(…) Parlando da cristiano (…), ci tengo a dire che il
momento che stiamo vivendo è proprio il momento in cui dobbiamo abbattere (noi ne siamo i primi responsabili) quella che
chiamerei l’ideologia cattolica, come ideologia
di copertura del mondo borghese, il quale mondo borghese trova
vantaggio nel coprire i suoi obiettivi di conservazione sociale con dei valori
cosiddetti cristiani che hanno ancora una grandissima forza di suggestione
nelle coscienze.
La difesa della famiglia cristiana è un aspetto
dell’ideologia cattolica che, molto di più di quanto potremmo pensare, nasconde
la volontà di conservare un certo tipo di società e un certo tipo di sistema di
rapportidi
proprietà. Alzare quindi questo velo è in un sol momento recuperare la
possibilità di un rapporto più vivace, più liberatorio col Vangelo e
smascherare le reali intenzioni della classe dominante. (…)
Non esiste un modello cristiano di famiglia
Che cosa si nasconde, però, dietro questo cosiddetto
modello cristiano della famiglia? È lecito attribuire al messaggio
cristiano un modello di famiglia quale quello che abbiamo ereditato dal passato
e che ancora sopravvive? Ecco, la risposta è subito no. Si tratta appunto
di una menzogna, non di quelle architettate da chi sa quale mal intenzionato,
ma di quelle menzogne che nascono per una specie di escrescenza storica
progressiva, sulla spinta di altre ragioni che non sono di tipo ideale, ma
pratico.
Non esiste la “famiglia cristiana”, essa è appunto un
falso valore. Io vorrei
mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione, ricercando anche le
ragioni per cui essa è nata e si è fatta valere e riferendoci con coscienza
liberata alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo in movimento tra le forze
che mirano a far crescere la nostra società e liberarla anche da altre
schiavitù.
Che cosa intendiamo quando si parla di modello
cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento
giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla
Chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della
famiglia, che, anche indipendentemente dall’ordinamento giuridico-canonico, si
è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia
tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.
(…) I primi cattolici non avevano un
ordinamento giuridico proprio della famiglia. Essi vivevano la vita di
famiglia, ed anche diremmo istitutivi, secondo il costume del tempo. Non c’era,
per dir così, il matrimonio in chiesa; non c’era una anagrafe o un tribunale
ecclesiastico per i matrimoni, non c’era il prete, al matrimonio. I cattolici
si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro
matrimonio un ordinamento giuridico particolare all’interno del generale
ordinamento giuridico della società in cui vivevano, specialmente in quella
romana.
Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il
matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il
padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d’accordo con la
famiglia del promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere
nulla, perché questo era il costume.
Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un
modello di “famiglia cristiana”. Così, per quanto riguarda il modello etico
della famiglia, non esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei
primi secoli. C’è una visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al
riferimento a Cristo. Non esiste peròun ideale di
famiglia con particolari contenuti morali. La prassi familiare si modellava
sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un
rigore morale, un rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe
degenerazioni; però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l’etica
degli stoici o dei pitagorici. Quindi il cristianesimo non si presenta con una
sua etica familiare formulata nei primi tempi.
Come nasce il modello cristiano della famiglia
Solo quando la Chiesa, dopo Costantino, e precisamente
con Giustiniano, acquista una responsabilità di tipo sociale, per cui tutti i
momenti della vita sociale vengono gestiti dal clero, incomincia a formarsi un
ordinamento matrimoniale cristiano che, come vedremo, si è poi accresciuto, si è
arricchito, si è accreditato in ogni modo fino a trovare il suo sigillo nel
Concilio di Trento e a diventare anche un modello di ispirazione per molti
ordinamenti giuridici civili. Il codice napoleonico fu in gran parte tributario
di questa tradizione giuridica della Chiesa medioevale.
Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto
cristiano ha veramente obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle
esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia
cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con
tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un
prodotto storico e, come tale, relativo.
Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di vista diremo dell’individuazione culturale, che
significhi difendere in una società pluralistica un modello cristiano di
famiglia, perché non so quale sia questo modello, perché non si dà un
modello proprio del cristiano.
La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come
prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi,
particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo
sfruttamento che sono tutti da rifiutare.
Caratteristiche superate della famiglia cristiana
Quali sono queste caratteristiche storiche da
considerare superate? Innanzitutto è chiaro che l’unità della famiglia
cristiana usufruiva di un dato economico, era l’unità patrimoniale. Il padre di
famiglia era l’unico responsabile del patrimonio familiare, era lui l’unica
figura economica della famiglia. E quindi l’unità della famiglia, anziché
essere il prodotto della scelta cosciente dei coniugi, era un portato fatale
dell’indivisibile unità patrimoniale. Che cosa avrebbe potuto fare una buona
donna cristiana, si fa per dire, di ceto povero, se avesse avuto mille motivi
per lasciare il marito: andare a morire di fame o essere rifiutata dalla
società abbiente come donna deplorevole, di cattivi costumi, ecc. La
donna era legata a questo giogo dell’indissolubile monarchia economica del
padre di famiglia.
A reggere l’indissolubilità della famiglia, oltre a
questa ragione economica, esisteva un ambiente cosiddetto monoculturale, cioè a
cultura unica, per cuitutti gli elementi culturali dell’ambiente spingevano
a ricercare la propria identità nella famiglia di appartenenza. Una
donna non aveva un suo mondo culturale. I figli non avevano un mondo
culturale autonomo. Non c’erano spazi diversi per l’esperienza di vita. La
famiglia rappresentava il luogo normale e continuativo dell’esperienza
culturale. L’unità quindi si manteneva perché mancavano forze centrifughe,
aperture di orizzonti diversi per i componenti della famiglia. Pensate, ad
esempio, al legame quasi fatale fra il lavoro del padre e del figlio.
In terzo luogo c’era la subordinazione della
donna all’autorità maritale, che era una norma assoluta. L’attività
pastorale della Chiesa ha in questo una specifica responsabilità, perché il
modello che si forniva alla donna era un modello di subordinazione al marito.
La “donna cristiana” è quella che dice sempre di sì al marito, che non ha in
nessun campo iniziativa propria, le cui virtù sono tutte una garanzia
alla tirannide maschile e i cui compensi mistificanti sono
l’essere l’angelo del focolare. Perfino san Paolo porta riflessi della
condizione sociale della donna dei suoi tempi, quando dice che la donna deve
essere sottoposta al marito, o deve coprirsi il capo quando entra in assemblea
perché il capo della donna è l’uomo. San Paolo non rivela niente che abbia
rapporto con la liberazione portata da Gesù Cristo. Assume norme di
comportamento proprie della società ebraica. (…)
Il matrimonio è per i figli. In realtà, pensate che
nel passato, anche in quel passato che certi nostalgici rimpiangono, il
consenso libero della donna al matrimonio era una circostanza neanche presa in
considerazione. La donna aveva così radicalmente accettato il modello impostole
dalla società e dalla Chiesa che aveva perfino vergogna a dire che desiderava
prender marito; magari lo desiderava con tutta se stessa, ma tale desiderio
rimaneva inibito. Doveva esser lei, la donna cercata. Doveva essere senza
iniziative e con un’etica del comportamento femminile che voi conoscete bene.
La stessa definizione della donna era di tipo
biologico. La donna si definiva in rapporto alla sua biologia: era
vergine o madre. Non persona, come l’uomo, capace di decidere della propria
vita indipendentemente dalla condizione biologica; ma legata strettamente a
questa, con delle sfere di mortificazione terribili, come la donna che non ha
sposato, la zitella, considerata una donna fallita.
Oggi ci troviamo nella situazione in cui lo sviluppo
della società ha messo in crisi le componenti di struttura che sorreggevano un
certo tipo di famiglia cosiddetta cristiana. Abbiamo una crisi della famiglia
che per molti è la crisi della famiglia cristiana, ma che invece è la crisi
della famiglia tradizionale e niente altro.
(…) Ora, secondo me, il Vangelo non ci dà
nessun esempio di famiglia precisa. Anche la sacra famiglia è un’invenzione
posteriore, borghese, perché la famiglia di Nazareth non è un modello
di famiglia, per il semplice fatto che, almeno nelle convinzioni di fede,
Maria e Giuseppe non erano autenticamente marito e moglie. Quindi, presentare
come modello di famiglia un modello in cui proprio l’aspetto principale non era
integro, significa fare una mistificazione.
Indicazioni evangeliche
Occorre domandarsi piuttosto in che senso il Vangelo
si apre a questa esperienza particolare della vita che è l’amore nella
famiglia, nella linea della liberazione (…). A me pare che ci siano dei
punti fermi, questa volta autenticamente fermi, a cui fare riferimento in
questo tentativo di recupero del significato evangelico che può avere la vita
nell’amore, la vita familiare. Innanzi tutto, è sicuramente un’affermazione di
fondo del Vangelo che dinanzi a Cristo non c’è nessuna differenza fra l’uomo e
la donna, dinanzi a Cristo non c’è né maschio né femmina. Quelle
discriminazione desunte dalla realtà sociologica, che hanno un riflesso nella
sacra scrittura, devono essere subordinate a questa che è l’autentica
rivelazione in rapporto alla resurrezione: in Gesù Cristo la disparità tra
l’uomo e la donna è abolita. Certo noi sappiamo che la parola del
Vangelo non si presta a diventare – guai del se lo facessimo – un fondamento
per nuovi ordinamenti giuridici; perché la parola del Vangelo, come si suol
dire, è parola profetica, cioè una parola che indica certe linee di crescita,
le quali sboccano in una totale liberazione cristiana. In secondo luogo,
secondo il Vangelo, la fedeltà non è il risultato di una legge esterna che
costringe, ma è un’espressione dell’amore.
Un’altra esigenza interna allo spirito evangelico è il
rifiuto della strumentalizzazione, del rendere l’altro uno strumento di
se. Espressioni bibliche quali “la persona umana è fatta a immagine di
Dio”, “amate i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo”, “amate le vostre mogli
come Cristo ama la Chiesa”, per un credente sono un invito decisivo a rifiutare
di fare dell’altra persona uno strumento di sé, si tratti dei rapporti fra
coniugi, si tratti di rapporti familiari. Questo rispetto della persona
significa garanzia del rapporto veramente comunitario, perché tra rapporto
comunitario e rapporto di società stabilito dalla legge c’è una differenza di
qualità: il rapporto comunitario in tanto è, in tanto vive, in quanto trova la
sua sorgente nel libero consenso e nel rispetto spontaneo della coscienza verso
l’altro; i rapporti societari invece sono quelli che si stabiliscono per forza
di legge.
La famiglia, istituzione legata alle condizioni
storiche
Siamo all’ultimo punto: non dobbiamo cadere in un così
ingenuo evangelismo da credere che la famiglia non interessi la società, che
debba essere riferita soltanto all’esperienza spirituale. Ogni espressione
dell’uomo, ma la famiglia in particolar modo, in quanto si innesta nei rapporti
sociali generali, ha bisogno di istituzionalizzarsi. La istituzionalizzazione è
un momento di serietà umana, il momento in cui si traduce in norma esterna la
responsabilità di fronte alla società intera. Però, non è con questo
momento istituzionale che si definisce la famiglia. Il momento istituzionale è
quello in cui l’esperienza della famiglia assume rapporti e responsabilità con
l’insieme della realtà sociale. E la società, come tale, ha bisogno di tutelare
la famiglia, di farsene garante in qualche modo, di proteggerne e favorirne lo
sviluppo. Ma questo momento, lo ripeto, è del tutto legato alle condizioni
storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni storiche; perciò
oggi c’è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.
La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia c’è la poligamia, poi
si è acquisito il concetto della famiglia monogamica, che forse è un concetto
irrinunciabile. Però non si deve dire che è la natura che l’ha voluto, perché
questo significa attribuire alla natura astratta delle conquiste storiche che
sono invece relative anch’esse.
Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà
cambiare struttura. Il concetto del diritto naturale è un concetto
dell’immobilismo borghese, con cui si sono voluti rendere eterni e immutabili
alcuni rapporti che erano funzionali alla società borghese. E qual è
il criterio con cui la famiglia deve cambiare struttura? È quel di più di
libertà che l’uomo deve avere. Quando diciamo libertà non
parliamo della libertà soggettivistica identica al libero arbitrio, ma di una
libertà in cui veramente l’esistenza dell’uno sia garanzia e condizione della
libertà di tutti gli altri.
Questa crescita della famiglia presuppone un nuovo
diritto familiare in cui dovrà essere anche previsto il caso nel quale la
fedeltà reciproca di indissolubilità non è più possibile. (…) E
naturalmente, quando si fa questa battaglia per un nuovo tipo di
famiglia, si deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di
società, perché se i rapporti economici rimangono quelli che sono poco vale il
modificare i rapporti giuridici. Al più avremmo un aggiornamento
neo-capitalistico della famiglia. (…)
* Questo intervento che Ernesto
Balducci fece in occasione del referendum sul “divorzio” del 1974 è apparso su
“Ernesto Balducci e il dissenso creativo” (libro curato di Enzo Mazzi ed edito
da manifestolibri nel 2002) e sul settimanale Adista.
** Figlio di un minatore
dell’Amiata, Ernesto Balducci è nato a Santa Fiora (Grosseto) nel 1922 ed è
morto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote, insegnante,
scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative contro la
guerra, è stato tra i fondatori della rivista Testimonianze nel 1958 e delle Edizioni
Cultura della Pace nel 1986. Tra i suoi libri: Il terzo millennio (Bompiani),
La pace. Realismo di un’utopia (Principato), L’uomo planetario (Camunia, poi
Ecp) e la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una cosa
(Ecp). Da segnalare anche il manuale di storia della filosofia, Storia del
pensiero umano (Cremonese). Un’ottima rassegna bibliografica preceduta da una
precisa introduzione biografica dedicata a Balducci è il libro di Andrea
Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant’anni di attività, Libreria Chiari, Firenze
1996.
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