La Libertà Non Sta Nello Scegliere Tra Bianco E Nero, Ma Nel Sottrarsi A Questa Scelta Prescritta. (Theodor W.Adorno)
lunedì 31 agosto 2015
domenica 30 agosto 2015
Le donne curde non si arrendono
Da
diversi giorni la popolazione di Silvan in provincia di Diyarbakir in
Turchia si sta difendendo contro la polizia con le donne che costituiscono
unità di autodifesa per combattere per le strade.
Per
alcuni giorni i residenti dei quartieri del distretto di Silvan della provincia
a maggioranza curda di Diyarbakir stanno resistendo ai tentativi della polizia
di occupare i quartieri. Gli scontri sono durati finché la polizia ha
evacuato i piani superiori di un certo numero di abitazioni in via Çelikler e
ha posizionato cecchini sui tetti delle case. Un giovane è rimasto gravemente
ferito negli scontri e i negozianti del posto hanno abbassato le saracinesche
in segno di protesta.
In
città le donne hanno costituito le loro unità di autodifesa. La vista
delle tende appese per bloccare la vista dei cecchini in città ricorda i giorni
di guerra nella città curda di Kobanê, nel Rojava, dove espedienti simili erano
stati utilizzati.
Le
donne anziane del quartiere hanno sostenuto la resistenza, sia portando cibo e
cantando canzoni con i giovani appostati ad ogni angolo o camminando per le
strade con i bastoni tra le mani. Residenti di tutte le età si sono uniti
per scavare fossati in diversi quartieri.
“Nonostante
tutti questi attacchi contro di noi, stiamo ancora dicendo pace”, afferma una
donna unitasi alla resistenza nel quartiere Tekel. “Siamo scese in
strada per fermare la polizia dal compiere esecuzioni e impedire che venga
sparso altro sangue”.
“La
polizia ci ha rivolto un gesto come per dire,”Vi tagliamo la testa”, ha
affermato un’altra donna.”Se questi giovani non stessero agli angoli delle
strade, la polizia non ci consentirebbe di sederci fuori di casa. Ci
ucciderrbbero tutte. Non importa in quanti verranno per ucciderci, noi
continueremo a dire pace”.
Fonte Rete
Kurdistan Italia
Le donne curde nelle rivolte del Kurdistan settentrionale
Le
donne in prima linea nella resistenza nella città curda di Silvan hanno
annunciato di non voler più riconoscere l’autorità dello Stato Turco e di
essere pronte a combattere fino a quando la città non sarà liberata.
A partire dalla città di Silopi, diverse città in tutto il Kurdistan settentrionale (ovvero la regione interna alla Turchia) hanno proclamato l’autogoverno di fronte agli attacchi della polizia. Dopo le città di Cizre, Nusaybin, Yüksekova e Varto, anche Silvan, distretto della provincia di Diyarbakır, ha dichiarato l’autogoverno.
Nei quartieri di Tekel, Mescid e Konak, la gente di Silvan si è impegnata negli sforzi per scavare trincee, sotto la guida della gioventù del quartiere. Le giovani donne della città hanno assunto un ruolo chiave nello sforzo di tenere la polizia fuori dei quartieri, affrontando i turni di di guardia alle trincee e difendendo le zone amministrate.
La gioventù ha compreso come dopo le elezioni l’AKP abbia iniziato ad usare tutte le forze disponibili in mano allo Stato al fine di avviare un attacco contro il popolo curdo, includendo un divieto di accesso indiscriminato per mesi al carcere dove è imprigionato il leader del PKK Abdullah Öcalan. Ora è giunto il momento in cui le città si sono sollevate. Arin Amed, che vive nel quartiere Tekel, è una delle donne che ha osservato la nascita della resistenza popolare a Silvan.
“Silvan non è solo. Come giovani donne, stiamo andando a difendere le aree in cui viviamo fino alla fine. Noi non rinunciamo a questa resistenza fino a quando Silvan non sarà libero”, ha detto Arin. “In questo momento, tutti i giovani di Silvan sono in rivolta”, ha detto Arin, che sottolinea come i curdi non abbiano più bisogno di riconoscere alcuna delle istituzioni dello Stato turco. “Per tre giorni, siamo stati di guardia nei nostri quartieri, e nessuno sta entrando al loro interno.”
Arin ha voluto aggiungere come fino ad ora le giovani donne a Silvan fossero vissute sotto il dominio della mentalità patriarcale.
“Le combattenti YPJ a Kobanê, che hanno combattuto contro la più dura delle mentalità patriarcali, sono diventate un esempio per tutto il mondo. Per quanto ci riguarda, vogliamo prepararci alla vittoria con la forza e il morale che abbiamo ottenuto da queste donne”, ha detto Arin. “A questo punto, la gente ha bisogno di vedere la propria forza e di portare la guerra popolare rivoluzionaria alla vittoria.”
“Il nostro popolo è passato attraverso un sacco di dolore e pagato un prezzo alto, ma la vittoria contro questa crudeltà è vicina. Una volta che saremo diventati un ‘noi’, nessuna forza ci potrà fermare”, ha concluso.
A partire dalla città di Silopi, diverse città in tutto il Kurdistan settentrionale (ovvero la regione interna alla Turchia) hanno proclamato l’autogoverno di fronte agli attacchi della polizia. Dopo le città di Cizre, Nusaybin, Yüksekova e Varto, anche Silvan, distretto della provincia di Diyarbakır, ha dichiarato l’autogoverno.
Nei quartieri di Tekel, Mescid e Konak, la gente di Silvan si è impegnata negli sforzi per scavare trincee, sotto la guida della gioventù del quartiere. Le giovani donne della città hanno assunto un ruolo chiave nello sforzo di tenere la polizia fuori dei quartieri, affrontando i turni di di guardia alle trincee e difendendo le zone amministrate.
La gioventù ha compreso come dopo le elezioni l’AKP abbia iniziato ad usare tutte le forze disponibili in mano allo Stato al fine di avviare un attacco contro il popolo curdo, includendo un divieto di accesso indiscriminato per mesi al carcere dove è imprigionato il leader del PKK Abdullah Öcalan. Ora è giunto il momento in cui le città si sono sollevate. Arin Amed, che vive nel quartiere Tekel, è una delle donne che ha osservato la nascita della resistenza popolare a Silvan.
“Silvan non è solo. Come giovani donne, stiamo andando a difendere le aree in cui viviamo fino alla fine. Noi non rinunciamo a questa resistenza fino a quando Silvan non sarà libero”, ha detto Arin. “In questo momento, tutti i giovani di Silvan sono in rivolta”, ha detto Arin, che sottolinea come i curdi non abbiano più bisogno di riconoscere alcuna delle istituzioni dello Stato turco. “Per tre giorni, siamo stati di guardia nei nostri quartieri, e nessuno sta entrando al loro interno.”
Arin ha voluto aggiungere come fino ad ora le giovani donne a Silvan fossero vissute sotto il dominio della mentalità patriarcale.
“Le combattenti YPJ a Kobanê, che hanno combattuto contro la più dura delle mentalità patriarcali, sono diventate un esempio per tutto il mondo. Per quanto ci riguarda, vogliamo prepararci alla vittoria con la forza e il morale che abbiamo ottenuto da queste donne”, ha detto Arin. “A questo punto, la gente ha bisogno di vedere la propria forza e di portare la guerra popolare rivoluzionaria alla vittoria.”
“Il nostro popolo è passato attraverso un sacco di dolore e pagato un prezzo alto, ma la vittoria contro questa crudeltà è vicina. Una volta che saremo diventati un ‘noi’, nessuna forza ci potrà fermare”, ha concluso.
tradotto da InfoAut, link originale da Kurdish
Question qui
Tre quartieri di Istanbul hanno dichiarato l’autogoverno
Il
partito governante in Turchia dell’Akp a seguito della sconfitta elettorale ha
avviato una violenta guerra nel Kurdistan del nord. Come risposta la
popolazione in tutta la regione ha dichiarato l’autogoverno. Quartieri e città
hanno dichiarato che si difenderanno contro gli attacchi dello stato. Adesso
tre quartieri a Istanbul si sono uniti a loro: Gazi, Gülsuyu e Kanarya.
Uno
dei quartieri che ha dichiarato l’autogoverno è Gazi. Nel 1995 17 persone sono
morte nella repressione di polizia delle iniziative di quartiere. Da allora
Gazi è stato un quartiere chiave per i rivoluzionari di Turchia e del
Kurdistan. La scorsa settimana l’iniziativa della popolo di Gazi ha dichiarato
l’autogoverno nel quartiere.
“La
classe lavoratrice è stata oppressa, colonizzata e massacrata. Ma hanno vissuto
fianco a fianco per anni anche con differenti lingue, religioni e culture. É
giunto il momento per questa gente di dire “basta alla crudeltà”, alla tortura
e ai massacri, ha dichiarato un oratore dell’iniziativa del quartiere.
Gülsuyu,
come Gazi, è un quartiere dominato dalla classe lavoratrice, dai musulmani
aleviti e dai rivoluzionari. L’iniziativa popolare del quartiere Gülsuyu a
Maltepe si è unita alle dichiarazioni di autogoverno. Nel comunicato il gruppo
ha denunciato gli attacchi della polizia ai politici curdi. Essi hanno inoltre
denunciato l’isolamento in carcere del leader Partito dei Lavoratori del
Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan e il bombardamento delle zone della guerriglia
curda.
Il
quartiere di Kanarya è situato nel distretto della città di Küçükçekmece
denominato “Kurdistan d’Istanbul” per la sua numerosa popolazione curda.
Kanarya è stato luogo di resistenza. Come risultato, le operazioni di polizia
erano frequenti.
La
gente di Kanarya ha deciso di unirsi a Gazi e Gülsuyu nel dichiarare
l’autogoverno. Le persone del quartiere ogni notte controllano le strade contro
gli attacchi della polizia.
Ekin Wan è la nostra resistenza nuda
Avevamo
accennato nel post precedente alle torture inflitte ad una combattente kurda da
parte delle forze turche.
Malgrado l’immagine del suo corpo straziato sia ormai di pubblico dominio, noi ci rifiutiamo di pubblicarla e preferiamo ricordarla tra le sue montagne e attraverso la voce delle migliaia di donne che, nel Kurdistan turco, stanno insorgendo di fronte all’orrenda doppia profanazione del suo corpo – prima da parte della Turchia e, poi, dal voyeurismo della rete.
Malgrado l’immagine del suo corpo straziato sia ormai di pubblico dominio, noi ci rifiutiamo di pubblicarla e preferiamo ricordarla tra le sue montagne e attraverso la voce delle migliaia di donne che, nel Kurdistan turco, stanno insorgendo di fronte all’orrenda doppia profanazione del suo corpo – prima da parte della Turchia e, poi, dal voyeurismo della rete.
“Ekin
Wan è la nostra resistenza nuda”. Questo uno degli slogan con cui le donne di Nusaybin (provincia di Mardin) sono scese in
strada per esprimere la rabbia contro l’esposizione del corpo nudo e martoriato
della guerrigliera Kevser Eltürk (nome di battaglia Ekin Wan) delle YJA Star,
uccisa in uno scontro dalle forze di sicurezza turche nel distretto di Varto
(provincia di Muş). Dopo averla uccisa, l’hanno completamente spogliata e
trascinata per strada legata ad una corda, per poi abbandonarla nella piazza
del paese.
Una fotografia del suo corpo nudo e martoriato ha iniziato a circolare sui social media durante il fine settimana, in origine condivisa probabilmente dalla polizia di Varto.
Una fotografia del suo corpo nudo e martoriato ha iniziato a circolare sui social media durante il fine settimana, in origine condivisa probabilmente dalla polizia di Varto.
Una
delle donne che ha lavato per il funerale il corpo di Ekin straziato, ne ha
descritti i segni di tortura, tra cui una profonda ecchimosi sul collo e le
gambe e la pelle lacerate. Aveva anche lividi lasciati da una corda stretta
intorno al suo collo e usata probabilmente per trascinarla.
In risposta a questa disumana vicenda, i/le guerriglieri/e hanno preso il controllo della città di Varto mentre “la gente armata di guardia in trincea ha detto che questa azione era una rappresaglia per l’uccisione di una guerrigliera, uccisa pochi giorni fa a Varto da un team operativo speciale, il cui corpo nudo è stato messo in mostra dalla stampa”.
In risposta a questa disumana vicenda, i/le guerriglieri/e hanno preso il controllo della città di Varto mentre “la gente armata di guardia in trincea ha detto che questa azione era una rappresaglia per l’uccisione di una guerrigliera, uccisa pochi giorni fa a Varto da un team operativo speciale, il cui corpo nudo è stato messo in mostra dalla stampa”.
Le Giovani donne rivoluzionarie (YDGK-H) hanno rinnovato il
loro appello a tutte le donne affinché si uniscano agli sforzi di autodifesa e
alla lotta rivoluzionaria in Kurdistan, per vendicare l’uccisione e la
profanazione del corpo di Ekin.
“Per anni, non ci siamo vergognate dei nostri corpi. Per anni questo stato ha cercato di spaventarci con stupri, molestie e uccisioni. Questo è il modo in cui cercano di mettere a tacere le donne, prendono le loro case e le distruggono. Di fronte a tutto ciò, continueremo a scavare le nostre trincee e a difenderci contro lo stato coloniale”.
“Per anni, non ci siamo vergognate dei nostri corpi. Per anni questo stato ha cercato di spaventarci con stupri, molestie e uccisioni. Questo è il modo in cui cercano di mettere a tacere le donne, prendono le loro case e le distruggono. Di fronte a tutto ciò, continueremo a scavare le nostre trincee e a difenderci contro lo stato coloniale”.
Le
militanti di Nuova donna democratica (YDK)
in un comunicato scrivono: “Non siamo spaventate. Perché dai villaggi che ha
evacuato e dalle donne che ha ucciso in stato di arresto, sappiamo che questo
stato è un assassino. Perché dalle donne a cui ha tagliato il seno sotto
tortura, dalle donne a cui ha cercato di spezzare la volontà con lo stupro,
dalle donne abbandonate alle torture sessuali in stato di arresto e in
prigione, sappiamo che questo stato è uno stupratore. Lo sappiamo dalle vostre
sporche guerre ingiuste, che se non ci hanno fatto vergognare dei nostri corpi,
ci hanno fatte vergognare della nostra umanità. Lo sappiamo da Shengal, da
Kobanê. Vediamo molto bene che questa vostra misoginia viene dalle donne che
lottano sulle barricate, nelle carceri e sulle montagne. E così noi non abbiamo
paura di voi e non ci vergogniamo dei nostri corpi”.
Intanto
a Silvan – città della
provincia di Diyarbakır, nel Kurdistan turco, che ha dichiarato l’autogoverno
dopo Silopi, Cizre, Nusaybin, Yüksekova e Varto – le giovani donne curde sono
in prima linea nella resistenza della città e hanno assunto un ruolo-chiave nel
tenere la polizia fuori dai quartieri, stando di guardia in trincea e
difendendo l’area.
Arîn Amed, che vive nel quartiere Tekel, ha detto:
“Silvan non è sola. Come giovani donne, difenderemo fino alla fine le zone in cui viviamo. Noi non rinunceremo a questa resistenza finché Silvan non sarà libera. In questo momento, tutti i giovani e le giovani di Silvan sono in rivolta”.
Ha poi aggiunto che fino ad ora le giovani di Silvan hanno vissuto sotto il dominio della mentalità patriarcale, ma che “Le combattenti delle YPJ a Kobanê, che hanno combattuto duramente contro la mentalità patriarcale, sono diventate un esempio per tutto il mondo. Noi vogliamo prepararci alla vittoria con la forza e il morale che queste donne ci hanno trasmesso. A questo punto la gente ha bisogno di vedere la propria forza per portare la guerra popolare rivoluzionaria alla vittoria.
Il nostro popolo ha attraversato molto dolore e ha pagato un prezzo alto, ma la vittoria contro questa crudeltà è vicina. Una volta che diventiamo un ‘NOI’, nessuna forza può fermarci”.
Arîn Amed, che vive nel quartiere Tekel, ha detto:
“Silvan non è sola. Come giovani donne, difenderemo fino alla fine le zone in cui viviamo. Noi non rinunceremo a questa resistenza finché Silvan non sarà libera. In questo momento, tutti i giovani e le giovani di Silvan sono in rivolta”.
Ha poi aggiunto che fino ad ora le giovani di Silvan hanno vissuto sotto il dominio della mentalità patriarcale, ma che “Le combattenti delle YPJ a Kobanê, che hanno combattuto duramente contro la mentalità patriarcale, sono diventate un esempio per tutto il mondo. Noi vogliamo prepararci alla vittoria con la forza e il morale che queste donne ci hanno trasmesso. A questo punto la gente ha bisogno di vedere la propria forza per portare la guerra popolare rivoluzionaria alla vittoria.
Il nostro popolo ha attraversato molto dolore e ha pagato un prezzo alto, ma la vittoria contro questa crudeltà è vicina. Una volta che diventiamo un ‘NOI’, nessuna forza può fermarci”.
Non
solo la Turchia soddisfa tutte le esigenze dei militanti di ISIS – come ha testimoniato un emiro catturato dalle YPG a
Kobanê lo scorso 25 giugno – ma il binomio AKP-ISIS, con la sua mentalità
maschile dominante, concretizza oggi il volto più feroce del femminicidio, come
hanno dichiarato le organizzazioni di donne curde
residenti in Europaa proposito della profanazione del corpo di Ekin,
aggiungendo che come le YPJ stanno abbattendo il regno barbaro delle bande
ISIS, le donne curde rovesceranno la mentalità selvaggia dell’AKP.
La
mentalità stupratoria, che si è manifestata contro tutte le donne sulla persona
di Ekin Wan, ha iniziato una guerra basata sul femminicidio per abbattere la
legittima difesa che le donne kurde hanno intrapreso in un modo che le rende
una speranza per le donne in tutto il mondo.
Le donne hanno anche sottolineato che l’AKP e la sua mentalità maschile dominante non potevano accettare la rivoluzione in Rojava, che è in realtà la rivoluzione delle donne, e che la tortura effettuata sul corpo di Ekin non è una coincidenza ma la dimostrazione di questa mentalità.
Le donne hanno anche sottolineato che l’AKP e la sua mentalità maschile dominante non potevano accettare la rivoluzione in Rojava, che è in realtà la rivoluzione delle donne, e che la tortura effettuata sul corpo di Ekin non è una coincidenza ma la dimostrazione di questa mentalità.
“Ekin
Wan, guerrigliera delle YJA STAR, è il simbolo di autodifesa e rappresenta la
resistenza delle donne libere”. Sono in particolare i corpi delle donne ad
essere attaccati e presi di mira in tutte le guerre, hanno ricordato le donne
curde rammentando quando, negli anni ’90, in Kurdistan le forze di sicurezza
turche violentavano, torturavano ed esponevano nudi i corpi delle donne
dopo la loro esecuzione.
Le
donne curde in Europa hanno concluso la loro dichiarazione invitando tutte le
donne a partecipare con forza a tutte le azioni contro la guerra sporca
dell’AKP.
(da qui)
Torino: donna migrante blocca la strada dopo il trasferimento al Cie del marito
Mentre in questi giorni le lotte dei migranti ai confini
dell'Europa e le reazioni dei
governi europei occupano
le cronache dei media, da Torino arriva notizia di una piccola storia di
resistenza e opposizione alle forme di oppressione che compongono il cosiddetto
sistema dell'"accoglienza" di cui si fa un gran parlare in queste
ore.
Dal tardo pomeriggio, infatti,
una donna egiziana, assieme ai suoi quattro figli, sta bloccando una delle
grosse arterie torinesi, corso Massimo d'Azeglio, dopo che il marito, trovato
senza documenti in regola, è stato trasferito al Cie di corso Brunelleschi. La
donna si è seduta in mezzo alla carreggiata assieme ai figli e si rifiuta di
allontanarsi o spostarsi, nonostante l'arrivo sul posto delle forze
dell'ordine, chiedendo il rilascio immediato dell'uomo.
Ma la vicenda che ha portato al
fermo del marito e al suo trasferimento al Cie è in questo caso anche
emblematica delle quotidiane difficoltà e privazioni dei più basilari diritti e
tutele che discendono dall'essere nella condizione di migrante. La donna
egiziana, stando a quanto riportato dalle cronache locali, si era infatti
rivolta ieri a una stazione dei carabinieri per denunciare un tentativo di
stupro nei confronti della figlia maggiore. Di qui i controlli dei militari che
hanno portato all'identificazione del marito.
Insomma, alla difficoltà di dover
denunciare un fatto di violenza in questo caso si aggiunge anche la paura di
ritorsioni e privazioni della libertà nei confronti della propria famiglia,
come nel caso dell'uomo ora trasferito nell'incubo del sistema dei Cie. Una
vicenda che fa rabbia e che svela i risvolti di un sistema che attribuisce più
valore a un pezzo di carta che alla tutela della dignità e della vita umana,
che ricaccia nel silenzio soprusi e violenza col ricatto della
libertà. Non è d'altronde difficile immaginare che situazioni di questo
tipo si creino quotidianamente, non solo in casi come questi ma anche
nell'accesso a servizi essenziali come per esempio quelli di assistenza medica.
In attesa di aggiornamenti sulla
situazione, esprimiamo piena solidarietà per il coraggioso gesto della donna e
per la sua determinazione, che hanno avuto la forza di svelare un pezzo di
questo sistema e dei suoi soprusi.
da
qui
povero Jamychael, assassinato un giorno dopo l'altro
Ancora una volta, c'è un afroamericano al centro
delle cronache giudiziarie statunitensi. Si tratta questa volta di Jamychael
Mitchell, 24 anni. Detenuto da 4 mesi e malato di schizofrenia, ha rifiutato
cibo e medicine fino a che non è morto di fame. Era in cella per aver rubato
una lattina di bibita e due snack, per un valore totale di 5 dollari.
La morte è avvenuta il 19 agosto scorso, ma il Guardian ne dà notizia solo oggi. E' stata aperta una inchiesta, ma verrà chiusa nel giro di qualche giorno senza risultati. E anche questo episodio tira in ballo le responsabilità della Polizia: perchè nessuno è intervenuto? I detenuti mangiano in una sala comune, le medicine vengono date singolarmente e il paziente deve ingoiarle davanti al medico. Quindi vedevano che non stava mangiando e non stava prendendo le medicine. Perchè non ne è stato disposto il ricovero in infermeria? Inoltre il non mangiare crea una debolezza sempre più evidente: come mai nessuno se ne è accorto? I poliziotti andavano in giro con una benda sugli occhi? Oppure, come sempre, il problema è il fortissimo razzismo che pervade la Polizia statunitense?
La morte è avvenuta il 19 agosto scorso, ma il Guardian ne dà notizia solo oggi. E' stata aperta una inchiesta, ma verrà chiusa nel giro di qualche giorno senza risultati. E anche questo episodio tira in ballo le responsabilità della Polizia: perchè nessuno è intervenuto? I detenuti mangiano in una sala comune, le medicine vengono date singolarmente e il paziente deve ingoiarle davanti al medico. Quindi vedevano che non stava mangiando e non stava prendendo le medicine. Perchè non ne è stato disposto il ricovero in infermeria? Inoltre il non mangiare crea una debolezza sempre più evidente: come mai nessuno se ne è accorto? I poliziotti andavano in giro con una benda sugli occhi? Oppure, come sempre, il problema è il fortissimo razzismo che pervade la Polizia statunitense?
…E' stata disposta l'autopsia, ma le autorità ritengono
per ora che sia deceduto per cause naturali. I familiari pensano invece che sia
morto di fame, dopo aver rifiutato cibo e medicine. La zia, l'infermiera
Roxanne Adams, ha raccontato che il ragazzo era ridotto pelle e ossa al momento
del decesso. Mitchell era stato arrestato a Portsmouth il 22 aprile, lo stesso
giorno in cui un altro ragazzo afroamericano, William Chapman, è stato ucciso
dalla polizia davanti ad un supermercato Walmart della stessa città.
Mitchell soffriva di schizofrenia e viveva con la madre Sonia. "Non aveva mai fatto male a nessuno, fumava in continuazione e faceva ridere la gente", ha raccontato la zia. Il ragazzo, che aveva precedenti per altri piccoli furti, è stato arrestato per aver rubato una bevanda gassata e due snack. Date le sue condizioni mentali, il giudice aveva ordinato il suo ricovero in un vicino istituto psichiatrico. Ma l'istituto non ha mai trovato un posto libero per lui e il ragazzo è morto in cella il 19 agosto. Ad aggravare il suo stato anche il fatto, denunciato dalla zia, che non prendeva più i farmaci prescritti per la sue condizioni mentali.
Mitchell soffriva di schizofrenia e viveva con la madre Sonia. "Non aveva mai fatto male a nessuno, fumava in continuazione e faceva ridere la gente", ha raccontato la zia. Il ragazzo, che aveva precedenti per altri piccoli furti, è stato arrestato per aver rubato una bevanda gassata e due snack. Date le sue condizioni mentali, il giudice aveva ordinato il suo ricovero in un vicino istituto psichiatrico. Ma l'istituto non ha mai trovato un posto libero per lui e il ragazzo è morto in cella il 19 agosto. Ad aggravare il suo stato anche il fatto, denunciato dalla zia, che non prendeva più i farmaci prescritti per la sue condizioni mentali.
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vita e morte
sabato 29 agosto 2015
L'esercito più morale del mondo dimostra la sua forza (morale?) contro i bambini con un braccio ingessato
Golia dichiara: "Quei soldati sono miei amici, troppo facile criticare se non ti trovi davanti a un bambino col braccio ingessato".
l'efficiente esercito più morale del mondo, con un coraggio mai visto, e con supremo sprezzo del pericolo, arresta Vittorio Fera, volontario dell'ISM (International Solidarity Movement), per una colpa gravissima: "Vittorio stava filmando il violento attacco delle forze israeliane a un ragazzo palestinese, che veniva aggredito e soffocato da un soldato", dicono all'ISM.
l'efficiente esercito più morale del mondo, con un coraggio mai visto, e con supremo sprezzo del pericolo, arresta Vittorio Fera, volontario dell'ISM (International Solidarity Movement), per una colpa gravissima: "Vittorio stava filmando il violento attacco delle forze israeliane a un ragazzo palestinese, che veniva aggredito e soffocato da un soldato", dicono all'ISM.
Intervista sulla scuola ad Andrea Degiorgi
QUI si può ascoltare l'intervista.
Andrea ne sa più di un ministro, questo è sicuro, e poi qualsiasi ministro, per chiarezza e onestà intellettuale, perderebbe per K.O. da un confronto con Andrea.
ascoltate per convincervene.
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Che fare. Tra nuove schiavitù e sfruttamento intellettuale – Luciano Canfora
Per scegliere come agire conviene partire dalla conoscenza
dei dati di fatto. Eccone alcuni, a mio avviso rilevanti:
a) Sta tornando, anche nel cuore di società ricche, la schiavitù; secondo una stima della Cgil in tale condizione si trovano (ma le stime sono riferite a ciò che è visibile, non al sommerso) già 400.000 esseri umani, in larga parte extracomunitari; il “profitto” se ne giova enormemente.
b) Strettamente connesso è il potere incontrastato dei grandi e meno grandi centri mafiosi equamente diffusi nel pianeta. (Con la vittoria della “libertà” a Mosca, anche Mosca è diventato un epicentro mafioso). Le banche riciclano indisturbate il “denaro sporco”, di cui droga, prostituzione, caporalato, ecc. sono l’alimento. Così l’intreccio tra capitale finanziario e malavita si è compiuto. Nella totale passività e complicità dei poteri politici.
c) Il cosiddetto fenomeno migratorio ha carattere strutturale ed epocale. Ogni trovata mirante a interromperlo (respingimenti, interventi nei luoghi di partenza) è risibile. E’ come voler svuotare il mare col mestolo. L’Occidente – fabbricanti di armi sempre pronti a commuoversi, interventi imperiali in Irak, Siria, Libia ecc. — ha creato i disastri, una cui conseguenza è tale migrazione di popoli.
d) La mutazione della Cina in paese ipercapitalistico a carattere nazionalsocialista ha chiuso il ciclo novecentesco del “socialismo”.
e) La fine del movimento comunista ha comportato anche il declino delle socialdemocrazie.
f) Il meccanismo elettorale pluripartitico (caratteristica e vanto dell’Occidente) è defunto. Ciò grazie a dinamiche liberticide irreversibili: delega dei poteri decisionali a strutture tecniche non elettive, e per di più massiccia introduzione di sistemi elettorali di tipo maggioritario. Il de profundis è stato il formale misconoscimento della volontà espressa dal referendum greco di luglio da parte dello stesso governo che lo aveva indetto. Ciò, per ordine e ricatto di una entità priva di qualunque legittimazione elettorale quale l’Eurogruppo.
g) Il soggetto sociale tradizionale dei partiti di sinistra è, numericamente, in via di estinzione. Mi riferisco all’operaio di fabbrica, o meglio a quella parte che veniva un tempo definita “operai coscienti”. Sono subentrati per un verso la nuova schiavitù, per l’altro un gigantesco ceto medio condannato ad un crescente impoverimento, in alcuni paesi appesantito dalle rigidità della moneta unica.
h) Una formazione politica di sinistra dovrebbe dunque decidere se: (1) scegliere di rappresentare i nuovi diseredati, ovvero (2) puntare, con qualunque alleato, ad andare al governo a qualunque costo per fare una qualunque politica. Da tempo, la ex-sinistra (in Italia, Francia, Germania, ora anche Grecia) ha scelto tale seconda opzione.
i) La sola battaglia possibile in questa situazione è di carattere culturale, il più possibile di massa. Descrivere scientificamente il “capitale” del XXI secolo e smascherare la cosiddetta “democrazia occidentale”; diffondere la consapevolezza della sua vera natura. I luoghi di intervento non sono molti. La grande stampa funziona sulla base di una costante censura del pensiero critico nei confronti dell’Occidente. Ma c’è un grande terreno di lotta culturale, che è la scuola. E’ lì che si può indirizzare una lotta tenace in favore del pensiero critico.
j) Verrà sollevata la questione: ma qual è la classe sociale di cui la sinistra dovrebbe rappresentare gli interessi? Lo sfruttamento non è affatto scomparso, ma è ormai soprattutto sfruttamento del lavoro intellettuale che costituisce la parte essenziale del ciclo produttivo. E persino ai quadri medio/alti — per ora ben pagati – andrebbe fatto capire che anch’essi sono degli sfruttati e che chi li sfrutta è meramente parassitario.
k) Nell’epoca del dominio mondiale del capitale finanziario, “il nemico” è quasi invisibile.
Cronaca Nera - Dino Frisullo
(dedicata ad Ali, che non aveva mai visto un gabbiano e neppure il mare)
Ali veniva, poniamo, da Zako.
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta con gli ultimi spiccioli
nel porto a Patrasso
pane caldo profumo di casa
speranza di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva già visto l'Italia, poniamo.
Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari
l'Italia
gli piacque il castello svevo dalle mura merlate
le luci gialle della città vecchia
gli scaldarono il cuore
ma il primo italiano che vide
vestiva una divisa
e fu anche l'ultimo.
Respingeteli, disse.
Ali non capì le parole ma lesse lo sguardo
le ginocchia gli tremarono
poi si voltò contro il muro
perchè un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva già usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell'eco delle bombe
Qendàqur come Halàbje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola
la famiglia fuggita in Germania,
con lei aveva sognato l'Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halìl
divise verdeoliva
mazzi di banconote stinte
di tasca in tasca nel buio
e poi liberi
corrono veloci i minibus da Cizre verso Mardin
ogni mezz'ora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce
viaggiando solo di notte
tre notti trenta posti di blocco
zona di guerra
da Màrdin ad Adàna
poi veloci fino a Istanbul
e quella notte ad Aksaray
nel più lurido degli alberghi
fra scarafaggi e zanzare e russare di ubriachi
per la prima volta avevano fatto l'amore
e per l'ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori stecchiti
lei ne sfilò uno
glielo regalò con un sorriso
come fosse una rosa di maggio.
Fu all'alba che vennero a prenderli
taxi scassati
gabbiani a stormi contro il cielo grigio del Bosforo
(Ali non aveva mai visto un gabbiano
e neppure il mare)
poi tutti a piedi verso un'altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia nell'acqua del Méric
ha la pistola il mafioso
"più in fretta" sussurra,
di là c'è la Grecia l'Europa
è calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott'acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell'inferno...
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali restò a galleggiare
fra i gorghi di melma del Méric
mentre si nascondeva nel canneto
perchè i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi è la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
Così in Grecia l'uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
nascondendosi di giorno negli anfratti
marciando di notte fino a Salonicco
e poi un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo,
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
è bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era più bella
più profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena quasi sul molo
c'è un traghetto che sta per partire
di là c'è l'Europa davvero
con gli ultimi soldi paga il biglietto per Bari
Ali il mare non l'aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ti chiedi quanto sarà profondo
(erano più profondi i suoi occhi)
ma un uomo non ha mai paura
e il cielo dal mare non è poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa più paura la polizia di frontiera
"ez kurd im"
"ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso
ne abbiamo abbastanza di curdi qui in Puglia
non bastavano i cinquecento dell'ultima nave,
chiudeteli nella cabina
che non scendano a terra
sennò chiedono asilo..."
E' triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E' duro esser kurdi su un molo
sperduti fra il cielo ed il mare
erano in dieci, poniamo,
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
non uno di meno
seimila dollari quei dieci corpi
quasi il valore di un carico intero
e il suo amico Huseyn pagò anche per lui
prima di coricarsi abbracciati nel buio
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti penetra in gola
negli occhi nel naso
ti toglie il respiro...
E' cronaca nera
MORTI SOFFOCATI SEI CLANDESTINI IN UN TIR
è politica
MILLE CLANDESTINI RESPINTI NEL PORTO DI BARI
è diplomazia
ACCORDO CON LA GRECIA SUI RIMPATRI
è ipocrisia
ROMA CHIEDE COLLABORAZIONE AD ANKARA
è propaganda
INASPRITE LE PENE CONTRO I TRAFFICANTI
è nausea è rabbia è dolore
Sotto le stelle di Zako
mille Ali sognano l'Europa
in Europa sogneranno il ritorno
e nella nebbia di Amburgo, poniamo,
nella gelida nebbia senza stelle
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un pane di sesamo secco
e un fiore stecchito...
Dino Frisullo, ottobre 2000
da qui o da qui
Portava in tasca un pane di sesamo
comprato in fretta con gli ultimi spiccioli
nel porto a Patrasso
pane caldo profumo di casa
speranza di vita
prima di calarsi nel buio del ventre del camion.
Ali aveva già visto l'Italia, poniamo.
Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari
l'Italia
gli piacque il castello svevo dalle mura merlate
le luci gialle della città vecchia
gli scaldarono il cuore
ma il primo italiano che vide
vestiva una divisa
e fu anche l'ultimo.
Respingeteli, disse.
Ali non capì le parole ma lesse lo sguardo
le ginocchia gli tremarono
poi si voltò contro il muro
perchè un uomo non piange.
Ali veniva da Zako, poniamo,
e sapeva già usare il kalashnikov
ma di raffiche ne aveva abbastanza
e di agenti turchi irakeni americani arabi
e di kurdi che ammazzano kurdi
e di paura masticata amara con la fame
e dell'eco delle bombe
Qendàqur come Halàbje
bombardieri turchi come gli aerei irakeni
gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide.
Ali, poniamo, aveva una ragazza
rimasta sola
la famiglia fuggita in Germania,
con lei aveva sognato l'Europa
con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni e kurdi, maledizione, anche kurdi
per contrattare il passaggio della prima frontiera,
batteva forte il loro cuore al valico di Halìl
divise verdeoliva
mazzi di banconote stinte
di tasca in tasca nel buio
e poi liberi
corrono veloci i minibus da Cizre verso Mardin
ogni mezz'ora un posto di blocco
divise verdeoliva banconote via libera
colonna di autobus veloce
viaggiando solo di notte
tre notti trenta posti di blocco
zona di guerra
da Màrdin ad Adàna
poi veloci fino a Istanbul
e quella notte ad Aksaray
nel più lurido degli alberghi
fra scarafaggi e zanzare e russare di ubriachi
per la prima volta avevano fatto l'amore
e per l'ultima volta.
Sul comodino un vaso di fiori stecchiti
lei ne sfilò uno
glielo regalò con un sorriso
come fosse una rosa di maggio.
Fu all'alba che vennero a prenderli
taxi scassati
gabbiani a stormi contro il cielo grigio del Bosforo
(Ali non aveva mai visto un gabbiano
e neppure il mare)
poi tutti a piedi verso un'altra frontiera
in fila indiana nel fango in silenzio
fino alle ginocchia nell'acqua del Méric
ha la pistola il mafioso
"più in fretta" sussurra,
di là c'è la Grecia l'Europa
è calda la mano di Leyla
si chiamava Leyla, poniamo
era calda la mano di Leyla
prima che scoppiasse sott'acqua la mina
prima che i greci cominciassero a sparare
prima dell'inferno...
Un uomo non piange
ma il cuore di Ali restò a galleggiare
fra i gorghi di melma del Méric
mentre si nascondeva nel canneto
perchè i greci non scherzano
e se ti consegnano ai turchi è la fine
i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi
ti fanno sputare sangue
nelle celle di frontiera.
Così in Grecia l'uomo si fa gatto
si fa topo ragno gazzella
nascondendosi di giorno negli anfratti
marciando di notte fino a Salonicco
e poi un passaggio da Salonicco a Patrasso
giovani turisti abbronzati, poniamo,
Ali ha la febbre batte i denti fa pena
rannicchiato sul sedile della Rover
è bella la ragazza straniera
ma la sua Leyla era più bella
più profondi del mare i suoi occhi.
La Rover frena quasi sul molo
c'è un traghetto che sta per partire
di là c'è l'Europa davvero
con gli ultimi soldi paga il biglietto per Bari
Ali il mare non l'aveva mai visto
fa paura di notte il mare
ti chiedi quanto sarà profondo
(erano più profondi i suoi occhi)
ma un uomo non ha mai paura
e il cielo dal mare non è poi diverso
dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare.
Fa più paura la polizia di frontiera
"ez kurd im"
"ma che vuoi, che lingua parli,
rispediteli a Patrasso
ne abbiamo abbastanza di curdi qui in Puglia
non bastavano i cinquecento dell'ultima nave,
chiudeteli nella cabina
che non scendano a terra
sennò chiedono asilo..."
E' triste il cielo dal mare
come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure.
E' duro esser kurdi su un molo
sperduti fra il cielo ed il mare
erano in dieci, poniamo,
che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta
seicento dollari a testa disse il camionista
non uno di meno
seimila dollari quei dieci corpi
quasi il valore di un carico intero
e il suo amico Huseyn pagò anche per lui
prima di coricarsi abbracciati nel buio
stretto il pane di sesamo in tasca
stretto in mano un fiore secco
in dieci stretti fra le balle di cotone
che ti penetra in gola
negli occhi nel naso
ti toglie il respiro...
E' cronaca nera
MORTI SOFFOCATI SEI CLANDESTINI IN UN TIR
è politica
MILLE CLANDESTINI RESPINTI NEL PORTO DI BARI
è diplomazia
ACCORDO CON LA GRECIA SUI RIMPATRI
è ipocrisia
ROMA CHIEDE COLLABORAZIONE AD ANKARA
è propaganda
INASPRITE LE PENE CONTRO I TRAFFICANTI
è nausea è rabbia è dolore
Sotto le stelle di Zako
mille Ali sognano l'Europa
in Europa sogneranno il ritorno
e nella nebbia di Amburgo, poniamo,
nella gelida nebbia senza stelle
Huseyn bussa a una porta
ha da consegnare una cattiva notizia
un pane di sesamo secco
e un fiore stecchito...
Dino Frisullo, ottobre 2000
da qui o da qui
Un dubbio sugli zingari e la morte - Ascanio Celestini
Gli zingari! I tremendi
Casamonica! Ce li ho davanti tutti i giorni, li vedo da quando
sono nato, stanno nelle stesse strade della borgata nella quale vivo da sempre. I più ricchi girano
con macchine eclatanti, i più poveri rovistano nei cassonetti. Una volta morì
una zingarella giovane e riempirono una strada di petali di fiori. Siamo andati
a vedere la carrozza coi cavalli bianchi. Ci siamo andati in bicicletta, con la
Graziella.
C’è da dire che la mia famiglia non va in
chiesa. Dio ci interessa quanto noi interessiamo a lui. Cioè poco o niente, ma
va bene così. Per Lui la morte è un inizio, per noi soltanto una fine. Punti di
vista, punti di vita. Eppure quella strada infiorata aprì un buco nella testa
di tanti ragazzini come me, come ero io tanto tempo fa.
Gli zingari ricchi sono trucidi e
panzoni, capelloni e strillanti, ma non mi fanno schifo come lo fanno a tanti
commentatori sui giornali, nella rete o nelle televisioni.
Quelli che si indignano per la loro mafiosità, per la loro panza antiestetica,
per i loro soldi che pare che puzzano più di quelli che la panza ce l’hanno ben
levigata, ma rubano tanto di più e tanto meglio.
Quei zozzoni zingari non hanno la
bomba atomica come gli americani o i cinesi. Non sono padroni del
gas come i Russi. Non si inventano genocidi come i nazisti o gli Hutu. La
maggior parte delle volte lavorano, spesso rubacchiano, certe altre si
fanno le villette con le colonne di travertino e i leoni di marmo sul cancello.
Sono fatti così. Non conoscono Philip Starck e forse pure Ikea gli sembra un
po’ poverella nello stile.
Hanno fatto un casìno a Don Bosco, poche centinaia di
metri da casa mia.L’hanno fatto con un elicottero e una carrozza che, pare, abbia portato al
camposanto pure Totò. E tanti si sono schifati perché è gente che ruba e
spaccia, gente che se ne frega delle regole e trasforma un funerale in una
manifestazione di piazza.
Devo dirlo? Lo dico: io sono contro di
loro. Io rispetto tutte le regole e pago le tasse. Io e tutta la mia
famiglia.
Produco energia elettrica che regalo al gestore che me la rivende senza ridarmi i soldi del mio lavoro. Sono legale anche con gli illegali. Mi faccio derubare a rate dallo Stato. Ma questo non è l’oggetto del discorso.
Produco energia elettrica che regalo al gestore che me la rivende senza ridarmi i soldi del mio lavoro. Sono legale anche con gli illegali. Mi faccio derubare a rate dallo Stato. Ma questo non è l’oggetto del discorso.
L’oggetto è un altro: perché nessuno si è
chiesto perché lo fanno? Perché prendono la morte e la rovesciano in un fatto
scandaloso? Nessuno si è chiesto cosa è ancora la morte per noi. Cosa è la morte di mio
padre o di mio figlio. Del mio e del vostro. Tutti si sono igienicamente lavati
le mani e allontanati da quel casìno.
Forse è l’estate sgomenta nella quale
accadono un po’ di cose nascoste sotto il tappeto (leggi che leggeremo tra
qualche anno, ma saranno applicate subito) e tante altre senza importanza. Ma qualcuno si è
interrogato sul significato della morte? Qualcuno ha guardato
oltre le panze e i capelli di quei ciccioni per chiedersi cosa è la morte per
noi senza
panza e capelli?
Anche per me è stata una manifestazione
trucida, ma dopo il primo sentimento contrastato mi sono ricordato che dietro
alla manifestazione colorita ci stava la morte. La morte di un fesso, un
criminale, un padre di famiglia, un assassino, un brav’uomo, un pezzente, un
riccone paperone, un nulla, un tutto.
E proprio di tutto abbiamo parlato
davanti a quel sarcofago scortato dalla musica del Padrino di Coppola. Lo
abbiamo fatto senza sapere cosa è il lutto per quelle persone
ciccione. Facciamo sempre così. Pensiamo a quello che sta nel nostro cervello
credendo che sia il meglio, ma ce ne freghiamo del cervello e della cultura
degli altri. Quelli rubano e allora sono cattivi. Noi avveleniamo la nostra vita sul
pianeta, ma lo facciamo mentre andiamo in palestra. I nostri glutei sono solidi
come scolpiti da Canova, loro si mangiano il grasso fritto e sono trogloditi.
Ci sentiamo forti perché le altre
culture ci sembrano stupide. E quando le vediamo sfilare in
quel modo storpio e riccastro ci sentiamo ancora più forti.Tutti si schierano
contro di loro, la quasi-destra e la quasi-sinistra, il
partito-contro-tutti e il partito-con-tutti. E parliamo, parliamo, e scriviamo
e scriviamo. Discorriamo di tutto, tranne che della morte.
da
qui
venerdì 28 agosto 2015
Europeana – Patrik Ourednik
una
corsa nel un secolo in 150 pagine, fissando alcuni fatti grandi e famosi e
tanti “piccoli” e importanti lo stesso.
storia
che diventa letteratura, una lettura davvero interessante e diversa, per chi
ama la storia e la letteratura, dopo piaceranno di più entrambe - franz
…Tanto per cominciare, c'è tutto. Il Novecento, intendo. Gli
eventi chiave, cenni di storia sociale e scientifica, le parole d'ordine, gli
anni imprescindibili, i nomi che non si possono non citare. Ma questo tutto è
narrato mediante un flusso di parole compatto che non ha nulla a che spartire
con la saggistica classica. Gli spazi tra paragrafo e paragrafo sembrano i
respiri di un monologo teatrale. Non esistono capitoli. Gli unici titoletti si
trovano a margine, ma non assolvono al compito che la saggistica tradizionale
assegna loro, quello cioè di indicare di cosa si sta parlando in quel brano. Al
contrario, per quanto riprendano degli effettivi tag di testo, hanno piuttosto
una funzione evocativa e graffiante. Quasi a sottolineare come due parole
estrapolate dal contesto possano significare altro, anzi: qualsiasi (altra)
cosa. E il sarcasmo sornione dell'autore non si ferma qua, dal momento che
l'indice si genera in automatico listando i titoletti a margine con tanto di
pagina di riferimento. Qualche esempio? I soldati si sparavano a palombella, I
cavalli erano morti, Dio esiste, Ristabilire l'istanza trascendentale, Lo
sguardo torvo…
…Questa “breve storia del XX secolo” (come
recita il sottotitolo) è raccontata da Ouředník attraverso il filtro straniante
di un osservatore “esterno” che vede gli avvenimenti, li descrive, ma sembra
non riconoscerli: il suo sguardo è infatti attratto più dalla combinazione di
luoghi comune e aneddoti che dall’importanza storica degli avvenimenti stessi.
È come se in un batter d’occhio la complessa storia politica, economica,
sociale e culturale del XX secolo fosse stata trasportata sulle pagine della
cronaca di un giornale di terz’ordine. E improvvisamente la nostra memoria
entra in un corto circuito senza uscita: riconosciamo gli episodi narrati, ci
stupiamo della loro tragica stupidità, e paradossalmente solo allora ne
percepiamo fino in fondo la mostruosità. Attraverso questo specchio deformato
guerra, positivismo, corruzione dei costumi, scoperta dei contraccettivi e del
reggiseno, sette religiose, mode, psicoanalisi, eugenetica, genocidi, camere a
gas, scientology, la bambola Barbie, nazismo, comunismo, e i mille altri slogan
del XX secolo che ancora risuonano nelle nostre orecchie, sono resi ancora più
folli dall’apparenza “storica” del romanzo (ulteriormente accentuata dai
titoletti a margine dei paragrafi, che avvicinano anche tipograficamente il
libro a un manuale liceale, se non addirittura a una cronaca medievale)…
Ciò che mi interessa nella scrittura – in quella degli altri
come nella mia – è quello che di solito viene definito «la verità di un’epoca».
Il termine è senz’altro estremamente vago perché in ogni epoca esistono e
coesistono verità diverse, verità molteplici. Il gioco consiste allora nel
tentativo di raccogliere, di abbracciare questa moltitudine, questa pluralità
di cose. Un autore dispone di diversi mezzi, il più consueto dei quali è il
confronto dei destini, delle vite umane nell’ottica della microstoria.
Per quanto mi riguarda, tento, almeno in alcuni dei miei libri, di applicare un principio un po’ diverso, a partire dalla premessa che è possibile prendere come sinonimo della «verità di un’epoca» la lingua di quell’epoca, il che significa appropriarsi di un certo numero di tic di linguaggio, di stereotipi e di luoghi comuni per fare in modo che agiscano e che si confrontino alla stessa stregua dei personaggi di un racconto tradizionale”. (P. Ourednik)
da qui
Per quanto mi riguarda, tento, almeno in alcuni dei miei libri, di applicare un principio un po’ diverso, a partire dalla premessa che è possibile prendere come sinonimo della «verità di un’epoca» la lingua di quell’epoca, il che significa appropriarsi di un certo numero di tic di linguaggio, di stereotipi e di luoghi comuni per fare in modo che agiscano e che si confrontino alla stessa stregua dei personaggi di un racconto tradizionale”. (P. Ourednik)
Noe, esautorato dal comando il capitano Ultimo. Coordinava indagini su mafia, politica e coop - Pino Corrias
La comunicazione del generale Del Sette
all’ufficiale che arrestò Riina e coordinava le inchieste del Noe: niente più
funzioni di polizia giudiziaria. Salta il 4 agosto dopo l'intercettazione
Adinolfi (Gdf)-Renzi pubblicata il 10 luglio
Astutamente nascosta nelle pieghe più
calde dell’estate una lettera del Comando generale dei carabinieri datata 4
agosto spazza via il colonnello Sergio
De Caprio, nome in codice Ultimo,
dalla guida operativa dei suoi duecento uomini del Noe,
addestrati a perseguire reati ambientali, ma anche straordinari segugi capaci
di scovare tangenti, abusi, traffici di denari e di influenza. Uomini che
stanno nel cuore delle più clamorose inchieste di questi ultimi anni
sull’eterna sciagura italiana, la corruzione.
La lettera che liquida Ultimo è perentoria.
La firma il generale Tullio
Del Sette, il numero uno dell’Arma. Stabilisce
che da metà agosto il colonnello De Caprio non svolgerà più funzioni di polizia
giudiziaria, manterrà il grado di vicecomandante del Noe, ma senza compiti
operativi. Motivo? Non specificato, normale avvicendamento. Anzi: “Cambiamento
strategico nell’organizzazione dei reparti”. Cioè? Frazionare quello che fino
ad ora era unificato: il comando delle operazioni.
Curiosa l’urgenza. Curioso il metodo.
Curioso il momento, vista la quantità di scandali e corruzioni che il persino
presidente della Repubblica Sergio
Mattarella ha definito “il germe distruttivo della
società civile”.
Pubblicità
Scontata la reazione di De Caprio che in
data 18 agosto, prende commiato dai suoi reparti con una lettera avvelenata
contro i “servi sciocchi” che abusando “delle attribuzioni conferite”
prevaricano “e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e
sostenere”. Lettera destinata non a chiudere il caso, ma a spalancarlo in
pubblico.
Eventualità non nuova nella storia
dell’ex capitano Ultimo, quasi mai in sintonia con le alte gerarchie dell’Arma
che non lo hanno mai amato. Colpa del suo spirito indipendente, della sua
velocità all’iniziativa individuale. Di quella permanente difesa dei suoi
uomini e dei suoi metodi di indagine da entrare in collisione con i doveri
dell’obbedienza e della disciplina. Già in altre occasioni hanno provato a
trasformarlo in un ingranaggio che gira a vuoto. Fin dai tempi remoti
dell’arresto di Totò
Riina – gennaio 1993 – che gli valse non una
medaglia, ma la condanna a morte di Cosa nostra, poi un ordine di servizio che
lo estrometteva dai Reparti operativi, poi un processo per “la mancata
perquisizione del covo” da cui uscì assolto insieme con il suo comandante di
allora, il generale Mario
Mori. Per non dire di quando provarono a
metterlo al caldo tra i banchi della Scuola ufficiali, a privarlo della scorta
– anno 2009 – riassegnatagli dopo la rivolta dei suoi uomini che si erano
raddoppiati i turni per proteggerlo.
Ripescato dal ministero dell’Ambiente,
messo a capo del Noe, Sergio De Caprio ha trasformato i Nuclei operativi
ecologici a sua immagine, macinando indagini, rivelazioni. Oltre a molti e
sorprendenti arresti, da quelli di Finmeccanica ai più recenti per gli appalti
de L’Aquila.
L’elenco è lungo come un film. Si
comincia dai conti di Francesco
Belsito, quello degli investimenti della Lega
Nord in Tanzania e dei diamanti, il tesoriere del Carroccio che a forza di
dissipare milioni di euro come spiccioli, ha liquidato l’intero cerchio magico
di Umberto Bossi. Poi Finmeccanica. Con il clamoroso arresto di Giuseppe Orsi, l’amministratore delegato del gruppo e di Bruno Spagnolini di Agusta, indagati per una tangente di 51 milioni di
euro pagata a politici indiani per una commessa di 12 elicotteri. E ancora.
L’arresto di Luigi
Bisignani indagato per i suoi traffici di
informazioni segrete e appalti per la P4, coinvolti gli gnomi della finanza e
della politica, spioni, e quel capolavoro di Alfonso Papa, deputato Pdl, che aveva un debole per i Rolex
rubati.
Poi le ore di confessioni di Ettore Gotti Tedeschi il potente banchiere dello Ior, interrogato sulle
operazioni più riservate della banca vaticana dietro le quali i magistrati
ipotizzavano il reato di riciclaggio. Le indagini sul tesoro di Massimo Ciancimino seguito fino in Romania; quelle su una banda di
narcotrafficanti a Pescara, e persino quelle recentissime su Roberto Maroni, il presidente di Regione Lombardia, accusato di
abuso di ufficio per aver fatto assumere due sue collaboratrici grazie a un
concorso appositamente truccato. Per finire con le inchieste sulla Cpl
Concordia, la ricca cooperativa rossa che incassava appalti in mezza Italia,
distribuiva consulenze, teneva in conto spese il sindaco pd di Ischia, Giosi Ferrandino, e per sovrappiù comprava vino e libri da un amico
speciale, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Inchieste in cui compaiono anche due sensibilissime
intercettazioni, tutte pubblicate in esclusiva dal Fatto lo scorso 10 luglio.
La prima – 11 gennaio 2014 – è quella
tra Renzi e il generale della Gdf Adinolfi,
nella quali l’allora soltanto leader del Pd svelava l’intenzione di fare le
scarpe a Enrico
Letta per spodestarlo da Palazzo Chigi. La
seconda – 5 febbraio 2014 – è quella relativa a un pranzo tra lo stesso
Adinolfi, Nardella (allora vicesindaco di Firenze), Maurizio Casasco (presidente dei medici sportivi) eVincenzo Fortunato (il
superburocrate già capo di gabinetto del ministero dell’economia) in cui si
faceva riferimento a ricatti attorno al presidente Napolitano per i presunti “altarini” del figlio Giulio. Tutto vanificato ora per il “cambiamento strategico
nell’organizzazione dei reparti”. Motivazione d’alta sintassi burocratica che a
stento coprirà gli applausi della variopinta folla degli indagati (di destra,
di centro, di sinistra) e la loro gratitudine per questa inaspettata via
d’uscita che riapre le loro carriere, mentre chiude quella di Sergio De Caprio.
Eventualità non del tutto scontata,
visto il malumore che in queste ore serpeggia dentro l’Arma, e vista la
reazione (furente e non del tutto silenziosa) dell’interessato che trapela
dalla lettera inviata ai suoi uomini, una dichiarazione di guerra, travestita
da addio.
Da
il Fatto Quotidiano del 21 agosto 2015
da
quiRabbia senza fine - Saverio Tommasi
Un cazzo di camion di merda sotto un sole diventato stronzo per
aver picchiato bastardo, lamiere senz’aria, portelloni schifosi sigillati
vaffanculo.
Il cazzo di camion parcheggiato sulla destra di una strada
stramaledetta e puttana dove tutti passano e loro ci sono rimasti, lì chiusi in
quaranta, morti soffocati sperando di lasciare
la merda e lo schifo nel loro Paese e trovando la morte e lo schifo in un altro
Paese.
Il cazzo di camion era parcheggiato in una piazzola dove ci si
ferma a pisciare, cagare e scambio di coppia, e loro sono morti senza
scambiarsi le coppie ma cagandosi addosso come succede quando uno muore, con il
conducente che è scappato perché durante il viaggio non ha sentito più i rumori
della gente che moriva, le parolacce di chi soffocava in una camera a gas senza
zyklon b, perché non è Auschwitz anche se Auschwitz è intorno a noi.
Quello che vedete nella foto è un camion normale e
non è colpa sua, anche se io me la rifaccio con lui, stronzo e bastardo di un
camion. Ma lo dico al camion per non farmi querelare da quelli che ho in mente
quando mi rivolgo al camion, ma voi pensate che invece lo dico proprio a loro e
li vedo uno per uno e il camion non c’entra nulla. Quello che fa lo show
all’Europarlamento. Quello che il suo nome ha il nome di una legge
sull’immigrazione. Quelli che su facebook «li caricano apposta già morti nelle
navi per impietosire i buonisti». Quelli che «ma dove li mettiamo tutti?».
Io non lo so dove cazzo li mettiamo, tutti, ma quella è la seconda
domanda. Stronzisti maledetti. La prima è evitare il vostro Auschwitz, ora.
martedì 25 agosto 2015
In memoria - Giuseppe Ungaretti (ricordo di Gianni)
Locvizza il 30 settembre 1916
Si chiamava
Moammed Sceab
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solonel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
so ancora
che visse.
leggendo questa notizia (la pena di morte alla roulette inferta da uno dei tanti ubriachi che anziché coricarsi o ammazzarsi prendono la macchina e poi "tragica fatalità", dicono) mi è venuta in mente questa poesia.
Gianni me lo ricordo da bambino, i nostri genitori erano entrambi poliziotti, lo vedevo sempre a passeggio col padre, a ritmo sostenuto.
qui un bel ricordo del "suo" regista.
che visse.
leggendo questa notizia (la pena di morte alla roulette inferta da uno dei tanti ubriachi che anziché coricarsi o ammazzarsi prendono la macchina e poi "tragica fatalità", dicono) mi è venuta in mente questa poesia.
Gianni me lo ricordo da bambino, i nostri genitori erano entrambi poliziotti, lo vedevo sempre a passeggio col padre, a ritmo sostenuto.
qui un bel ricordo del "suo" regista.
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