« Réponses a votre questionnaire pour le
quotidien communiste italien il Manifesto ». Questa l’intestazione (carta con
il timbro «Présidence du Faso, Presse présidentielle» delle risposte inviateci
dal capitano Sankara alle nostre domande. Dopo l’assassinio del presidente,
questo testo ha un eccezionale valore documentario su un’esperienza politica e
di governo tra le più originali e su un paese tra i più dimenticati.
Capitano
Sankara, la rivoluzione ha già quattro anni. I risultati finora conseguiti
corrispondono alle sue attese?
In parte si. Non si è mai soddisfatti
abbastanza dei risultati che si ottengono quando si è alla guida di un paese
economicamente arretrato, dominato e sfruttato per decine d’anni dal saccheggio
imperialista.
In
quale campo si sono avuti i risultati più significativi?
Sul piano politico e sociale abbiamo
favorito la presa di coscienza delle masse popolari che oggi sanno quali torti
subivamo come popolo dai regimi reazionari. Esse, infatti, venivano tenute
nell’oscurantismo e nell’ignoranza, lontane da ogni potere decisionale. Oggi il
popolo, mobilitato attraverso gli organismi popolari dei Comitati di difesa
della rivoluzione partecipa alla vita politica, economica, culturale e sociale.
E’ questo per noi un risultato importante e significativo.
Qualcuno
pensa che il tempo giochi contro la rivoluzione, perché il fallimento degli
obiettivi provocherebbe smobilitazione e pericolosi meccanismi di autoconservazione.
In questo senso, quali sono secondo lei i ritardi e le difficoltà più
importanti da superare per rilanciare il dinamismo del processo in corso?
Chi pensa che il tempo gioca contro la
rivoluzione ha torto. Per noi, le basi sono ormai gettate a tutti i livelli
della vita del paese e le masse hanno capito che la rivoluzione va nel senso
dei loro interessi. Affrontiamo con impegno le difficoltà che incontriamo in
alcuni settori precisi insieme alle masse, che prodigano i loro suggerimenti
per il continuo rilancio della rivoluzione.
Ci
può precisare il significato e l’impatto della parola d’ordine «Consumiamo
burkinabè»?
La parola d’ordine «consumiamo
burkinabè» vuol dire «produrre e consumare le nostre materie prime» per la
salvaguardia della nostra valuta. Ogni volta che acquistiamo dall’estero un
prodotto che avremmo potuto produrre noi, favoriamo altre industrie, facendo
fruttificare i capitali stranieri a spese dei nostri lavoratori, dei nostri
operai, della nostra economia nazionale. Infine, giacché chiediamo al nostro
popolo di contare sulle proprie forze, bisogna che gli consentiamo di
valorizzare ed apprezzare quello che produce col sudore della propria fronte.
Dare
voce alle masse contadine, democratizzazione dello stato, comprese le forze
armate, lotta serrata al parassitismo e alla corruzione, internazionalismo,
liberazione della donna, sport di massa; è incontestabile che un cambiamento
delle mentalità stia avvenendo in Burkina Faso. In che modo e a quali
condizioni sarà possibile avanzare in egual misura nel campo
dell’autosufficienza alimentare, della sanità, dell’istruzione, delle
infrastrutture, etc.., tenuto conto delle enormi difficoltà oggettive e delle
condizioni generalmente molto dure degli aiuti internazionali?
Stiamo procedendo in tutti i campi al
ritmo delle attuali capacità del nostro popolo. In questo momento siamo vicini
all’obiettivo dell’autosufficienza alimentare poiché privilegiamo le colture di
largo consumo interne a detrimento delle colture più ricche destinate all’esportazione.
Sul piano sanitario, dell’educazione e
delle infrastrutture, l’investimento umano ha permesso concrete realizzazioni.
Ogni villaggio, ogni struttura territoriale ha costruito edifici destinati ad
ambulatori, piccoli dispensari, scuole, magazzini per lo stoccaggio dei
cereali. Lo stato rivoluzionario si è limitato a farsi carico di taluni aspetti
del loro funzionamento. Non aspettiamo a braccïa incrociate l’aiuto
internazionale. Per noi costituisce solo un complemento.
Sennen
Andriamirado (redattore capo di «Jeune Afrique») ha appena scritto un libro
molto utile per la migliore conoscenza del Burkina. M’è parso però
d’incontrarvi una contraddizione. Da una parte lei è definito come una
«speranza» per l’Africa, e non si vede come ci si potrebbe battere diversamente
«in un’Africa dove solo i demoni del potere fanno la legge», coloro che hanno
come «sport favorito la battaglia per il potere e per i soldi, attraverso la
manipolazio-ne dell’opinione pubblica». D’altra parte, lei è trattato come un
idealista.
Non sta a me dire se sono realista o
idealista E’ il popolo del Burkina Faso che ha tutti i titoli per giudicarmi.
Ciascuno definisce queste due nozioni in funzione della sua ideologia, ma io
penso, dal mio punto di vista naturalmente, che bisogna avere un minimo
d’idealismo e di realismo per intraprendere azioni di trasformazione sociale.
Quanto al libro a cui allude, mi dispiace che il suo autore si sia soffermato
cosi a lungo sulla mia persona. Avrebbe dovuto parlare della rivoluzione
burkinabè e aspettare ancora qualche anno per fare l’analisi delle sue forze e
delle sue debolezze.
Cosa
pensa del comportamento dell’opinione pubblica e dell’ «intellighenzia»
africane nei confronti del potere e dei bisogni delle masse più povere?
L’opinione pubblica e l’intellighenzia
africane non costituiscono un blocco omogeneo. Vi si ritrovano purtroppo sia i
nemici che gli amici dei popoli africani. Coloro che hanno scelto di stare
dalla parte delle masse popolari sostengono e difendono concretamente questi
principi ; altri, alleati dell’imperialismo internazionale e dei suoi valletti
locali, pensano solo ai propri egoistici interessi.
Sono
note le ostilità che incontrate in campo internazionale e il fastidio che si
prova in talunï paesi vicini preoccupati del «caso Sankara». Vuole precisarci,
invece, quali sono i vostri nemici interni? Lei pensa che possano trovare delle
basi sociali per destabilizzare il regime?
I nostri nemici interni sono la
borghesia compradora, la borghesia politico-burocratica generata dai regimi che
avevano abdicato agli interessi nazionali, grazie ai quali s’è arricchita
illecitamente e sregolatamente, e le forze retrograde che traggono la loro
potenza dalle strutture tradizionali di tipo feudale. Tutte queste forze sono
state smascherate ed esse hanno ormai una ristretta base nella nostra società.
Si
è dovuti giungere a staccare la corrente elettrica al palazzo del Moro-Naba,
Imperatore dei Mossi nel 1983, per convincerlo a pagare le sue fatture come
ogni altro cittadino burkinabè. Quali sono oggi i rapporti tra il potere
politico e le autorità tradizionali? Più in generale, quali contraddizioni e
quali elementi di continuità ravvisa lei tra la società tradizionale africana
ed il potere popolare?
Non esistono particolari relazioni tra
il potere politico e le autorità tradizionali e, quando esistono, esse sono
antagoniste. Molti capi tradizionali hanno aderito alla Rivoluzione, avendo
capito la marcia irreversibile della storia. Per questa ragione, non ci sono
elementi di continuità tra tali strutture decadenti e il potere popolare.
Lo
scorso 8 maggio lei ha partecipato a Ouagadougou a un incontro con un migliaio
di giovani prostitute ed ha parlato della necessità che esse si organizzino. Il
giorno successivo la radio annunciava il lancio dell’educazione sessuale nelle
scuole.
La prostituzione è un fenomeno sociale
che noi combattiamo perché degrada la donna a rango d’oggetto, la spersonalizza
e costituisce un freno alla piena realizzazione e alla liberazione della donna.
Su questo argomento noi cerchiamo di coniugare gli atti alle parole, ma si
tratta di una lotta di lungo respiro. Ci vuole tempo poiché bisogna educare le
masse e nulla di ciò che tocca la mentalità può essere ottenuto senza la
pazienza.
Il
Burkina Faso è oggi probabilmente all’avanguardia, in Africa, per quanto
riguarda il dibattito sulla liberazione della donna. Vorrei sapere tuttavia se,
secondo le donne dell’Union des Femmes du Burkina (Ufb), esse godono di
sufficiente autonomia nei confronti del quadro politico definito dal Consiglio
Nazionale della Rivoluzione.
Come vuole che l’Ufb goda di autonomia
rispetto al quadro politico definito dal popolo? Non capisco la sua domanda.
L’Ufb è parte integrante della Rivoluzione e costituisce una delle basi del
regime popolare. Qualsiasi potere è solido per la sua coesione e non per il suo
sgretolamento. L’Ufb è una emanazione del nostro potere popolare ; non può
dunque staccarsene.
Si
parla della creazione di un partito. Perché? A causa di problemi di unità fra
le diverse tendenze esistenti nel seno della rivoluzione? E che rapporto ci
sarebbe con i Comitati di difesa della rivoluzione?
Le questioni organizzative costituiscono
uno dei compiti imperativi della Rivoluzione. Essa non può approfondirsi senza
una struttura d’avanguardia, e noi ci stiamo pensando. Tuttavia non la concepiamo
in maniera burocratica. Per noi l’unità non vuol dire mancanza di differenti
sensibilità. Vogliamo una unità pluralista, democratica, che arricchisca il
popolo, che, organizzato, dovrà partecipare alla costruzione di questa
struttura d’avanguardia e per questo, al momento opportuno, ne sarà informato e
protagonista. I Comitati di difesa della rivoluzione avranno dei rapporti
politici con questa struttura, a cui saranno legati dal principio del
centralismo democratico.
Quale
è il suo punto di vista sui problemi della pace e dei rapporti Nord-Sud?
Solo i popoli dei diversi paesi potranno
trovare una soluzione definitiva al problema della pace, giacché gli stati
contemporanei sono troppo calcolatori ed egoisti per favorire la pace mondiale.
Questa è pericolosamente minacciata, inoltre, dalla politica egemonica e dalla
volontà di potenza e di dominazione degli stati imperialisti.
Quanto ai rapporti Nord-Sud, essi
dipendono da numerosi fattori interni ed esterni, sia nei paesi che dispongono
di tutto, sia in quelli sottosviluppati. Essi obbediscono ai vincoli delle
relazioni internazionali che sono segnati da una vera e propria legge della
giungla. Alcuni sforzi, tuttavia, sono stati compiuti in questi ultimi anni da
una parte e dall’altra in favore di una cooperazione più rispondente ai bisogni
delle parti interessate. Resta però molto da fare per decolonizzare i rapporti
Nord-Sud, anche se alcuni stati europei l’hanno già capito.
Il
suo paese ha appena aperto una rappresentanza diplomatica a Roma. Alcuni italiani
stanno promuovendo una associazione per sviluppare l’amicizia tra l’Italia e il
Burkina Faso. Avranno il piacere di incontrarla presto in Italia?
Noi abbiamo molta simpatia per il popolo
italiano, tra cui contiamo numerosi amici che sostengono gli sforzi di
trasformazione che stiamo spiegando in Burkina Faso dall’avvento della
rivoluzione. La creazione di una associazione per l’amicizia tra l’Italia e il
nostro paese dimostra che gente di buona volontà si batte ogni giorno anche da
voi per aiutare il nostro popolo a vincere l’analfabetismo, la malattia e la
fame. Il popolo italiano è un popolo generoso e caloroso che ha dato tanto al
mondo. Noi ne siamo fieri. Auspichiamo che questo tipo di rapporto si rafforzi
sempre di più tra i diversi popoli, per contribuire insieme a combattere la
miseria e lo sfruttamento, per un mondo di pace e giustizia. Per tutte queste
ragioni, non appena il tempo e l’occasione me lo permetteranno, visiterò con
piacere il vostro bel paese.
da
qui
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