Caro economista,
il compito che ci attende è
immane, serve il contributo di tutti, compreso il tuo. Per
questo mi rivolgo a te con un
appello scusandomi se le mie parole potranno sembrarti
irriverenti, ma il momento è
grave, non c’è più spazio per le etichette.
Le macerie sociali e ambientali
affiorano ovunque. Disoccupazione e povertà non
accennano a diminuire, le
disuguaglianze hanno raggiunto picchi mai visti nella storia
dell’umanità, i processi naturali
sono talmente sovvertiti da mettere a rischio la nostra
stessa sopravvivenza. Ma tu
continui a dirci che ci troviamo nel migliore dei mondi
possibili. Addirittura che non
esiste altro sistema all’infuori di questo.
Perciò mi rivolgo a te con una
preghiera, addirittura una supplica. Ti chiedo di
smettere di ingannarci. A partire
dalla tua funzione.
A te piace presentarti come un
ricercatore, uno scienziato asettico del sistema
economico. Ti piace paragonarti
al naturalista che studia i formicai. Ma mentre il
naturalista si limita a
osservare, tu pretendi di costruire leggi. Perciò ti sei trasformato
da scienziato in ideologo.
La tua presunzione più grave è
stata quella di aver voluto equiparare l’economia
alla natura. Ovviamente non mi
riferisco a te come persona, ma come categoria. So
bene che certi passaggi sono
stati realizzati secoli or sono dai tuoi predecessori, ma tu
conservi la responsabilità di
perpetrarli. Constatato che in natura vigono leggi
predeterminate, hai stabilito che
ogni altro aspetto del vivere umano, economia
compresa, è regolato da leggi
incontrovertibili. E ti sei messo a definirle con pretesa
di scientificità.
L’economia è come il galateo: è un’invenzione umana. Per alcuni ruttare è
mancanza di rispetto, per altri è
indice di gradimento del pasto consumato. Questione
opinabile. Ma se scrivi tomi su tomi
per descrivere il punto di espansione ideale dello
stomaco per sparare un bel rutto,
più che un’operazione scientifica fai un’operazione
culturale. Non solo dichiari da
che parte stai, ma induci la collettività a pensare che
ruttare sia bello. Risultato
garantito soprattutto se nessun altro scrive il contrario e
anzi l’inno al rutto è
propagandato in tutti i modi possibili.
Fuor di metafora, di economie
possibili ne esistono tante, ma tu ti sei concentrato
solo su una. E non quella che ti
convinceva di più, ma quella che ti conveniva di più.
Ti sei soffermato sull’economia
del vincitore perché non è arruolandoti nelle fila
degli oppositori che puoi
riempire la borsa, ma suonando alla corte dei dominatori.
I vincitori del nostro tempo sono
i mercanti. Non per conquista improvvisa, ma per
ascesa lenta a partire dal
Duecento. All’inizio quasi clandestini, negozianti di stoffe e
denaro fuoriusciti dal castello
feudale. Poi sempre più potenti e più ricchi, fino ad
avere la meglio sulla vecchia
classe nobiliare. E raggiunto il pieno controllo dei tre
poteri capitali, l’economico, il
politico e il militare, il loro problema è diventato il
consenso.
Come tutti i prìncipi, anche i
mercanti sanno che l’obbedienza si ottiene per
coercizione o per convinzione e
come tutti i prìncipi anche i mercanti hanno usato
entrambi le vie. La storia del
capitalismo è lastricata di morti, principalmente
lavoratori, caduti per mano di
polizie col mandato di reprimere senza pietà ogni
forma di opposizione.
Ma la sudditanza basata sulla
violenza è insostenibile. Nessun potere può reggersi
sulla repressione permanente.
Dopo un po’ o fa scattare il consenso o è finito. Per
questo tutti i poteri si
organizzano per attuare la peggiore delle violenze: il dominio
delle menti. E il sistema dei
mercanti non ha fatto eccezione, anzi è diventato un caso
di scuola.
Le tecniche di plagio collettivo
sono ormai consolidate e ruotano attorno a tre
fondamenti: il sovvertimento dei
valori, il rimodellamento degli stili di vita, la
manipolazione dell’informazione.
Il sovvertimento dei valori per modificare le
convinzioni profonde che stanno
alla base del modo di concepire i rapporti umani e
sociali. Il rimodellamento degli
stili di vita per far assorbire un’altra mentalità in
forza dell’abitudine. La
manipolazione dell’informazione per far passare una
percezione della realtà utile ai
disegni del potere.
Il sistema (il padrone avremmo
detto in altri tempi) ti ha chiesto di metterti a
disposizione per ognuno di questi
passaggi. E tu prontamente lo hai fatto, perché a
ben guardare il primo plagiato
sei tu. A forza di studiare le stesse teorie, di guardare
la realtà sempre dalla stessa
angolatura, sei diventato un fanatico privo di ogni
capacità critica. Le sole parole
che capisci sono quelle del mercante: denaro, mercato,
concorrenza, costi, ricavi,
profitti. Le persone viste solo come costi da comprimere.
La natura solo come merci da
vendere. Un mondo a senso unico dal quale sono stati
estromessi serenità,
soddisfazione, affettività, salute. In una parola, tutti gli aspetti
che fanno la felicità delle
persone.
E a chi cerca di farti notare l’assurdità
di una simile impostazione, contrapponi il
muro. Tu, unico depositario della
verità; tutti gli altri, pericolosi sovversivi da
annientare in ogni modo
possibile. Così da preteso scienziato ti sei trasformato in
custode, addirittura gendarme,
dell’ordine mercantile. Basta guardare le posizioni
difese dagli organismi
internazionali posti a fondamento del sistema economico
mondiale: Fondo monetario
internazionale, Banca mondiale, Organizzazione
mondiale del commercio.
Istituzioni alloggiate in palazzi immensi affollati da
migliaia di funzionari,
apparentemente economisti, in realtà gelidi kapò, che in nome
del mercato non si fanno scrupolo
a imporre regole che derubano lavoratori, cittadini
e comunità a vantaggio di
multinazionali, banche e fondi speculativi.
È sempre più evidente che all’interno
di questo sistema, dichiaratamente contro le
persone e l’ambiente, non
troveremo più le risposte ai nostri problemi. La
socialdemocrazia se n’è andata
per sempre, e anche senza rimpianto, visto che era
costruita sullo sfruttamento del
Sud del mondo. Per permettere a tutti di vivere
dignitosamente, nel rispetto dei
limiti del pianeta e della piena inclusione lavorativa,
bisogna ripensare totalmente il
sistema economico. Prima che negli aspetti
organizzativi, nei princìpi
fondanti, perché le economie sono il risultato dell’interesse
dominante. Nel mondo dei marinai
tutto è impostato attorno alle navi, ai remi, alle
reti. In quello degli agricoltori
è impostato attorno ai carri, agli aratri, ai magazzini.
Nel contesto marino gli
agricoltori sono in difficoltà e viceversa perché perfino le
narrazioni seguono tracce
diverse.
Se la savana è organizzata per il
leone, sarà ben difficile che le gazzelle possano
trovare soluzione ai propri
problemi. Gli unici spazi possibili saranno quelli stabiliti
dai leoni, che però non li
definiranno per il bene delle gazzelle, ma di loro stessi. Per
le gazzelle si aprirà una
prospettiva solo se si ridurrà il potere dei leoni e se la savana
sarà riorganizzata per la
sopravvivenza di tutti gli animali. Fuori di metafora, noi,
comuni cittadini nullatenenti,
troveremo la soluzione ai nostri problemi, quello
dell’abitare, dello studiare, del
curarci, del provvedere a noi stessi, solo se usciremo
dal sistema dei mercanti e ne
costruiremo un altro al servizio delle persone.
Una prospettiva possibile, ma che
ha bisogno del contributo di tutti. Anche del tuo.
Se non come sostenitore, almeno
come non belligerante. Non solo smettendo di
ingannarci sulla scientificità e
la neutralità di questo sistema. Ma smettendo di
difenderlo a tutti i costi e
cominciando, al contrario, a denunciarne i suoi limiti e le
sue storture nell’ottica del bene
comune.
In altre parole ti chiedo di
smettere di difendere l’indifendibile. E te lo chiedo non
solo per agevolare l’avvento di
un’altra forma di economia, finalmente al servizio di
tutti. Lo chiedo anche per te.
Affinché tu salti giù dal treno prima che precipiti
definitivamente nel baratro.
Perché è certo che questo sistema si distruggerà con le
sue stesse mani. E non sarà certo
un onore per te passare alla storia come chi non ha
saputo aprire gli occhi neanche
quando le crepe stavano diventando crepacci. Ti
conviene rifletterci prima che
sia troppo tardi.
(Testo pubblicato su “Risorsa
umana” di Francesco Gesualdi, Edizioni Sanpaolo
2015)
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