La mia conoscenza de La vache qui rit risale ai tempi in cui frequentavo la
scuola elementare, negli anni sessanta del secolo passato. Facevo la preghiera
del mattino con mia madre, e mentre lei metteva il bricco del tè sul fornello
di cherosene, io andavo dal droghiere accanto per comprare una scatola di
formaggio che portava il marchio de La
vache qui rit. Formaggini a forma di triangoli che spesso erano scaduti.
Difatti, quando si toglieva la carta stagnola, emanavano un sentore pungente di
muffa . Il droghiere si giustificava attribuendo il fatto al lungo
viaggio che i contrabbandieri facevano prima di portarceli. Secondo
il suo racconto di vecchio ed astuto mercante, i contrabbandieri
attraversavano le frontiere di almeno sei stati e si trovavano costretti,
a volte, a depositarli in caverne fatte apposta per sfuggire agli occhi dei
doganieri e dei gendarmi. In ogni caso – aggiungeva – il formaggio ammuffito è
ricco di penicillina! Questo preciso dettaglio scientifico lo aveva appreso dai
film sonori che l’Organizzazione Mondiale della Sanità proiettava sul
muro nel retro dell’azienda elettrica.
Nonostante il suo odore nauseante, io e i
miei fratellini, lo mangiavamo sognando la vacca che rideva. E quando le
mandrie di bovini passavano dal nostro paese verso nuovi pascoli, le seguivamo
augurandoci di vederne una che rideva come quella illustrata sulla scatola.
Dopo diversi tentativi, eravamo giunti alla
conclusione che le vacche da noi erano diverse da quelle che vivono in Europa.
Ovviamente, ciò non significava che le nostre fossero meno prolifiche di carne
e di latte, ma semplicemente non avevano il senso dello humor.
Dopo avere finito il servizio di leva,
immigrai in Europa, e mi sembrò di aver dimenticato completamente il caso, fin
quando non incontrai un tunisino che cercava lavoro come me. Avevamo
attraversato illegalmente il confine tra Italia e Francia e, dopo un cammino
durato un’intera nottata, eravamo arrivati a un villaggio che secondo il
tunisino era il posto migliore per trovare lavoro: ” I piccoli centri di solito
sono lontani dagli occhi dei gendarmi” – affermò sicuro di sé.
Anche qui i contadini, come quelli di
tutto il mondo, erano usciti di mattina presto al lavoro, ed uno di loro ci
stava venendo incontro a capo di una mandria composta di cinque vacche. Lo
abbiamo salutato, mettendo la mano sulla bocca, perché lo stomaco vuoto aveva
incominciato ad emanare cattivi odori.
– Dunque, voi parlate francese? – chiese il
contadino, esaminandoci attentamente.
Aveva capito che eravamo cittadini di una delle loro ex colonie.
Aveva capito che eravamo cittadini di una delle loro ex colonie.
– E credo che state cercando un lavoro? –
Continuò.
La sua supposizione inclinava più alla
certezza che ad un’ipotesi, e ciò rallegrò i nostri cuori. Gli uomini che hanno
una veduta lungimirante, di solito si considerano anche saggi. D’altronde,
eravamo molto giù di corda, e qualsiasi parola che accennava ad una speranza ci
faceva toccare le stelle.
– Dunque, seguitemi!
Quando il contadino pronunciò quella frase,
ebbi l’impressione che le mie forze diminuissero e che fossi sul punto di
svenire; non so perché in quel momento mi venne in mente che anche
Abdulhadi stava pensando la stessa cosa. Aveva fatto qualche passo avanti e si
mise a fissare le vacche una ad una.
– Didò
…. Margò … Pettite Roche … Lilly …. E La vache qui rit
– La
vache qui rit ?! –
replicai sconcertato.
-Sì, rispose Monsieur Guichard con fermezza, ed aggiunse:
“Le sembra strano.
Dissi di no, anche se quel nome, per qualche
motivo, mi suonava molto strano. Nei giorni seguenti, cioè dopo aver
incominciato a lavorare nella fattoria dei Guichard, il mio interesse
verso quella vacca aumentò e non esitai, in parecchie occasioni, ad
avvicinarmi a lei e a fissarla con insistenza negli occhi al punto da spingerla
a correre terrorizzata, guardando dietro di sé con sospetto. Madame
Guichard che sembrava aver visto quella scena, chiese spiegazione di
questo mio singolare comportamento. Non lo chiese con noncuranza ma
invitandomi nell’ufficio contabilità. E dopo essersi seduta dietro la
scrivania, mi chiese in tono gentile, ma non privo di quella durezza a cui non
rinunciano i francesi:
-Allora, Monsieur Safwan, cosa sta succedendo qui?
-Allora, Monsieur Safwan, cosa sta succedendo qui?
Ovviamente, avevo capito cosa voleva sapere,
ma preferii giocare il ruolo dello stupido, poiché qualsiasi risposta
avrebbe aumentato ulteriormente i suoi sospetti nei miei confronti: Perché si
comporta così?! Lei è qui per lavorare o per giocare con le vacche?!
– Ieri, sono andato a letto tardi,
proiettavano “Il balordo” di Jean
Paul Belmondo, in realtà …
– Monsieur Safwan, lei sa cosa intendo dire,
vero? Si raddrizzò ed appoggiò le mani sul tavolo. La sua età avanzata, non le
aveva tolto quella vivacità propria delle donne giovani.
– Chiedo scusa, è stata solamente una
birichinata!
– È tutto lì?
– Sì.
A volte, il confessare davanti ad una donna,
ti fa ritornare al periodo infantile: non lo farò più, mamma, te lo
prometto – pensai!
Durante il pranzo che consumavamo insieme una
volta alla settimana, una domenica, Monsieur Guichard, e sono sicuro che
l’avesse fatto su indicazione della moglie, ci raccontò la storia del cavallo
stupido che imitava le risate degli esseri umani.
– Davvero stupido! – confermò Abdulhadi,
interrompendolo e creando un momento carico di attesa.
– No! – Gridò Monsieur Guichard, calcando il coltello
e la forchetta sulla bistecca dura – non era stupido come ci viene da credere,
essi ci provano, per poi … Per poi …
E Qui, disegnò sulla faccia una smorfia che
fece apparire la pelle ingrinzita come una maschera di cuoio consumata.
– E gli altri animali? Chiesi io con slancio
infantile. Per un momento, regnò un silenzio muto, durante il quale credetti
che la terra stesse scivolando sotto i miei piedi, e che un voragine enorme,
come un pozzo senza fondo, stesse per inghiottirmi da un momento all’altro.
Madame e Monsieur Guichard mi stavano fissando
come se fossi una creatura giunta da un altro pianeta, mentre Abdulhadi,
distratto, stava fissando il piatto con occhi spalancati.
– Cosa hanno gli altri animali? Chiese Monsieur Guichard ficcando la forchetta
nella bistecca che finalmente era riuscito a dominare dopo una lotta sfrenata.
– Intendo dire … intendo dire ….
– Intende dire se anche essi ridono?
Intervenne Madame Guichard, sfavillando gli occhi vivacemente.
– Sì.
– Guardi – disse Monsieur Guichard dopo essersi pulito la
bocca con la tovaglia – abbiamo sentito spesso questa storia, da noi ed in
altri paesi, come nel Sudafrica che abbiamo visitato io e Philomène l’anno
scorso. E la prima domanda che ci venne in mente mentre discutevamo questo
argomento con alcuni antropologi fu del perché mai gli animali sembrano ridere?
Noi, secondo recenti studi sul comportamento umano, ridiamo per la disgrazia
degli altri o quando assistiamo ad una scena diversa da ciò a cui eravamo
abituati vedere, come la caduta improvvisa di una persona che cammina sul
marciapiedi o la vista di un ubriaco che stramazza nel mezzo di una piazza
pubblica.
– O come capitato a te Gaubert, quando hai
picchiato la testa in quel negozio a Parigi perchè il vetro era troppo pulito!
Aggiunse Madame Guichard con un pizzico di rivendicazione.
– È vero – disse Monsieur Guichard – anche se non trovavo
un motivo valido per tutte quelle risate intorno a me, perché l’urto fu forte e
per un momento sentii come se la terra mi tremasse sotto i miei piedi. Aspettai
che corressero da me per soccorrermi, ma ciò non avvenne, motivo per cui rimasi
male.
Io e Abdulhadi cercammo di mostrarci
dispiaciuti, ma Madame Guichard era più veloce di noi:
-Gaubert! Ti hanno soccorso, non ti
ricordi?
Monsieur Guichard la fissò per un attimo, poi riprese
a mangiare.
-Tu ti ricordi l’incidente, ma non ti ricordi
che ti abbiamo soccorso …
– Monsieur,
volevo chiederle se dobbiamo arare la terra domani? Chiesi io con voce
esitante.
Monsieur Guichard scosse la testa senza spostare lo
sguardo dal piatto, e bisbigliò:
– Sì che dobbiamo arare la terra … la terra
ha bisogno di essere arata … Poi, perché non dobbiamo ararla? Lei crede che ci
sia un motivo per non ararla? Prego, vorrei sentire da lei una risposta
convincente.
– Il trattore è guasto …
– Allora, prenderemo le vacche.
M’interruppe bruscamente. Poi, aggiunse uscendo dalla stanza: riavranno un po’
della loro gloria passata, e voi farete una nuova esperienza e, in base a
questa, possiamo capire quanto sia stata utile la vostra permanenza qui, perché
incomincio ad avere dei dubbi!
Trovammo nella stalla tutto ciò che serviva
per attrezzare le vacche, e non saprei dire se la mia scelta dellaVache qui
rit fosse una semplice
coincidenza o una resa incondizionata al mio subconscio. Avevo notato però –
dopo l’arrivo di Monsieur Guichard – che le cose stavano
prendendo una piega diversa da ciò che immaginavo.
– Allora è così?! Disse Monsieur Guichard in un tono
canzonatorio che celava una rabbia al punto di esplodere da un momento
all’altro.
– Cosa? Forse ho commesso qualche errore?
Chiesi io, avvertendo nell’aria una reazione indomabile.
– Errore?! È la pazzia in persona! urlò. Poi
s’avvicinò alle due vacche e mise la mano sul collo de La vache qui rit – guarda cosa ha fatto?
E qui La
vache qui rit esplose in
risate squillanti, risonanti che mi fecero impietrire, e tutto ciò
che potei dire era: sta ridendo!!! …
– Certo che sta ridendo – annuì Monsieur Guichard – sì, sta ridendo
dalla sua stupidità, dov ’è il nasiere in ferro? La campanella? E questo cos’è?
Ha messo il giogo al contrario?! Andiamo! Che rullino i tamburi e suonino
i flauti …
Non sentii il resto delle sue parole, perché
nella mia testa stavano ancora echeggiando le risate di quella vacca impazzita.
– Lasciate che i tamburi rullino e i flauti
suonino, e a voi altri, cosa vi ha preso? Perchè non partecipate al ballo?
Va-la biò va-la bunì … Va-la biò va-la bunì …
L’ambulanza arrivò a mezzogiorno circa, e i
quattro uomini che scesero in fretta e furia fecero molta fatica a caricarlo a
bordo. Prima che chiudessero lo sportello, i nostri sguardi s’incrociarono.
– Sì – disse con voce rauca – sta ridendo …
dille che sta ridendo … ti scongiuro di dirglielo ….
Rimasi sbalordito, guardando con
stupore l’ambulanza che sfrecciava dal portone, lasciando dietro di sé
una tempesta di polvere.
Il giorno seguente, Madame Guichard ci
informò che le cose sarebbero potute andare peggio se avessi insistito sulla
mia posizione.
– Ma adesso – aggiunse – come successo
l’ultima volta, non troverà nessuno a sostenere la sua tesi, e quindi s’arrenderà
e tornerà alla normalità, è questione di uno o due mesi.
Ci diede il resto della nostra paga,
augurandoci buona fortuna .
– Madame …
– No … no …, M’interruppe con fermezza, non
sono disposta a credere ad una sola parola di ciò che lei mi vorrebbe dire. Si
trattava semplicemente di un’illusione … O meglio di capricci infantili e
niente altro … Buona fortuna!
Istanbul, 16/07/2015
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