Lo Stato canaglia
per eccellenza del Medio Oriente, l’Arabia Saudita, ha iniziato il 2016 esattamente come
aveva concluso il 2015: ammazzando gente. 47 esecuzioni capitali per
decapitazione o fucilazione in un solo giorno. Il che vuol dire che il secondo giorno
dell’anno il regime wahabita ha già messo a morte un terzo delle persone uccise
nel 2015 (157, secondo il calcolo delle diverse organizzazioni umanitarie) e
più di metà di quelle uccise nel 2014 (87).
La
pena di morte, in Arabia Saudita, è sempre meno uno strumento, pure
allucinante, della giustizia penale e sempre più uno strumento di controllo
sociale, usato senza alcun ritegno dall’accoppiata re-muftì. Il re Salman al-Saud, sul trono da meno di un anno,
e Sheikh Abdul Aziz Alal-Sheikh, gran muftì dal 1999, per il quale parlano certe fatwa: per
esempio, nel 2012, l’invito a distruggere tutte le Chiese cattoliche della
penisola arabica e, sempre quell’anno, la conferma della legittimità del
matrimonio coatto per le bambine di 10 anni.
Vedremo
se la stampa internazionale, domani, parlerà di “svolta storica” per l’Arabia
Saudita, come si precipitò a fare, poco tempo fa, per l’elezione di 13 donne in
una tornata elettorale disertata dagli elettori (25% di affluenza ai seggi)
perché coreografica e ininfluente.
Nell’attesa,
molti si sono concentrati sulla messa a morte dello
sceicco Nimr al-Nimr, influente esponente della comunità sciita, minoritaria in Arabia Saudita (10-15%
della popolazione) ma forte nella provincia del Qatif, affacciata sul Golfo
Persico, ricca di riserve petrolifere (produce 500 mila barili al giorno dal
2004) e vicina al Bahrein. Con la Primavera araba del 2011, Nimr al-Nimr era
diventato una figura di punta nella contestazione al regime e nella richiesta
di maggiori diritti per le minoranze religiose. Gli sciiti del Qatif avevano
anche cominciato a chiedere la separazione dall’Arabia Saudita e l’annessione
al Bahrein, dove gli sciiti sono maggioranza (70% della popolazione) ma
soggetti alla monarchia sunnita degli Al Khalifa.
Richiesta
che aveva fatto scattare la repressione: gli Al Khalifa chiesero
l’intervento dell’Arabia Saudita che mandò in Bahrein l’esercito, con tanto di
forze corazzate. Morti,
feriti, prigionieri politici e torture a seguire, senza alcuno scandalo
internazionale. Al contrario, con la benevola approvazione del premio Nobel per
la Pace Barack Obama.
Mettere
a morte Al Nimr, oltre a molti altri personaggi che avevano come colpa
soprattutto quella di opporsi agli Al Saud, non vuol dire tanto cercare lo
scontro con gli sciiti, perché questo scontro va avanti da secoli e non saranno
queste esecuzioni a cambiarne la natura o la radicalità. Vuol dire soprattutto
ricordare all’Occidente che il patto col diavolo dev’essere rispettato. L’Occidente che sventola la bandiera della
democrazia, e della sua diffusione in Medio Oriente, non deve impicciarsi della
penisola arabica, dove pure la democrazia è
fatta a pezzi. Le maggioranze controllate da minoranze possono farsi sentire
altrove, tipo in Siria. Ed essere anche armate, finanziate, organizzate,
sponsorizzate all’Onu e in ogni dove. Ma non in Bahrein.
E l’Arabia Saudita può fare ciò che vuole: appoggiarsi a una delle versioni dell’islam più retrive per giustificare la repressione politica, esportare il credo wahabita nel mondo, finanziare quasi tutti i movimenti islamisti più radicali, fomentare guerre civili, intervenire militarmente in altri Paesi, bombardare villaggi e città dello Yemen (quasi 6 mila morti, tra i quali tantissimi bambini, nella guerra contro i ribelli sciiti Houthi), appoggiare gli islamisti in Siria. Per noi va tutto bene.
E l’Arabia Saudita può fare ciò che vuole: appoggiarsi a una delle versioni dell’islam più retrive per giustificare la repressione politica, esportare il credo wahabita nel mondo, finanziare quasi tutti i movimenti islamisti più radicali, fomentare guerre civili, intervenire militarmente in altri Paesi, bombardare villaggi e città dello Yemen (quasi 6 mila morti, tra i quali tantissimi bambini, nella guerra contro i ribelli sciiti Houthi), appoggiare gli islamisti in Siria. Per noi va tutto bene.
Al
momento in cui scrivo, Barack Obama non ha aperto bocca sulle 47 esecuzioni.
Forse è meglio così: probabilmente direbbe “l’Arabia Saudita ha diritto di
difendersi”, come se non bastassero i 27 mila soldati Usa sul Golfo Persico, le
basi, le imponenti forniture di armi che da due anni fanno proprio
dei sauditi i maggiori acquirenti e importatori di armi del mondo (primi, con 20 milioni di abitanti,
davanti all’India, grande come un continente e con 1,3 miliardi di abitanti).
Del resto, Obama portò la famiglia e mezzo Governo Usa a piangere ai funerali
del re saudita Abdallah, un anno fa, e quindi non c’è molto da aspettarsi.
Nulla dirà anche il
presidente francese Hollande, visto
che solo due mesi fa il suo premier Manuel Valls andò a Riad e twittò
orgoglioso per i 10 miliardi in contratti che riportava a casa, anche sotto
forma di vendita di armi. Tacerà anche Matteo Renzi
che pure non ama tacere: quando
andò a Mosca si precipitò a portare fiori sul ponte dov’era stato ucciso Boris
Nemtzov, oppositore di Vladimir Putin. Dubito che farà lo stesso gesto per Al
Nimr: anche Renzi è stato da poco in Arabia Saudita, anche lui ha firmato
contratti, ha dispensato sorrisi ed è tornato a casa. In silenzio.
Non ho parole. Solo un'immensa tristezza. E, quasi quasi, il rimorso di aver generato dei figli che dovranno vivere in questo tipo di mondo ...
RispondiElimina"un grande avvenire dietro le spalle" era il titolo di un libro di Vittorio Gassmann...
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