Creare dei mostri
comporta, prima o poi, il rischio di non saperli più controllare. A pochi
giorni dall’attentato di Istanbul sembra questa la condizione del presidente
turco Recep Tayyip Erdoğan e del suo premier Ahmet Davutoğlu, ora che
l’incendio che hanno contribuito ad appiccare dal proprio vicino siriano
comincia a divampargli in casa.
Comincia
a pagare pegno, Erdogan, per la scelta di utilizzare i gruppi jiadisti in
funzione del suo delirio neo ottomano. Credeva che la destabilizzazione
della Siria a proprio vantaggio, le prospettive di spartizione dei suoi
territori e risorse, valessero il prezzo di qualche collaborazione discutibile,
sia che si trattasse di al-Nusra, braccio siriano di al-Qāida, o delle
formazione di Abu Bakr al Baghdadi (meglio conosciuta come Isis, ma che qui si
preferisce indicare col termine dispregiativo arabo di Daesh).
Credeva
valesse la pena l’utilizzo di siffatti alleati nell’ambito della
strategia della tensione, quando gli attentati di Soruk e di Ankara fecero
strage fra le file dell’opposizione curda e di sinistra. E che valesse la
pena mandare avanti loro, quando si trattò di attaccare la regione
autonoma del Rojava, un ostacolo alle mire espansioniste di Ankara, oltre che
un pericoloso esempio per il Kurdistan turco.
Ma
al-Qāida e Daesh sono organizzazioni con obiettivi e strategie proprie che
giocano la loro partita su un piano internazionale più vasto, e
difficilmente si fanno ridurre a mera manovalanza. Se credono,
mordono la mano anche di chi li ha nutriti.
Comunque,
per quelli che oggi vaneggiano di grandi coalizioni contro il terrorismo al
fianco del nostro alleato anatolico, è utile ripercorrere brevemente gli
eventi che hanno preceduto la battaglia di Kobane, per capire chi ha
risvegliato il mostro, chi lo ha nutrito.
Cronache dal Rojava
Si
è detto che i carri armati di Erdogan schierati sulle colline di Kobane,
immobili di fronte all’offensiva del Daesh sulla città e apparentemente
indecisi su chi sparare, rappresentino l’immagine più eloquente dell’ambiguità
della Turchia. È falso.
La
Turchia non è mai stata ambigua. Ha sempre sparato senza incertezze sui curdi
siriani, senza peraltro mai smettere di sparare sui propri.
L’attacco
di Erdogan al Rojava per interposti jiadisti prese il via nell’agosto 2013
dalla zona di Efrin, la parte più occidentale della regione autonoma. Lì le
forze speciali turche vennero viste in azione a fianco dei miliziani di
al-Nusra, il braccio siriano di al-Qāida. Entrarono, con i volti coperti da
passamontagna, nel villaggio di Karagöz, da dove portarono via tre anziani…
Nessun commento:
Posta un commento