Il 31 gennaio
2016 è morto a Roma Astrit Dakli. Questo
suo editoriale sulla morte di migranti a Portopalo, in Sicilia, è stato
pubblicato sul manifesto del 10 agosto 2004.
Ventotto persone – è il conto ufficiale – sono state uccise
nel Mediterraneo nei giorni scorsi, mentre tentavano di raggiungere dall’Africa
le coste europee.
Sono state uccise, assassinate, anche se nessuno ha premuto
il grilletto: dire semplicemente che sono morte – e magari imbellettarsi con la
generosità dei soccorsi prodigati ai superstiti portati all’asciutto in Europa
(sorvolando sul fatto che saranno immediatamente rinchiusi in un lager e poi
rispediti in Africa) significa nascondere la verità e coprire gli assassini.
Che esistono e hanno nomi e cognomi, anche se le leggi vigenti non rendono
facile chiamarli in giudizio.
Inutile far finta di niente: in base alle regole della
democrazia, gli assassini di quelle ventotto persone – nonché di molte altre
che sono state uccise prima di loro e di chissà quante che saranno uccise in
futuro – siamo noi. Noi cittadini europei, noi che abbiamo eletto governanti e
dirigenti politici (italiani in prima fila, ma in buona compagnia) sulla base
di mandati che hanno questi omicidi come conseguenza inevitabile. Sono questi
governanti che hanno via via modificato le regole di comportamento in mare,
trasformando un elementare e tradizionale dovere umanitario – soccorrere chi
rischia di affogare – valido da quando esiste la navigazione, in un temerario
atto quasi delittuoso. Un atto che può portare addirittura in galera (come
spiega bene oggi su queste colonne Elias Bierdel, il responsabile della Cap
Anamur) se compiuto senza rispettare una sempre più complessa e rigida sequenza
di preavvisi e autorizzazioni, senza consultare sempre più numerosi e
burocratici organismi di controllo, senza passare insomma attraverso un
labirinto al cui interno basta l’assenza o la svogliatezza di un funzionario a
fermar tutto – per il tempo necessario a far crepare chi sta annegando.
Un meccanismo costruito apposta per scoraggiare lo spirito
umanitario di chi si trova in mare; e per consentire a chi deve decidere
qualcosa a terra di lavarsene le mani, ributtando su altri la responsabilità:
una capitaneria sull’altra, un comando sull’altro, un governo sull’altro, fino
alle ovvie conseguenze.
E’ la paura che spinge gli animali feroci a uccidere, si sa.
Ed è la paura che ha spinto i cittadini e i governanti dell’Europa a 25 a
rinnegare l’umanità e gli ideali che di quell’Europa dovrebbero essere il
fondamento e a costruire la macchina che ferma i migranti in mare, uccidendoli.
Una paura logica: abbiamo sulle spalle infiniti delitti, guerre e stermini
compiuti contro i popoli da cui provengono i migranti di oggi; e temiamo che ci
si presenti il conto. Non era la paura dei propri passati delitti che spingeva
i leader della defunta Ddr a montare sulle frontiere i famigerati fucili
automatici, che sparavano da soli su chi cercava di oltrepassarle? Ma non era
una buona idea, e non li ha salvati.
qui
un bel ricordo di Tommaso Di Francesco
qui altri ricordi di amici di Astrit Dakli
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