Sono anni che la scuola statale subisce
attacchi nobilitati dalla formula “razionalizzazione e semplificazione” e dalla
retorica dell’innovazione.
Istanze che sono coincise – grosso modo
– la prima con una periodica ed implacabile stretta alla borsa, che ha
realizzato sulle spalle della scuola uno dei più strabilianti risparmi di
bilancio che si siano mai verificati: diritto allo studio e diritto all’apprendimento,
gli ultimi dei problemi; l’altra, con l’infiltrazione subdola, di matrice
neoliberista, come la prima, di parole d’ordine che hanno plasmato menti,
approcci, procedure, ma che non hanno apportato alcun significativo beneficio
alle pratiche concrete, né – ancora – agli apprendimenti degli studenti. Bensì,
ammantando di un’aura di modernità il funzionamento delle scuole, hanno
foraggiato amici degli amici e stornato l’attenzione dall’incoerenza che il restyling presentava
rispetto all’intenzionale disinvestimento in settori ben più strategici per la
realizzazione della Scuola della Repubblica.
Un perverso progetto culturale che ha
allontanato, senza che i più se ne accorgessero, la scuola statale dalla
funzione di viatico di uguaglianza e pensiero divergente e laico che la
Costituzione le affidò.
Le ondate di resistenza a queste
condizioni coerentemente portate avanti da governi di ogni colore politico sono
state intermittenti e significative, e hanno visto – a parte la costante
pressione di un movimento che, più o meno tenacemente, non smette mai di
esprimere le proprie ragioni e di elaborare proposte alternative – le punte di
diamante più recenti nell’autunno del 2008 (Gelmini), del 2012 (Profumo), nella
primavera del 2015 (l’attacco più infido e pericoloso: Giannini e la Buona
Scuola). Non dimenticando le battaglie contro il “Concorsaccio” e l’autonomia
scolastica di Berlinguer e, nel 2003, la controriforma Moratti.
Una domanda sorge spontanea: dove erano
i dirigenti scolastici? A parte sparutissime avanguardie, che si contano
letteralmente sulle punte delle dita di una mano (Simonetta Salacone e Renata
Puleo, ad esempio, di cui mi onoro di essere amica), non pervenuti. La loro
assente partecipazione alle battaglie per la difesa della scuola della
Costituzione, la loro incapacità di esporsi in prima persona – timorosi,
conniventi, inerti, esecutori acritici – davanti alla sopraffazione e
all’arbitrio con cui la scuola è stata trattata; la loro pervicacia nel
lasciarne la difesa nelle mani di docenti e studenti, tanto ostinata da far
pensare ad una volontà inesistente; la loro prontezza nel recepire e far propri
i più retrivi provvedimenti di esautoramento della democrazia scolastica e di
accentramento nelle proprie mani di poteri che la Costituzione ha pensato come
cogestiti attraverso il criterio della collegialità; il loro zelo nel
partecipare allo smantellamento dell’unitarietà del sistema scolastico
nazionale, assumendo prontamente il ruolo di autopromoter nel
mercatino dell’orientamento. Insomma, è ormai fatto acclarato: la voce dei
dirigenti – tranne che in casi rarissimi – si è fatta sentire esclusivamente in
merito a rivendicazioni salariali.
Per il resto, partecipare a battaglie
per la difesa della scuola della Repubblica è stato – salvo in casi rarissimi –
affare nostro, di docenti e studenti, soprattutto da quando,con il dlgsl 165/01
è stata istituita la dirigenza scolastica: il vecchio preside – figura
didatticamente e pedagogicamente significativa – lasciava il posto, per
consentirgli i primi vagiti, al manager, il dirigente, le cui responsabilità,
già allora declinate in previsione aziendalistica, sono enunciate dall'art. 25
di quel provvedimento.
Da quel momento la scuola ha lentamente
ma inesorabilmente assunto una organizzazione aziendalista e dirigista,
nonostante le condizioni intrinseche alla democrazia scolastica dettate nei due
articoli della Carta che la riguardano, che si configurano soprattutto nel
principio della libertà dell'insegnamento.
Come è noto qualche tempo fa ANP, la più
potente lobby dei dirigenti scolastici, in grado di suonare la grancassa senza
colpo ferire ad ognuna delle brutture individuate nella Buona Scuola, pur di
aumentare il “potere” (sic!) nelle mani dei dirigenti scolastici, ha fatto
sapere – urbi et orbi – cosa pensa della democrazia
scolastica, quale opinione ha dei docenti italiani, come
ritiene di attuare le prescrizioni di quella odiosa e pedestre norma, ribadendo
– persino in quella che riteneva una “spiegazione” rispetto agli attacchi subiti
di conseguenza – di credere e sostenere senza esitazione la logica dell'uomo
solo al comando.
Questi trasformisti di ogni stagione,
che solo poco tempo fa fingevano di fare la voce grossa con il governo
Berlusconi e consentono oggi a Renzi di produrre un danno ben peggiore alla
scuola pubblica, non stanno facendo altro che confermare la loro antica
vocazione autoritaria, impartendo alle modeste figure di dirigente scolastico
che sono riusciti a far reclutare grazie alla propria “capacità contrattuale”
indicazioni che addirittura enfatizzano il conflitto che la legge già di per sé
ha istituzionalizzato nelle scuole.
Quello che stupisce, piuttosto (ma fino
ad un certo punto), è che le organizzazioni sindacali che hanno al proprio
interno – a questo punto in maniera evidentemente contraddittoria – sia
dirigenti scolastici sia docenti e personale Ata, non siano state nemmeno in
grado di balbettare un minimo di stigma agli attacchi ripetuti che i docenti
italiani hanno subito verbalmente e stanno subendo concretamente da questa
zelante schiera di esecutori della 107.
E – ancora di più – (ma questa notazione
è pura retorica) che il ministro dell'Istruzione non abbia ritenuto necessario
dover spendere una parola rispetto al trattamento che ANP intende riservare ai
“docenti contrastivi” e alla democrazia scolastica.
La stragrande maggioranza dei dirigenti
scolastici italiani che operano quotidianamente sul campo ha per altro ritenuto
prudente anche in questa occasione tacere sulla questione e conveniente
disinteressarsi delle sue possibili implicazioni.
In questo desolante panorama di mancato
presidio di spazi di democrazia e di omessa denuncia degli attacchi alla
serenità della vita scolastica condotti da chi ha come interesse prioritario
l'esercizio del proprio potere e soprattutto del proprio sottopotere, fa per
fortuna eccezione la voce di una pattuglia di dissidenti, che ha avuto il
coraggio di dissociarsi apertamente da ANP mediante una lettera aperta.
Tale presa di distanza è stata
ripetutamente ripresa e citata in rete e soprattutto interpretata da molti come
esempio di nobile resistenza culturale e professionale alla deriva imposta dai
tempi, mentre a mio giudizio essa non fa altro che confermare – me ne daranno
atto gli stessi firmatari della lettera, alcuni dei quali conosco personalmente
– il fatto che nel nostro strano Paese ciò che altrove rappresenterebbe una
ovvia legittima indignazione contro una evidente, violenta e intollerabile
violazione di un principio costituzionale basilare – la libertà di
insegnamento, garanzia culturale e didattica dell'interesse generale – si
configura invece come atto isolato, e pertanto straordinario, di un manipolo di
coraggiosi.
A fronte di questo le firme apposto al
documento sono soltanto 24, a sottolineare ancora una volta in maniera
inequivocabile quale sia l'autentico spessore umano, politico, democratico di
coloro che hanno la responsabilità di dirigere le istituzioni scolastiche della
Repubblica.
Del resto, ogni tempo ha i suoi eroi. E
ogni eroe ha il suo tempo.
(18
gennaio 2016)
ecco la lettera di cui si parla nel testomdi Marina Boscaino:
I presidi non vanno alla guerra -
Diverse affermazioni non ci avevano convinto. Ci erano sembrate l’espressione,
un po’ preoccupante, di un modo di intendere i rapporti all’interno della
scuola decisamente distante dal nostro.
Vediamo in questi giorni che quelle considerazioni vengono lette come la posizione ufficiale di tutti i Dirigenti scolastici. Ne riportiamo alcune.
Secondo l’interpretazione proposta dall’ANP, il nuovo modello di titolarità dei docenti, oltre alla possibilità di sceglierli in funzione del piano dell’offerta formativa predisposto in ogni scuola e alla maggiore probabilità di fare squadra, presenterebbe per il Dirigente il vantaggio di “non ‘avere le mani legate’ rispetto a docenti contrastivi”.
Ancora, rispetto al ruolo di elaborazione del CdD (dove la legge 107/15 chiarisce “Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal consiglio d'istituto.”) si suggerisce di affidarsi ad un gruppo di lavoro, con la raccomandazione di acquisire per prudenza qualche parere “mirato” preliminare, senza formalizzare la consultazione, e di portare il testo in collegio docenti, per una discussione “da contenere quanto possibile”, sottolineando che il Collegio “si può esprimere solo con un voto”.
Infine, per quanto riguarda l’approvazione definitiva in Consiglio di istituto, il documento ANP sottolinea che la possibilità che il CdI intervenga a modificare il testo in fase di approvazione è “un evento da evitare con ogni cura”, preparando “accuratamente la delibera, che sostanzialmente dovrà essere una ratifica”.
Vogliamo ribadire che non tutti i Dirigenti scolastici si riconoscono in queste posizioni, che riteniamo lesive della dignità dei docenti, del ruolo del Collegio e del Consiglio di Istituto e che disegnano uno scenario di conflitto permanente all’interno delle scuole, cercato con determinazione.
L’ANP non rappresenta l’insieme dei Dirigenti scolastici, parla esclusivamente a nome dei propri iscritti, in particolare quando si esprime su temi così critici, con letture e interpretazioni assolutamente di parte.
Noi non ci riconosciamo in una visione di scuola in cui gli Organi Collegiali sono assemblee da controllare, evitando che possano avere voce in capitolo, riducendole al ruolo di chi ratifica le decisioni del Dirigente; o in cui gli insegnanti sono elementi “contrastivi” da ridurre all’obbedienza grazie a nuovi poteri di comando.
Non concordiamo con il suggerimento, sempre contenuto nello stesso documento, di non sollecitare proposte, secondo “il principio dei marines: don’t ask, don’t tell…”.
È una posizione che, siamo certi, non condividono neppure molti iscritti all’ANP e che, in definitiva, produce e alimenta proprio lo scontro che si dice di temere.
Al di là delle posizioni culturali, politiche o sindacali, ci riconosciamo in un’idea di scuola come opera collettiva, realizzata da tante istanze, organi, persone, che lavorano insieme attraverso la via del confronto, in una prospettiva pluralista che non ammette scorciatoie, tantomeno autoritarie. Ognuno di noi, secondo la propria sensibilità, le proprie scelte, le condizioni locali in cui opera, declinerà diversamente il proprio ruolo; ma sempre nell’ottica del dialogo, non certo dell’imposizione o peggio della manipolazione.
Se ANP si prepara alla battaglia, convinta che la L. 107/2015 affidi ai Dirigenti il compito di sconfiggere tutte le altre componenti della scuola, ha letto una legge diversa da quella su cui noi, nella quotidianità dei nostri istituti, stiamo lavorando.
Questa visione non ci rappresenta e non crediamo rappresenti un futuro auspicabile per la nostra scuola.
Vediamo in questi giorni che quelle considerazioni vengono lette come la posizione ufficiale di tutti i Dirigenti scolastici. Ne riportiamo alcune.
Secondo l’interpretazione proposta dall’ANP, il nuovo modello di titolarità dei docenti, oltre alla possibilità di sceglierli in funzione del piano dell’offerta formativa predisposto in ogni scuola e alla maggiore probabilità di fare squadra, presenterebbe per il Dirigente il vantaggio di “non ‘avere le mani legate’ rispetto a docenti contrastivi”.
Ancora, rispetto al ruolo di elaborazione del CdD (dove la legge 107/15 chiarisce “Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico. Il piano è approvato dal consiglio d'istituto.”) si suggerisce di affidarsi ad un gruppo di lavoro, con la raccomandazione di acquisire per prudenza qualche parere “mirato” preliminare, senza formalizzare la consultazione, e di portare il testo in collegio docenti, per una discussione “da contenere quanto possibile”, sottolineando che il Collegio “si può esprimere solo con un voto”.
Infine, per quanto riguarda l’approvazione definitiva in Consiglio di istituto, il documento ANP sottolinea che la possibilità che il CdI intervenga a modificare il testo in fase di approvazione è “un evento da evitare con ogni cura”, preparando “accuratamente la delibera, che sostanzialmente dovrà essere una ratifica”.
Vogliamo ribadire che non tutti i Dirigenti scolastici si riconoscono in queste posizioni, che riteniamo lesive della dignità dei docenti, del ruolo del Collegio e del Consiglio di Istituto e che disegnano uno scenario di conflitto permanente all’interno delle scuole, cercato con determinazione.
L’ANP non rappresenta l’insieme dei Dirigenti scolastici, parla esclusivamente a nome dei propri iscritti, in particolare quando si esprime su temi così critici, con letture e interpretazioni assolutamente di parte.
Noi non ci riconosciamo in una visione di scuola in cui gli Organi Collegiali sono assemblee da controllare, evitando che possano avere voce in capitolo, riducendole al ruolo di chi ratifica le decisioni del Dirigente; o in cui gli insegnanti sono elementi “contrastivi” da ridurre all’obbedienza grazie a nuovi poteri di comando.
Non concordiamo con il suggerimento, sempre contenuto nello stesso documento, di non sollecitare proposte, secondo “il principio dei marines: don’t ask, don’t tell…”.
È una posizione che, siamo certi, non condividono neppure molti iscritti all’ANP e che, in definitiva, produce e alimenta proprio lo scontro che si dice di temere.
Al di là delle posizioni culturali, politiche o sindacali, ci riconosciamo in un’idea di scuola come opera collettiva, realizzata da tante istanze, organi, persone, che lavorano insieme attraverso la via del confronto, in una prospettiva pluralista che non ammette scorciatoie, tantomeno autoritarie. Ognuno di noi, secondo la propria sensibilità, le proprie scelte, le condizioni locali in cui opera, declinerà diversamente il proprio ruolo; ma sempre nell’ottica del dialogo, non certo dell’imposizione o peggio della manipolazione.
Se ANP si prepara alla battaglia, convinta che la L. 107/2015 affidi ai Dirigenti il compito di sconfiggere tutte le altre componenti della scuola, ha letto una legge diversa da quella su cui noi, nella quotidianità dei nostri istituti, stiamo lavorando.
Questa visione non ci rappresenta e non crediamo rappresenti un futuro auspicabile per la nostra scuola.
Ferrara,
3/1/2016
Grazie di questa condivisione.
RispondiEliminasiamo qui per questo :)
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