Aggressiva,
dissuasiva e preventiva; onnicomprensiva, globale e multilaterale;
cyber-nucleare, superarmata e iperdronizzata; antirussa, anticinese,
antimigrante e anche un po’ islamofoba. Strateghi di morte e mister Stranamore
vogliono così la NATO del XXI secolo: alleanza politico-economica-militare di
chiara matrice neoliberista che sia allo stesso tempo flessibile e
inossidabile, pronta ad intervenire rapidamente e simultaneamente ad Est come a
Sud, ovunque e comunque.
La prova generale
della NATO che verrà… si è svolta dal 3 ottobre al 6 novembre 2015 tra lʼItalia,
la Spagna, il Portogallo e il Mediterraneo centrale. Denominata Trident
Juncture 2015, è stata la più grande esercitazione NATO dalla fine della Guerra
fredda ad oggi, con la partecipazione di oltre 36.000 militari, 400 tra
cacciabombardieri, aerei-spia con e senza pilota, elicotteri, grandi velivoli
cargo e per il rifornimento in volo e una settantina di unità navali di superficie
e sottomarini. Presenti le forze armate di 30 paesi, sette dei quali extra-NATO
o in procinto di fare ingresso formalmente nell’Alleanza (Australia, Austria,
Bosnia Herzegovina, Finlandia, Macedonia, Svezia e Ucraina). In qualità di
“osservatori”, inoltre, gli addetti militari di Afghanistan, Algeria,
Azerbaijan, Bielorussia, Brasile, Colombia, Corea del Sud, El Salvador, Emirati
Arabi Uniti, Giappone, Kyrgyzistan, Libia, Marocco, Mauritania, Messico,
Montenegro, Russia, Serbia, Svizzera e Tunisia. Ai war games pure i delegati di
importanti organizzazioni governative internazionali come l’Unione Europea,
l’Unione Africana, la Lega Araba e l’OSCE, di alcune agenzie delle Nazioni
Unite (OCAH - Coordinamento degli affari umanitari; PNUD - Programma per lo
Sviluppo; UNDSS - Dipartimento di Sicurezza delle Nazioni Unite; UNICEF; PMA -
Programma Mondiale di Alimentazione; OIM - Organizzazione Internazionale per le
Migrazioni) e perfino di diverse organizzazioni non governative (ONG) o
sedicenti tali. “Abbiamo la necessità che attori militari e non-militari
lavorino insieme, cercando di vincere la pace”, ha affermato il generale NATO
Hans-Lothar Domröse alla vigilia di Trident Juncture 2015. “L’obiettivo di
ottenere la partecipazione di organizzazioni internazionali/ONG/Organizzazioni
Governative serve a migliorare la capacità della NATO di interagire con i
principali attori civili”, riportava invece la brochure ufficiale
dell’esercitazione. In precedenza, era stato pure diffuso un elenco delle
istituzioni civili che si erano dichiarate disponibili a presenziare alle
manovre NATO, poi misteriosamente sparito dal sito web dell’Alleanza. Nella
special list comparivano il Comitato internazionale della Croce Rossa, le ONG
Save the Children, Assistência Médica Internacional Foundation, Human Rights
Watch, World Vision e le agenzie nazionali alla “cooperazione” United States
Agency for International Development (USAID), Department for International
Development (DFID), Deutsche Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit
(GIZ), l’Agencia Española de Cooperación Internacional para el Desarrollo.
Per la prima volta
nella storia delle grandi esercitazioni NATO per Trident Juncture si sono
mobilitati infine anche i manager delle maggiori industrie internazionali della
difesa, “nell’ottica di un proficuo confronto di punti di vista, prospettive ed
opinioni su possibili nuove soluzioni tecnologiche e sull’importanza
dell’innovazione e della creatività nello sviluppo tecnologico militare”, come
ha spiegato il sottosegretario alla difesa italiano, Gioacchino Alfano. Così
l’esercitazione è stata la ghiotta occasione per testare e commercializzare
nuovi e più sofisticati sistemi d’arma e i centri di comando e controllo delle
future guerre ipertecnologizzate, quelle con i droni e i sistemi d’arma del
tutto automatizzati e le armi nucleari appositamente ammodernate (missili
intercontinentali e le testate come le B-61 presenti nelle basi italiane di
Aviano e Ghedi, destinate ai cacciabombardieri di ultima generazione come i
costosissimi F-35).
Dal
continente nero alla Russia con furore
“L’esercitazione
Trident Juncture ha evidenziato che la NATO può andare dove e quando è
necessario che vada, per svolgere il lavoro che le viene richiesto”, ha
dichiarato il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg. “Essa
è stata finalizzata all’addestramento e alla verifica delle capacità degli
assetti aerei, terrestri, navali e delle forze speciali NATO, nell’ambito di
una forza ad elevata prontezza d’impiego e tecnologicamente avanzata”. Sempre
secondo i massimi vertici atlantici, l’esercitazione ha consentito di simulare
“uno scenario adattato alle nuove minacce, come la cyberwar e la guerra
asimmetrica e ha rappresentato, inoltre, per gli alleati ed i partner,
l’occasione per migliorare l’interoperabilità della NATO in un ambiente
complesso ad alta conflittualità”.
L’esigenza di
poter disporre di forze militari prontamente schierabili in qualsivoglia
scacchiere di crisi e caratterizzate da un’alta capacità d’integrazione e
interoperabilità è stata sottolineata dal generale Petr Pavel, presidente
del Comitato militare della NATO. “L’interoperabilità è divenuta ancora più
importante dopo che l’Alleanza Atlantica ha accresciuto le proprie operazioni
out-of-area nei primi anni ’90”, ha dichiarato Pavel. “Essa è stata migliorata
grazie alla cooperazione tra i paesi membri della NATO e i suoi maggiori
partner internazionali, con attività addestrative comuni e costanti e lo
scambio di buone pratiche. Ci sono molte sfide che siamo chiamati ad affrontare
in questo mondo sempre più instabile, come il terrorismo, la pirateria,
l’aggressione di uno Stato e la guerra ibrida. L’interoperabilità esercitata
durante Trident Juncture 15 ha consentito alle truppe di sviluppare la
prontezza e la capacità di contrastare ogni minaccia”.
Lo scenario
pianificato per l’esercitazione dal Joint Task Force Command (JFC) di Brunssum,
Olanda si è basato su un intervento della NATO al di fuori di quanto
contemplato dall’articolo 5 del Trattato istitutivo dell’Alleanza, “su mandato
delle Nazioni Unite”. Nello specifico, è stata predisposta una missione di
assistenza e appoggio militare a favore di un piccolo paese (Lakuta), invaso
da un paese aggressore (Kamon) che contestualmente minacciava un terzo stato
confinante (Tytan). Gli eventi si sono susseguiti nell’immaginaria Cerasia
dell’Est, corrispondente - secondo la NATO - all’area geografica compresa tra
il Corno d’Africa e il Sudan, contraddistinta da “conflitti etnico-religiosi,
dispute per l’accaparrramento di risorse energetiche e idriche, presenza di
gruppi insorgenti e terroristici e da masse di rifugiati” e contestulamente
colpita “dall’insorgenza di pandemie e malattie infettive”. Se è vero che da
tempo il continente africano è al centro degli interessi geostrategici di USA e
NATO, gli interventi ipotizzati da Trident Juncture 2015 possono essere
facilmente immaginati anche per altri importanti scenari di crisi.
“L’esercitazione è stata una prova reale di guerra sul fronte orientale”, ha
rilevato l’analista Manlio Dinucci de Il Manifesto. “Non ci vuole infatti molta
immaginazione per capire che la Cerasia dell’Est è l’Europa dell’Est e il
paese invasore è la Russia, accusata dalla NATO di aver invaso l’Ucraina e
di minacciare altri Stati dell’Est”.
L’esplicita
conferma della rinnovata vocazione anti-Mosca dell’Alleanza Atlantica è giunta
per voce del generale Petr Pavel. “Negli ultimi dieci anni la NATO si è
concentrata soprattutto su esercitazioni di livello inferiore e operazioni di
gestione come quelle in Afghanistan, perché durante questo periodo regnava
un’atmosfera di collaborazione in Europa, Russia compresa”, ha dichiarato il
presidente del Comitato militare NATO alla testata internet Vice News.
“Tuttavia, con la crescente situazione di insicurezza dovuta all’annessione
della Crimea da parte della Russia e le imponenti esercitazioni organizzate da
Putin - molte delle quali non sono nemmeno comunicate all’esterno – c’è bisogno
che la NATO metta a punto esercitazioni di portata superiore per essere pronti
a qualsiasi evenienza”.
Dello stesso
avviso l’ambasciatore Alexander Vershbow, vicesegretario generale della NATO.
“La situazione geopolitica è oggi considerevolmente più instabile così come
accadeva durante la Guerra fredda”, ha spiegato Vershbow in occasione della
presentazione di Trident Juncture 2015. “La comunità politica a Bruxelles è
abbastanza preoccupata per la concentrazione militare russa nell’area
mediterranea, il sostegno ai separatisti dell’Ucraina orientale e gli attacchi
contro i ribelli moderati in Siria. Adesso dobbiamo decidere cosa è necessario,
creare deterrenti con la Russia perché non abbia intenzioni aggressive verso la
NATO”. Per il vicesegretario NATO, l’Alleanza dovrà essere capace di operare e
interscambiare intelligence con i maggiori partner internazionali per poter
intervenire nel nuovo arco di crisi che dal Mediterraneo e il Corno d’Africa si
estende al Medio Oriente e al Caucaso. “Lo scopo primario della NATO è la
difesa collettiva, ma noi dobbiamo guardare aldilà dei nostri confini, gestire
le crisi e aiutare i nostri partner a difendersi”, ha dichiarato a fine ottobre
Alexander Vershbow. “Non si tratta però di un lavoro che la NATO può fare da
sola. Ogni sfida che affrontiamo, a est o a sud, richiede l’energia e gli sforzi
di tutta la comunità internazionale, principalmente da parte dei paesi colpiti
direttamente e delle organizzazioni come l’Unione Europea, l’ONU, la Lega Araba
e l’Unione Africana. Il nostro sostegno agli altri paesi ha nomi diversi –
Resolute Support, Defence Capacity Building, Partnerships – ma serve sempre a
riformare i loro settori di sicurezza, professionalizzare le forze armate e
stabilizzare i confini. Per questo forniamo supporto concreto all’Ucraina,
attraverso cinque Trust Funds in aree come il comando e il controllo, la cyber
defence e la riabilitazione medica. Abbiamo programmi di formazione militare
con la Georgia e la Moldavia e a sud con Giordania e Iraq. In passato abbiamo
lavorato con le forze armate egiziane nel campo della protezione anti-mine e
con quelle del Marocco per migliorarne l’interoperabilità con la NATO. Stiamo
aiutando la Tunisia a modernizzare le sue istituzioni militari, comprese le
forze operative speciali. In Mauritania, chiave di volta tra il Maghreb e il
Sahel, un Trust Fund NATO ha contribuito a realizzare depositi munizioni,
distruggere gli arsenali obsoleti e favorire il ritorno del personale militare
alla vita civile”.
Truppe
d’élite e forze di pronto intervento per il Terzo Millennio
Grazie a Trident
Juncture, la NATO ha simulato gli interventi maggiormente richiesti nelle
guerre moderne, come l’abbordaggio di unità navali, la ricerca, il
riconoscimento e l’individuazione degli obiettivi, le operazioni
d’infiltrazione ed esfiltrazione, ecc.. “Trident Juncture ha dato forte enfasi
alle forze operative speciali”, ha spiegato l’ammiraglio statunitense Erick A.
Peterson, capo dello Special Operations Component Command (SOCC). “Più di
un migliaio di uomini delle forze operative speciali hanno preso parte
alle operazioni aeree. Essi provenivano da Belgio, Canada, Olanda, Polonia,
Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna e Stati Uniti d’America e da un
paese partner NATO come la Finlandia”. La mega-esercitazione ha inoltre
consentito di certificare la piena operativa delle nuove forze di pronto
intervento NATO, capaci di mobilitarsi e intervenire in qualsiasi scacchiere
mondiale. Nello specifico, Trident Juncture ha permesso di sperimentare per la
prima volta in scala continentale quella che è destinata a fare da corpo
d’élite della NRF (la forza di pronto intervento NATO), la Very High Readiness
Joint Task Force (VJTF), opportunamente denominata Spearhead (punta di lancia).
La VJTF sarà pienamente operativa a partire dal prossimo anno e verterà su una
brigata di terra di 5.000 militari, supportata da forze aeree e navali speciali
e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate fornite a rotazione e su
base annuale da alcuni paesi dell’Alleanza. “La Spearhead force sarà in grado
di essere schierata in meno di 48 ore”, afferma il Comando NATO. “Essa potrà
essere di grande aiuto nel contrastare operazioni irregolari ibride come ad
esempio lo schieramento di truppe senza le insegne nazionali o regolari e
contro gruppi d’agitatori. Se saranno individuati infiltrati o pericoli di
attacchi terroristici, la VJTC potrà essere inviata in un paese per operare a
fianco della polizia nazionale e delle autorità di frontiera per bloccare le
attività prima che si sviluppi una crisi”.
In vista della
creazione della nuova task force, la NATO ha riorganizzato quartier generali e
comandi operativi: la Forza di pronto intervento NRF, nello specifico, è stata
posta gerarchicamente sotto il controllo del Joint Force Command di Brunssum e
del Comando congiunto per il Sud Europa di Napoli - Lago Patria. Attualmente la
NRF dispone di una brigata multinazionale con 30.000 militari, supportata da
altre due brigate pre-designate all’impiego, due gruppi navali (lo Standing
Nato Maritime Group SNMG e lo Standing Nato Mine Countermeasures Group SNMCG),
una componente aerea e un’unità CBRN (Chemical, Biological, Radiological,
Nuclear). I documenti alleati prevedono a breve un ulteriore rafforzamento
della NRF con una brigata da combattimento di 2.500-3.000 uomini (con tre
battaglioni di fanteria leggera, motorizzata o aeromobile, più alcuni
battaglioni pesanti dotati di artiglieria, del genio, per la “difesa” nucleare,
batteriologica e chimica); un gruppo aereo composto da una quarantina tra
velivoli da combattimento, di trasporto ed elicotteri “in grado di realizzare
sino a 200 sortite al giorno”; una task force navale formata da un gruppo
guidato da una portaerei, un gruppo anfibio e un gruppo d’azione di superficie,
per un totale di 10–12 navi. A settembre sono stati attivati in Bulgaria,
Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania sei piccoli quartier generali
per le unità integrate nella forza di pronto intervento NATO (NFIU - Force
Integration Units) “che consentiranno maggiore velocità ed efficacia nel caso
di un loro dislocamento sul fronte orientale”; altre due unità NFIU entreranno
in funzione a breve anche in Ungheria e Slovacchia. Il primo dicembre è stato
invece inaugurato a Bucarest il quartier generale multinazionale per le
operazioni delle forze di pronto intervento sul fronte sud-orientale con 280
uomini. Allo smisurato potere offensivo della NATO Response Force contribuirà
dal prossimo anno pure il sofisticato sistema di telerilevamento ed
intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) che sarà attivato nella base
siciliana di Sigonella con l’acquisizione di alcuni velivoli senza pilota
“Global Hawk” di ultima generazione.
La
penisola trampolino di guerra
La parte più
imponente delle esercitazioni di Trident Juncture 2015 si è svolta in
territorio spagnolo: qui la NATO ha schierato oltre 20.000 militari nei
poligoni di San Gregorio (Zaragoza), Chinchilla (Albacete), Álvarez de
Sotomayor (Almería) e Sierra del Retín (Cadice) e nelle grandi basi di
Albacete, Son San Joan (Palma de Mallorca), Torrejón (Madrid) e Zaragoza. Le
manovre terrestri hanno riguardato in particolare il combattimento in ambito
urbano (con il cosiddetto “Battaglione baltico” attivato da Estonia, Lettonia e
Lituania), la “decontaminazione” chimica, biologica, radiologica e nucleare
(effettuata da un battaglione attivato da nove paesi), l’addestramento delle
artiglierie e il lancio di truppe aviotrasportate (con paracadutisti
provenienti da Spagna, Italia, Canada e dall’82^ Divisione aviotrasportata Usa
con sede a Fort Bragg, North Carolina). Alle attività in Spagna hanno
partecipato anche una task-force del 41° Reggimento “Cordenons” di Sora
(Frosinone), specializzato nella raccolta d’informazioni grazie all’utilizzo di
piccoli droni ad ala fissa “Raven” e “Bramor” e un reggimento della Brigata
“Folgore” per il potenziamento della mobilità strategica delle truppe NATO.
Contemporaneamente e in stretto collegamento con Trident Juncture, sempre la
“Folgore” è stata impegnata in Italia nell’esercitazione Mangusta insieme a 120
uomini della 173^ Brigata aviotrasportata dell’esercito USA di stanza a
Vicenza. Oggetto dell’addestramento “la pianificazione e la conduzione delle
operazioni aeree” e la “penetrazione in un teatro operativo ostile popolato da
forze avversarie”.
Diciannove i paesi
NATO che hanno contribuito alle operazioni aeronavali e di guerra ai
sottomarini di Trident Juncture a largo delle coste di Portogallo e Spagna e
nel Mediterraneo centrale. Oltre 3.000 militari, provenienti in parte dal corpo
dei Marines Usa e della Marina reale britannica hanno partecipato alle
simulazioni di sbarco anfibio, tenutesi nel poligono di Capo Teulada in
Sardegna. Sempre a Capo Teulada si sono esercitati pure un migliaia di uomini
della brigata meccanizzata “Sassari” e più di 500 militari di Albania, Stati
Uniti, Ungheria, Germania e Spagna. Nella vicina base di Decimomannu sono stati
rischierati invece gli elicotteri HH139 e HH212 del 37° Stormo dell’Aeronautica
militare di Trapani Birgi, del 15° Stormo di Cervia (Ravenna) e del 9° Stormo
di Grazzanise (Caserta) per svolgere congiuntamente ad alcuni elicotteri
sloveni, missioni di infiltrazione/esfiltrazione ed evacuazione medica.
Che le basi
militari italiane abbiano ormai assunto un ruolo fondamentale e insostituibile
nelle strategie di guerra NATO è confermato pure dalla scelta dell’Alleanza di
svolgere la prima fase “simulata” di Trident Juncture 2015 presso la sede del
Comando Operazione Aeree (COA) dell’Aeronautica militare di Poggio Renatico,
Ferrara. Qui sono stati trasferiti 400 uomini dell’Aeronautica italiana e di 15
Paesi dell’Alleanza per assumere il comando e il controllo di tutte le forze
aeree impiegate e certificare l’acquisizione della piena capacità operativa
dell’Italian Joint Force Air Component (ITA-JFAC), il Comando integrato della
componente aerea che dal 2016 sarà messo a disposizione dell’Alleanza Atlantica
per gli interventi della NRF. Lo scorso 17 giugno, a Poggio Renatico è stato
attivato il primo sito ACCS (Air Command and Control System) che fornisce alla
NATO un sistema C2 di comando e controllo unificato per la pianificazione e
l’esecuzione di tutte le operazioni di sorveglianza aerea. Altri siti ACCS
diverranno operativi in altri paesi dell’Alleanza tra la fine del 2015 e il
2016. “Una volta completata l’installazione del nuovo sistema, la NATO si assicurerà
una copertura dello spazio aereo di più di 10 milioni di km quadrati, mettendo
in rete una ventina di grandi centri militari e ampliando enormemente
l’efficienza e lo spettro delle proprie attività aeree”, riporta il comando
generale dell’Alleanza. Il sistema ACCS sarà pure in grado di rispondere alle
richieste operative del nuovo programma di “difesa” aerea e missilistica
integrata della NATO (Integrated Air and Missile Defence). “Nelle nostre
intenzioni, il primo sito contro i missili balistici diverrà operativo il
prossimo anno in Romania e una seconda base sarà pronta in Polonia nel 2018”,
ha dichiarato il generale Bernhard Fürst, vicepresidente del NATO Air and
Missile Defence Committee. L’ACCS supporterà inoltre il cosiddetto Readiness
Action Plan (RAP) approvato il 5 settembre 2014 dal Summit NATO in Galles, per
“rispondere velocemente e con fermezza alle nuove emergenze, ovunque esse si
presentino”.
Buona parte dei
velivoli destinati ai combattimenti aeronavali “simulati” sono decollati invece
dallo scalo militare siciliano di Trapani Birgi. Per Trident Juncture 2015, la
sede operativa del 37° Stormo dell’Aeronautica ha ospitato 700 militari (500 italiani
e 200 stranieri), mentre per le missioni sono stati impiegati 10
cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon 2000” (provenienti dal 4° Stormo Ami di
Grosseto, dal 36° di Gioia del Colle, Bari e dal 37° di Birgi), 7 caccia
“Tornado” in versione MRCA ed ECR (trasferiti in Sicilia dal 6° Stormo di
Ghedi-Brescia e dal 50° di Piacenza) e 4 caccia AMX del 51° Stormo di Istrana,
Udine. Da Birgi hanno operato pure un aereo per il rifornimento in volo KC130
AAR del 435th Transport and Rescue Squadron di Manitoba (Canada), alcuni
cacciabombardieri F-16 “Lockheed Martin” del 347th Squadron di Nea Anchialos
(Grecia), un velivolo da trasporto tattico CASA 295 M del 32nd Tactical Air
Base di Lask (Polonia) e tre aerei radar E3D-A Awacs della NATO Airborne Early
Warning & Control Force con sede a Geilenkirchen (Germania), con funzioni
di comando e controllo dal cielo.
Per dirigere le
operazioni aeree, la NATO si è avvalsa infine del 22° Gruppo Radar (Gr.A.M.) di
Licola, Napoli e dell’Italian DARS (Deployable Air Control Centre, Recognised
Air Picture Production Centre and Sensor Fusion Post), il Centro con capacità
di comunicazione, sorveglianza, comando e controllo tattico delle operazioni
aeree, rischiarato appositamente a Trapani Birgi dal Reparto Mobile di Comando
e Controllo (R.M.C.C.) di Bari Palese. Sempre a Birgi, il 3° Stormo con base a
Villafranca (Verona) ha trasferito una tendostruttura polifunzionale di grandi
dimensioni. Gli altri reparti dell’Aeronautica che hanno partecipato a Trident
Juncture 2015 sono stati il 14° Stormo di Pratica di Mare con i velivoli
KC-767° per il rifornimento in volo degli aviogetti italiani ed alleati e il
32° Stormo di Amendola (Foggia) con i velivoli a controllo remoto “Predator”
MQ-1C e MQ-9A per le operazioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento.
Decurtando salari e la spesa sociale, l’Italia si è trasformata in un’infernale
macchina di distruzione a servizio della NATO e del capitale finanziario
transnazionale.
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