La notte nera di
Colonia, quella degli assalti sessuali di fine anno, è al tempo stesso un fatto
inedito e già visto. A renderla particolare è il contesto in cui è accaduta:
l’Europa contemporanea verso cui affluiscono migliaia di uomini sradicati e
impreparati ad affrontarne i costumi.
E la Germania che ambivalente li accoglie, la difficile convivenza in questo
tempo di grandi paure e frontiere che risorgono. Dai racconti delle vittime
gronda la sensazione di una sopraffazione individuale accompagnata da uno
spregio di genere, dalla risposta delle autorità un inatteso livello di
ingenuità (l’invito del sindaco a tenere gli sconosciuti a distanza di un
braccio) insieme con una confusione che, a distanza di sei giorni, ancora non
consente di delineare con assoluta certezza le responsabilità, lasciando che il
senso delle testimonianze oscilli tra veridicità fattuale e psicosi di massa.
Si ha comunque l’impressione di una catena di azioni con una matrice comune, di
una forma di violenza straordinaria per le modalità, la tempistica, l’estensione
e, incredibilmente, l’impunità.
Ma
esiste anche un dato universale e atemporale in quell’aggressività, propria del
maschio, più ancora: del maschio sessualmente arretrato. Leggendo le cronache
mi sono riaffiorati due ricordi rimossi dal tempo e dal pudore: uno relativo
alla Bologna della mia adolescenza, quarant’anni fa, l’altro al Cairo di inizio
millennio. Tra questi due e la notte di Colonia esiste un filo che disegna
l’identikit del colpevole.
Parto
da Bologna, all’inizio degli Anni Settanta. Era la città non ancora sazia, né
disperata in cui fermentavano avanzi di goliardia e laboratori di ogni genere.
Veniva il carnevale e portava con sé le sue tradizioni. Di alcune, le solite e
scontate, parlavano i notiziari. Poi c’era altro: esistevano i riti di una
sottocultura maschile e puberale e avevano a che fare, quasi inevitabilmente,
con la violenza e la sessualità. Alla vigilia del martedì grasso ci si
procuravano due cose: un manganello di plastica e un flacone gigante di schiuma
da barba. Oggetti apparentemente innocui, non fosse che al manganello, uno di
quegli aggeggi creati per emettere un suono buffo quando colpiscono, veniva
tolto il tappo sul fondo per riempirlo d’acqua e poi richiuderlo, rendendolo un
corpo contundente.
Così
“armati” ci si radunava in bande e si convergeva sul centro storico. Non c’era
internet: nessun post o tweet dava il via o dirigeva l’operazione, né lo faceva
una radio privata e neppure un volantinaggio clandestino. Era un fenomeno, per
così dire, spontaneo. Si battevano strade e vicoli in formazione a testuggine
con due scopi: scontrarsi con un’altra banda o assalire e palpeggiare ragazze.
Nel primo caso si sarebbe fatto uso dei manganelli pieni d’acqua, nel secondo
della schiuma, sporcando le vittime, mirando prima al volto per impaurirle e
poi al resto del corpo per “marchiarle”, seppure in modo rimediabile, e intanto
approfittarne. Ho usato il modo condizionale perché la maggior parte del
pomeriggio trascorreva tra falsi allarmi e avvistamenti di donne miraggio.
Qualche volta tuttavia la preda si materializzava e l’assedio avveniva, fino
alla conquista del trofeo: il reggiseno.
L’ho
visto succedere e, diversamente dagli scontri a manganellate, non sono riuscito
a prendere parte. Cercando di definire quel che provavo e ammetto che era un
misto di repulsione e attrazione. Lo verifico adesso perché, con quarant’anni
in più, ho gli strumenti per farlo. Così come ho potuto verificare che si
cresce anche e soprattutto per sottrazione, scartando modelli di comportamento
condivisi nella realtà in cui si è immersi e che il coraggio si manifesta anche
e soprattutto per negazione, rifiutandosi di compiere un gesto. Ma c’era anche
quell’altro aspetto, l’attrazione: eravamo ragazzi di tredici o quattordici
anni, sessualmente ignari. L’assalto fisico si fermava al palpeggiamento, ma
questo non lo rendeva certo meno sgradevole. Simile, tuttavia, a quanto
avvenuto nella maggior parte dei casi a Colonia.
Pensandoci,
mi sono ricordato del festival del cinema al Cairo. Era l’unica occasione in
cui la censura non interveniva sui film. Già ore prima sul marciapiede si
radunava un folla di uomini eccitati alla prospettiva di una pellicola d’autore
polacca.
Una
volta in sala si creava un clima da “martedì grasso”. Ricordo una proiezione di
Respiro di Crialese in cui all’unisono i pescatori siciliani del film vedendo
Valeria Golino in topless le urlano «Bottana» e gli spettatori egiziani (senza
aver capito una parola) urlano la sua traduzione: « Sharmuta ». Poi la tensione
sessuale saliva, le poche donne in sala venivano circondate e molestate e una
volta finita la proiezione quel clima si trasferiva all’esterno. Finché le
autorità del Cairo e di Bologna presero provvedimenti per le due diverse
circostanze.
Quelle
di Colonia dovranno scoprire che cosa è davvero accaduto la notte di Capodanno
e reagire. Di certo siamo davanti all’azione di un branco di maschi con la
sessualità di un adolescente di quarant’anni fa e per di più vigliacco.
(apparso
su la Repubblica • 7 Gen 16)
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