Le scarpe di Saddam Absalah,
Son quelle indossate da mio nonno sulla Marmolada,
Non lo hanno protetto
I sandali di Jasmine Gasim li aveva mia nonna nei campi del padrone,
Non l’hanno sfamata.
Ai piedi di Nadia Baryul un pezzo di copertone di auto: zoccoli da strada,
Non le hanno reso leggero il cammino.
I mocassini di Som Shep non sono suoi,
qualcuno li ha indossati a lungo prima di lui
Non sono stati gentili
Arcadia Hamid aveva zoccoli dispari,
Come i suoi occhi divergevano le strade e gli orizzonti.
Hamusa Abdullai era fiera e speranzosa sulle sue suole, davanti il mare,
Non l’hanno tenuta a galla.
Idriss Boussaid aveva scarpe da tennis con la virgola stampata
Ora è Punto e a capo.
Zaida Haj stava in braccio a sua madre,
Aveva solo calze e piedi minuscoli: non erano pinne.
Amal sheikh era laureata, conosceva 5 lingue
Nessuno l’ha sentita gridare.
Fatima Kwajale non era ancora nata
Dall’acqua dolce è passata a quella salata
Nemmeno calze ha mai indossato.
Piedi e scarpe: i primi a fondo
Le seconde a galla
Su onde dove l’umanità s’è persa.
Non lo hanno protetto
I sandali di Jasmine Gasim li aveva mia nonna nei campi del padrone,
Non l’hanno sfamata.
Ai piedi di Nadia Baryul un pezzo di copertone di auto: zoccoli da strada,
Non le hanno reso leggero il cammino.
I mocassini di Som Shep non sono suoi,
qualcuno li ha indossati a lungo prima di lui
Non sono stati gentili
Arcadia Hamid aveva zoccoli dispari,
Come i suoi occhi divergevano le strade e gli orizzonti.
Hamusa Abdullai era fiera e speranzosa sulle sue suole, davanti il mare,
Non l’hanno tenuta a galla.
Idriss Boussaid aveva scarpe da tennis con la virgola stampata
Ora è Punto e a capo.
Zaida Haj stava in braccio a sua madre,
Aveva solo calze e piedi minuscoli: non erano pinne.
Amal sheikh era laureata, conosceva 5 lingue
Nessuno l’ha sentita gridare.
Fatima Kwajale non era ancora nata
Dall’acqua dolce è passata a quella salata
Nemmeno calze ha mai indossato.
Piedi e scarpe: i primi a fondo
Le seconde a galla
Su onde dove l’umanità s’è persa.
Settecento sono i bimbi scomparsi negli ultimi dodici
mesi nelle acque del Mediterraneo nel tentativo di fuggire dalla guerra dalla
fame e dalla disperazione.
Due gli anni del bimbo inghiottito, il tre gennaio, dalle onde.
Due gli anni del bimbo inghiottito, il tre gennaio, dalle onde.
È lacerante solo provare ad immaginare il dolore dei
genitori, quelli sopravvissuti, che li hanno accompagnati nel viaggio, costoso
in tutti i sensi. Le illusioni, le istantanee di un futuro possibile per questo
e altri figli, che sono anche nostri, non dovremo mai dimenticarlo. Figli dei
mostri che stiamo diventando, abituati a tutto: ai numeri degli annegati come
ai numeri “incisi” con il pennarello sul corpo dei sopravvissuti.
I numeri, spaventosi per l’ecatombe che significano,
rischiano però di cancellare l’umanità dolente che racchiudono se non sapremo
collegarli agli esseri umani che rappresentano. Secondo i dati Amnesty dal 1988
al 2015 i morti annegati conosciuti – in quello che ormai è il diventato mare
Monstrum – sono 23344, ventitremilatrecentoquarantaquattro, uomini donne e
bambini spesso senza nome, che il nome è quello capace di evocare il volto e la
storia che custodisce, nomi che dovremo scrivere, storie che dovremo imparare a
far rivivere e raccontare. Ventitremilatrecentoquarantaquattro vite interrotte,
molte delle quali si sono concluse a Lampedusa, piccola isola ancorata nel
Mediterraneo dove hanno provato a ricordarle, i generosi abitanti che convivono
quotidianamente con il dramma dei naufragi, nel piccolo cimitero che ha accolto
tante spoglie di migranti.
Non si fregia di nomi certi questo cimitero come avviene,
per esempio nell’ordinato cimitero di guerra di Colleville sur mer, quello che
ricorda i 9387 caduti durante lo sbarco in Normandia. Tuttavia è proprio
nell’imperfezione del suo "disordine" che a Cala Pisana, si avverte
la tragedia: una sola è la croce – fatta, come tutte le altre con il legno
delle barche dei migranti – che si fregia di un nome, eppure quel nome è capace
di raccontare la Pietas che potrebbe ancora unire gli esseri umani.
Di questa Pietas avverto sempre più il bisogno, per
incidere nella memoria il volto del bimbo del tre gennaio, quelli che lo hanno
preceduto e gli uomini e le donne che lo hanno accompagnato nel cimitero che
rischia di diventare la nostra civiltà, se non sapremo collegare i
Ventitremilatrecentoquarantaquattro esseri umani inghiottiti dalle onde, alla
vita che hanno vissuto e a quella che hanno sognato. Solo calzando, anche per
poco, le scarpe di questi nostri simili, nella rappresentazione delle paure,
nei progetti, nel viaggio in mare che li ha segnati, potremo essere capaci di
sentirli, vederli, onorarli.
Nessun commento:
Posta un commento