderoli falsi problemi rispetto alla sanità pubblica in realtà sono la negazione di fatto di due valori complementari l’universalismo e la solidarietà. Ma nel momento in cui si afferma la fine dell’ universalismo e la fine della solidarietà è come se con una legge ordinaria si ammazzasse l’art 32 della costituzione cioè è come se si ammazzasse la salute come diritto fondamentale della persona.

Se è il reddito prodotto localmente in una regione a determinare i diritti allora tutte le regioni che hanno un basso reddito locale avranno meno diritti. Ma estendendo il concetto se dal pil si passa al reddito personale degli individui alla fine con questa teoria il valore del reddito sostituisce il valore del diritto. Cioè si cancella l’art 32 e come in un periplo si torna esattamente dal punto in cui siamo partiti più di mezzo secolo fa. Cioè quando non c’erano i diritti.

Non mi pare che si stia partendo da zero

Ribadisco: il regionalismo differenziato è tale proprio perché si vuole sul piano pubblico differenziare l’accesso dei diritti in base al reddito prodotto localmente da una regione e sul piano privato differenziare l’ accesso alle prestazioni attraverso i fondi privati quindi i redditi delle persone.

Vorrei far notare che decidere che la salute sia una funzione del reddito e non funzione del diritto è già una prassi , infatti a partire dalla controriforma della Bindi del 1999 , cioè dopo aver sdoganato il ruolo del privato nei confronti del pubblico e dopo aver introdotto la sanità sostitutiva al posto di quella integrativa e subito dopo spalancato le porte al welfare aziendale e ai fondi , di fatto abbiamo cambiato per milioni di persone il referente della salute cioè dal diritto siamo passati al reddito.

Si deve sapere che oggi è prevista la possibilità di esentare il cittadino che è iscritto a un fondo sanitario dall’obbligo di contribuire in modo solidale al finanziamento del SSN.

Infatti chi per avere un’assistenza privata versa dei contributi oggi ha la possibilità di beneficiare dell’esenzione del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi) sul contributo versato al Fondo sanitario sia per che per i propri familiari (art. 51, comma 2).E questa robaccia che non certo rafforza l’art 32 nasce in casa della sinistra non della destra. Non si può vincere un referendum contro il regionalismo differenziato se prima non si fa pulizia dei tanti errori

(eufemismo) fatti dalla sinistra di governo.

La questione dei lep e dei costi standard

La seconda grande aporia che desidero evidenziare dopo quella dei residui fiscali riguarda i lep. Sul manifesto al prof Cassese che crede che i lep siano una garanzia di universalismo ho fatto notare che questa è una fallacia.

I lea fatti per la sanità nel ‘92 con le aziende non hanno impedito la crescita delle diseguaglianze e meno che mai hanno inciso sul fenomeno della mobilità regionale. Cioè il prof Cassese deve sapere che l’universalismo formale dei lea non garantisce in alcun modo l’universalismo sostanziale . L’universalismo sostanziale è garantito solo se ci sono strutture adeguate e operatori adeguati in tutte le regioni, quindi una metodologia adeguata e infine risorse adeguate.

Se ci si limita come crede il prof Cassese e la Meloni a definire i lep senza garantire le condizioni di equità strutturale e sovrastrutturale del sistema dei servizi si buca l’obiettivo.

A contraddire il falso universalismo dei lep vi è il sempre più crescente mix pubblico/privato di cui nessuno parla ma che alla fine si rivela decisivo a cambiare le prestazioni da regione a regione.

Nella letteratura nazionale e internazionale come ho ricordato anche di recente abbiamo evidenze che ci dicono che a parità di lea la mortalità è più alta nella sanità privata e che è più bassa in quella pubblica. Le prestazioni descritte nominalmente nei lep o nei lea ribadisco con forza, sono uguali solo formalmente, ma tutti sanno che quelle del privato sono diverse da quelle del pubblico. Ma se il privato continua a crescere le diseguaglianze anche continueranno a crescere. A rendere diverse le prestazioni è il loro scopo e i modi che si usano per conseguirli. Se il loro scopo è il rispetto del diritto le prestazioni saranno di un tipo se invece lo scopo è il profitto le stesse prestazioni saranno di un altro tipo. Se le prestazioni anche tecnicamente le garantisce il privato saranno una cosa se le prestazioni le garantisce il pubblico saranno diverse.

I costi standard

Vorrei ricordare che alla base della proposta di regionalismo differenziato vi è la teoria di finanziare la sanità definendo dei costi standard. I lep sono funzionali a garantire la possibilità di finanziare le regioni con i costi standard.

I costi standard nascono dalla contabilità industriale e si basano sulla possibilità di analizzare con precisione tutti i costi che partecipano al processo produttivo e i vari scostamenti tra i costi teorici i costi reali. Se per chi fabbrica bulloni questo è del tutto possibile, in sanità no nel senso che solo una parte dei costi delle attività sanitarie si potrebbero standardizzare. La maggior parte dei costi clinici in sanità cioè quelli riconducibile ai trattamenti di cura dei malati non sono standardizzabili semplicemente perché la cura, a fronte della complessità clinica del malato non è standardizzabile. In clinica c’è il problema della singolarità e della complessità.

Vorrei anche ricordare che l’unico tentativo di adottare i costi standard fu fatto in occasione del riparto del fondo sanitario 2013 Il risultato fu un flop clamoroso tanto da indurre le regioni a ritornare ai vecchi criteri della spesa storica pro-capite.

Standardizzare la malattia forse è possibile ma standardizzare i malati è una vera stupidaggine

Oggi il nord leghista parla di costi standard anche se la standardizzazione in sanità è assenta per buona parte del sistema dei servizi in particolare per quelli territoriali e per aree assistenziali nevralgiche si pensi alla salute mentale alla prevenzione alle dipendenze alla medicina generale ecc ecc .

Ma bisogna fare attenzione a non confondere i lea con i lep. Non sono la stessa cosa La legge che nel 1992 ha istituito i Lea parla di “livelli di attività di servizi e di prestazioni”, i Lep, invece, sono solo “prestazioni” intendendo per prestazione un singolo e specifico atto clinico-assistenziale, di natura diagnostica e/o terapeutica. I Lea in sanità sino ad ora sono stati definiti come macro aggregati di attività servizi e prestazioni cioè insiemi e suddivisi in tre grandi gruppi (salute pubblica, assistenza distrettuale, assistenza ospedaliera). In pratica nella proposta di regionalismo differenziato con i Lep l’intenzione sembra essere quella di ridurre il concetto di tutela facendo coincidere il bisogno di cura con la prestazione tecnica tout court. Cioè si passa dai macro-aggregati di più prestazioni alle singole prestazioni. Gli insiemi prestazionali diventano singole mansioni professionali.

L’idea folle per chi non conosce le complessità della clinica è quella di costruire costi standard quantificando i costi di ogni singola prestazione clinica Esattamente come si usa nei prontuari delle assicurazioni e nelle fabbriche manifatturiere.

Questa è la strada giusta da intraprendere proprio per ammazzare il diritto alle cure adeguate e nello stesso tempo tornare alla malattia negando il malato come soggetto Se restiamo nella logica delle prestazioni si resta in quella della malattia rinunciando a quella ben più adeguata del malato, cioè rinunciando a confrontarci con le complessità di questo tempo.

I lep per i malati sono una vera fregatura storica perché essi del malato delle sue complessità delle sue singolarità dei suoi bisogni reali non interessa niente.

L’antinomia destra/sinistra

Ho visto che soprattutto la lega alla notizia dell’avvenuto passaggio al senato della legge sul regionalismo differenziato ha brindato compiaciuta parlato di passaggio storico.

In effetti la controriforma Calderoli è indubbiamente un passaggio storico perché è un cambio del dettato costituzionale ma credo che questo passaggio tanto per la lega che per il governo di destra, sia più problematico e insidioso di quello che costoro pensano.

Molto dipenderà da quello che farà la sinistra.

Si è vero come ho descritto nel mio ultimo libro Sanità pubblica Addio che le cose per l’art 32 e per il SSN stanno andando molto male, nello stesso tempo non credo che la maggior parte dei cittadini del nostro paese siano disposti a rinunciare all’art 32 della Costituzione e a una sanità pubblica universale . Ripeto dipende da quello che farà la sinistra.

L’approvazione del regionalismo differenziato da parte del senato ha aperto una fase nuova cioè ha reso evidente la grande antinomia che esiste in questo tempo storico tra destre e sinistre.

Oggi questa antinomia a certe condizioni è un vantaggio politico importante per le sinistre. E’ l’occasione importante per vincere le destre sul terreno proprio dei diritti.

Essere di sinistra e diventare di sinistra

Ma è del tutto ovvio che non basta “essere” di sinistra per vincere questa battaglia.

Oggi semmai proprio rispetto alle esperienze di governo sulla sanità della sinistra bisognerebbe “diventare” di sinistra. Cioè oggi dovremmo liberarci delle contaminazioni neoliberiste e leghiste nello stesso tempo dobbiamo spingere in avanti e in modo innovativo e moderno il nostro antico progetto di riforma della sanità quello che io oggi chiamo “Quarta riforma” ma con lo scopo di sviluppare in modo estensivo l’art 32 non già di negarlo.

Per dare le gambe all’art 32 oggi abbiamo bisogno di un pensiero di riforma che purtroppo ancora non c’è. Tutto quello che abbiamo fatto in questo ultimo mezzo secolo più nel male che nel bene sono prolegomeni di un pensiero contro-riformatore che dobbiamo ripensare Quando io parlo pensando alla riforma della sanità fatta nel 1978 di “mezza riforma” ho ben chiaro che l’altra mezza riforma che ci serve per davvero è ancora tutta da fare. Si tratta di rimettere a posto il rapporto pubblico/privato, di superare le aziende e di sostituirle con forme partecipate di gestione, si tratta di ricostruire gli equilibri tra salute e cura, di riformare lo stato giuridico degli operatori, di reinventare gli ospedali e un sacco di altre cose. Ma cambiare il mondo della sanità non è esattamente una passeggiata.

Migliorare o peggiorare il mondo

La differenza a proposito di sanità tra essere di sinistra e diventare di sinistra è la differenza che esiste tra una sinistra che con le sue idee migliora il mondo riformandolo e una sinistra che senza idee o peggio con le idee sbagliate finisce con il peggiorarlo.

Quindi la differenza è tra una “sinistra transitiva” il cui pensiero di riforma si espande sulla sanità cambiandolo a beneficio di tutti e una “sinistra intransitiva” che fino ad oggi ha pensato di trovare soluzioni persine nel neoliberismo accettando una idea di sostenibilità tutta subalterna all’ideologia della compatibilità aziendale.

Presto ci dovremo mobilitare e quindi ci bobbiamo organizzare come schieramento unitario per organizzare il referendum contro il regionalismo differenziato e sostenere le regioni che porranno la questione di legittimità costituzionale e che decideranno di ricorrere all’art 127.

In vista di questo appuntamento è necessario chiarire bene molto bene il nostro progetto politico di sanità cioè definire bene la nostra piattaforma cioè definirla con idee e con coraggio altrimenti lo scontro con la destra rischiamo di perderlo con effetti devastanti .

Oggi come sinistra non possiamo più rifare gli errori fatti dalla sinistra in questi anni. Cioè dobbiamo davvero sbagliare di meno. O si cambia per davvero cioè e quindi si è per davvero di sinistra o la partita è persa.

da qui

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