La scrittura è una tecnica semiotica, una fabrilità comunicativa. Il nostro
senso comune intorno alla scrittura è da millenni piuttosto lontano
dall’avvicinare il fare e il dire, così come accade nello scrivere, che è un
fare che dice. Ciò si può attribuire molto al fatto che chi scrive è da
millenni un ‘intellettuale’ e non un ‘meccanico’, anche quando sia solo
amanuense, scrivano, scritturale, scribacchino, uno dei pochi tra i molti che
non sanno né leggere né scrivere, fino a non molti decenni fa da queste nostre
parti. Ma la storia della scrittura è anche un groviglio di rapporti ambigui
tra tecniche e professionalità scrittorie rispetto soprattutto a poteri
politici e politico-religiosi, vicenda lunga e complessa di svariate forme di
separazione e di ricomposizione tra intellettuale e manuale. Le forme attuali
scritte di comunicazione elettronica sono uno sviluppo e un provvisorio punto
di arrivo di una complessa storia plurimillenaria.
Se dunque la scrittura è attività segnica, è anche attività fabrile,
manuale, la più fabrile delle attività segniche, la più segnica delle attività
manuali. Specie prima della registrazione moderna dei suoni e delle immagini,
scrivere è un fare che dice e si fa sentire in forma durevole e fruibile nel
tempo e nello spazio, oltre i limiti effimeri del dire vocale. Ma se per
scrittura non intendiamo, in modo eurocentrico, solo la scrittura alfabetica,
nasce una evidenza capitale: se intendiamo in generale per scrittura un insieme
di forme di materializzazione fuori di sé della propria interiorità, del
proprio pensiero e del proprio ricordo come del proprio sentire e del proprio
prevedere, allora la scrittura per l’uomo appare antica e costitutiva quanto
l’uomo stesso.
Atto tecnico e atto di comunicazione trovano, o ritrovano, nei vari tipi di
scrittura fonetica e ideografica eccetera, una loro unità che probabilmente è
primigenia del genere umano, ben prima della nostra specie; ed è qui che si
vede meglio ricomporsi l’intellettuale e il manuale. O ancora, diversità e
mutamenti nei modi di pensare si possono studiare bene in rapporto alla
diversità e al mutamento delle tecniche di comunicazione, come fanno gli
studiosi dei rapporti tra oralità e scrittura, che mostrano come la
scrittura abbia operato e continui a operare una ristrutturazione del pensiero,
che agisce poi retroattivamente anche sull’oralità, che diventa oralità
secondaria rispetto all’oralità primaria, precedente la scrittura e tipica
delle società dette senza scrittura solo perché hanno modi diversi di esteriorizzazione
dell’interiorità rispetto alla scrittura alfabetica che mima visivamente il
parlato, rendendolo durevole nello scritto oltre l’effimero del detto, o del
mero pensato o sentito come nel caso delle ideografie o delle pittografie. Le
quali sono tutt’altro che estranee a noi alfabetizzati, se pensiamo alla
funzione comunicativa di tutto l’apparato segnaletico della punteggiatura o
alle nostre scritture matematiche.
È ricorrente distinguere ‘civilizzati’ e ‘primitivi’ definendoli popoli
letterati e popoli illetterati o senza scrittura, ma la distinzione può essere
spesso fuorviante ed etnocentrica. La scrittura alfabetica ha certo contribuito
a fenomeni come la filosofia occidentale o la certezza del diritto. Ma questi e
altri sono scopi e funzioni che tutte le scritture ottengono o possono
ottenere molto più che nel parlato, soprattutto attraverso la ricorsività, cioè
la possibilità di tornarci sopra allo scopo di migliori formulazioni, dopo
attente riletture e riformulazioni.
La capacità di fissare la propria interiorità in simboli materiali esterni
alla propria interiorità e durevoli nel tempo e nello spazio, è dunque da
stabilire come caratterizzante per l’uomo, e non è nemmeno da escludere per
altri viventi. Si ritiene che per miliardi di anni la vicenda della vita sulla
terra sia anche l’evolversi di una ricerca sempre più chiara di un rapporto
cosciente, di un contatto calcolato con altri esseri. Ricerca che amiamo
pensare culminante nel processo di ominazione e che prosegue nella cultura
umana, di cui il pensiero costituisce una parte, quella più elaborata, che
tuttavia consegue, anch’essa, dal funzionamento delle due trame coordinate
della struttura corporea e del sistema nervoso: mano libera nella deambulazione
bipede eretta, bocca libera dalla ricerca e dalla prensione del cibo, scatola
cranica dilatabile una volta conseguita la stazione eretta con una più agevole
sospensione cranica, e quindi con un sistema nervoso molto cerebralizzato.
Che ogni forma, anche la più astratta ed elaborata, di pensiero poggi sulla
fisicità attraverso le due trame coordinate della forma corporea e del sistema
nervoso, nell’uomo estremamente cerebralizzato, è un fatto ben dimostrato dalle
affezioni quali afasie, agrafie, alessie, sordità verbali eccetera, che possono
anche essere provocate in laboratorio agendo sulla corteccia cerebrale.
È così avvenuto che ogni cultura umana ha come sua caratteristica
l’elaborazione e la trasmissione di un sistema artificiale e mutevole di
comunicazione che permette la trasmissione nel tempo, la conservazione e
l’accumulo dei prodotti e delle capacità operative materiali e spirituali. Ogni
cultura può trasmettere e comunicare prodotti e nozioni nel tempo e nello
spazio fisico e sociale, in vista della conservazione e dell’accrescimento, tendenzialmente
perpetuo, dei prodotti del pensiero individuale e collettivo: e ciò perché ogni
gruppo umano ha potuto costruire un sistema di esteriorizzazione, di
materializzazione extracorporea della sua interiorità forse prima del e
soprattutto tramite il linguaggio. Ha creato la dimensione segnica, non solo,
ma in modi tali, appunto perché esteriorizzazione di processi e di prodotti
spirituali, che si tratta di sistemi di segni capaci di essere usati per
significare se stessi: l’ape non potrà mai fare un discorso sul suo discorso
eseguito col sistema della danza indicante la via del nettare. Vivere non è
precisamente la stessa cosa che vivere sapendosi vivere, potendone parlare e
potendo fissare fuori di sé discorsi e costrutti interiori.
E questa è conquista panumana. Ed è grave errore considerare scrittura solo
quella fonetica che “riproduce” più o meno bene il parlato. E allora, per
esempio, quando noi sardi cerchiamo in ogni modo lecito e illecito di
dimostrare il possesso di una grafia alfabetica da parte dei nuragici, non
teniamo conto abbastanza del fatto che una pintadera sarda preistorica (come
quella adottata a suo logo o simbolo da Meridiana) dice molto di più della
parola scritta pintadera, così come il segno o il disegno di una croce anche più
stilizzati dicono molto di più della parola scritta croce.
da qui
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