giovedì 4 febbraio 2016

canta Franco Trincale



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Trincale, ecco il mandante - Fulvio Abbate

Trincale, il cantastorie Franco Trincale, abbracciato alla sua immancabile chitarra tutta scarabocchiata, lo ricordo popolare, quasi un Beatles o il santo patrono, sul finire degli anni Sessanta.

A Trincale, pensandoci bene, personalmente, devo perfino qualcosa. Certo, gli devo una bella lezione di stile e di civiltà. E' il 1971: e ci troviamo a Palermo durante la festa meridionale dell'Unità. Ed eccolo, Trincale, sta in piedi sotto il palco del comizio, vestito come un autentico blouson noir, o piuttosto un operaio che sta per tornarsene definitivamente in paradiso. A un certo punto, un ragazzino gli chiede un autografo. Trincale lo squadra e sbotta.: "Ma a che ti serve l'autografo?". Non c'è cattiveria, né falsa modestia nella sua reazione, Trincale sta semplicemente spiegando al ragazzetto che il tempo dei divi stronzi che se la tirano è per sempre morto grazie alla nascita di un nuovo tipo d'artista: tipo lui, insomma.

D'altronde, in quel contesto, Trincale ha tutte le carte in regola per essere trattato perfino dai piccoli come un protagonista, un beniamino, meglio, come un papa. Un anno prima, infatti, durante il "Festival di Palermo Pop 70", il nostro, per il solo fatto di aver cantato la sua ballata sulla guerra del Vietnam, se l'è vista brutta. I suoi versi contro "Nixon boia" hanno reso idrofobo il questore che, dapprima gli ha staccato il volume, poi, sempre più gonfio di livore, ha ringhiato così: "Farò di tutto per dargli delle noie!".

Trincale non ci ha fatto caso e, qualche anno dopo, in un libro che documenta tutte le sue imprese canore e militanti, ha incollato anche il ritaglio de "L'Ora" dove quella vicenda viene raccontata nei particolari. Il testo che inviperì il questore? Ah, sì, eccolo: "Per ogni Coca Cola che tu bevi/un proiettile all'America hai pagato". Il fatto è che la stessa canzone non piacque a Giancarlo Pajetta, all'epoca direttore del "L'Unità", che infatti prese carta e penna e gli scrisse: "Mi pare eccessivo dire a chi beve (del resto molto innocentemente) la Coca Cola o a chi mangia una banana, che aiuta a pagare una pallottola per uccidere un vietnamita...". Non è tutto, se infatti sfogli ancora la sua autobiografia del 1979, Dieci anni in piazza, scopri ancora una storia di militanza che affastella la Ballata di Pinelli, le lotte, operaie, l'emigrazione, lo scandalo Lockeed, la vita in famiglia senza molte lire, la sua uscita dal Pci.

Trincale, il cantastorie Franco Trincale, in questo nostro fiammante 2002, pensavo che esistesse ormai soltanto nel magazzino irreale del ricordo di certi tempi politici scaduti, quelli appunto in cui i militanti più fortunati potevano esibire al dito un prestigioso anello realizzato nel paese di Ho Chi Minh, grazie al metallo ricavato dai B-52 abbattuti dalla contraerea vietcong. E invece? Invece, Trincale me lo sono ritrovato pochi giorni fa di nuovo stampato sul giornale più contemporaneo che mai. E' successo che Trincale, il cantastorie Franco Trincale, come già era accaduto con quel questore più di trent'anni prima, stavolta è riuscito a far incazzare addirittura Berlusconi o piuttosto qualche suo aiutante di campo. In questo modo, Trincale, è proprio il caso di dirlo, è entrato di diritto nella contemporaneità della seconda repubblica.

I fatti? Facciamoceli raccontare da lui stesso, da un Trincale quasi settantenne con barba bianca natalizia e sito internet www.trincale.com che nel frattempo canta così: "Vanna Marchi qua e là, Bruno Vespa bla bla bla...". "Ho bisogno di voi!" denuncia infatti il cantastorie: "Quello che mi sta accadendo è una cosa che non mi aspettavo. Una cosa volgare, di basso profilo politico e morale. Berlusconi coinvolge anche me nel suo contesto di bugie e allarmismo per fare spostare da Milano il processo a carico suo e di Previti. Il 10 febbraio scorso mentre mi esibivo nei pressi di piazza Duomo a Milano mi è accaduto un fatto...". Insomma, prosegue Trincale, "nelle 66 pagine del Dossier-Denuncia, che Berlusconi ha presentato al Tribunale di Milano, per dimostrare che Milano è una sede "inquinata" ed influenzata da fatti, tra i quali anche quello di questo semplice e "povero" cantastorie. Il 10 di febbraio scorso, mentre cantavo nei pressi di piazza Duomo, tra l'altro una ballata di satira non su Berlusconi, ma sul matrimonio di Monsignor Milingo, un giovane ed una giovane del pubblico smorfiavano continuamente ed esageratamente la mia musica, facendo balletti e rivolgendomi parole offensive, io li ho invitati più volte ad allontanarsi, perché distraevano il pubblico, ma la loro insistenza ha richiesto l'intervento della polizia, chiamata da alcuni cittadini, poiché nel mentre quel giovane che continuava ad offendermi, mi aveva aggredito, causandomi anche ferite sanguinanti alla fronte, alla gamba destra, e una contusione al costato sinistro, come appunto hanno potuto constatare i cittadini presenti e successivamente l'ambulanza e la volante intervenuta".

Il resto è cosa nota, un uomo poco incline alla commozione come Francesco Merlo, sul "Corriere della Sera", è addirittura intervenuto in sua difesa, segno che qualcosa non va proprio per il verso giusto, segno che la preoccupazione di un cantastorie nato a Militello Val di Catania, che alle elementari fu compagno di classe di uno che ce l'ha fatta come Pippo Baudo, non sono poi così campate in aria, se poi tieni conto che gli amici de "Il Giornale" si sono messi invece lì a dargli addosso perfino su una storia di licenza per cantare sul suolo pubblico, vuol dire forse che nuove nubi si addensano sul cielo della repubblica.

Trincale, alla fine, ne approfitterà per scrivere nuove implacabili ballate da intonare nella sua Milano. Sempre lì, davanti alla Rinascente. Lo confesso senza nessuno disagio: mi sono divertito, ho provato gioia e perfino un senso di lugubre leggerezza ritrovando, come se non fosse trascorso neppure un anno, la sagoma di Trincale. Dico lugubre perché le sue storie, spesso e volentieri, parlano di miseria e di calci presi sui denti dai più sfigati, da chi lavora, da chi non ha neppure una casa che non sia di quelle che vengono occupate nottetempo, ma parlo anche di leggerezza perché in fondo in fondo i giorni di lotta trascorsi tutti insieme, magari davanti a un braciere, davanti a una fabbrica altrettanto occupata danno comunque l'idea dell'esserci al mondo, di stare lì a fare qualcosa che serva a potersi dire "compagni". Fra le foto, fra i ritagli, fra i "retablo", ovvero i cartelloni, fra i trafiletti che Trincale ha tenuto da parte in tutti questi anni ce ne sono alcuni, anzi, molti che parlano di stragi, di misteri di stato, di cose oscure che nonostante il tempo, come diceva il suo conterraneo Sciascia, aggiungono "nero su nero". Storie di ieri, ma anche storie di oggi, se è certo che anche quest'ultimo delitto oscuro di Bologna assai presto troverà posto nell'infinita ballata civile di Trincale Francesco, il cantastorie, il mandante.

Fulvio Abbate L'UNITA' 26/03/2002


Da "Umanità Nova" n. 10 del 17 marzo 2002
Beffeggiare il potere
A colloquio con Franco Trincale, il cantastorie che infastidisce Berlusconi
La libertà d'espressione subisce di questi tempi forti attacchi da parte del potere.
Pubblichiamo in merito un'intervista a Franco Trincale, denunciato da Berlusconi per la sua attività di cantastorie e l'appello di Indymedia per la manifestazione del 16 a Roma "Reclaim your media!".
Abbiamo incontrato Franco Trincale, cantastorie siciliano attivo da quarant'anni, vive a Milano ed è molto conosciuto dai compagni. Silvio Berlusconi, a causa delle sue canzoni, lo ha citato come elemento di disturbo per lo svolgimento del processo SME
Per motivi di spazio, abbiamo dovuto sintetizzare la conversazione che abbiamo avuto con lui.
Tu che sei l'ultimo dei cantastorie, in cosa consiste il tuo ruolo?
Il cantastorie è colui che nelle piccole comunità portava le notizie che altrimenti non sarebbero giunte: il suo compito era fondamentale. Nel suo lavoro è più importante il testo che la musica. Io oggi non ho notizie nuove da raccontare, perché questo è compito di altri tipi di informazione. Allora cosa faccio? Avendo maturato una coscienza comunista/libertaria, nella notizia colgo l'essenza critica da rimarcare. Cioè quello che i giornali non dicono.
Berlusconi dice di te: ".... Francesco Trincale che si porta presso la piazza del Duomo ogni fine settimana per vendere materiale diffamatorio, altresì arringando i numerosi presenti con ulteriori diffamatorie prospettazioni....." e ti considera uno dei motivi per cui il suo processo debba essere spostato da Milano. Tu che ne pensi?
Io credo che se al posto di Berlusconi ci fosse D'Alema le cose non cambierebbero.
Il cantastorie beffeggia il potere ed io ho fatto sempre questo. Ancora adesso, come ho fatto con Craxi, D'Alema, beffeggio Berlusconi: se lui ha una serie di processi in ballo non è certo colpa mia. Io canto le "berlusconate": nel 1994 ho fatto il "berluschino", cioè il bambinello apprendista, preso per la manina da Craxi che lo porta nell'orto della politica.
"Berluschino piccolin,
già attaccato al cadreghin,
già muovevi i primi passi,
attaccato all'orto Craxi....."
Io canto qualsiasi notizia: nel '69 ho cantato la morte di Pinelli ed oggi canto contro la guerra, canto la morte di Carlo Giuliani a Genova...
Uno dei pericoli è quindi, secondo te, quello di togliere spazi di libertà?
Questo è molto importante: adesso diranno che la zona del Duomo è "sacra". Già ora vengono i vigili varie volte al giorno a cercare di farmi smettere o intimidirmi.
L'arte di strada è molto importante: ho ricevuto solidarietà da tutte le parti del mondo.
Io canto le notizie mentre accadono... Io sono con la classe operaia....e sono stato dovunque fosse necessario cantare contro il potere: ho cantato Piazza Fontana, ho cantato per Pinelli sotto la questura, per Ustica.
Per adesso voi siete l'unico giornale che è venuto ad intervistarmi: nessun altro ha considerato importante venire a parlare con me.
In questo momento io ho bisogno che venga riconosciuto il ruolo dei cantastorie, un valore culturale.
Io sono dalla parte della gente che lotta per la libertà, questo vorrei che fosse chiaro. L'attacco alla mia figura è un attacco alla libertà di espressione. Questo fatto va chiarito e denunciato perché è un fatto politico grave.
Io credo che il fatto politico è grave perché si attacca un cantastorie che è impegnato da sempre ed è, in qualche modo, la cattiva coscienza del potere.
Il tuo modo di esprimerti piace alla gente e questo è pericoloso.
È fondamentale quindi esprimerti in questo momento una forte solidarietà.
Insieme possiamo quindi concludere che la cosa più importante è difendere tutti gli spazi di libertà, lottare affinché la strada, le piazze siano luoghi liberi in cui ognuno possa esprimere il proprio pensiero.
Intervista a cura di Antonio e Rosaria


A rivista anarchica n47 Maggio 1976 Aspettando l’espulsione. Intervista con Franco Trincale di P. F.

23 ottobre 2011
Il noto cantautore sociale, ancora iscritto al P.C.I., contesta la linea del partito e si dichiara fautore dell’autogestione – Fino a quando Berlinguer & C. saranno disposti a tollerarlo?
Due grandi A cerchiate e la scritta “La casa è di chi l’abita” tracciate sul muro, davanti al quale lui sta in piedi con la sua fida chitarra: questa la copertina dell’ultimo l.p. di Franco Trincale, intitolato “canti libertari”.
Allora – chiedo subito a Trincale, venutoci a trovare in redazione – si può ormai parlare di Franco Trincale anarchico? No, non si può ancora parlare di me come di un anarchico, e questo per due motivi: innanzitutto per il fatto che io sono e resto tuttora iscritto al P.C.I. per il fatto opportunistico (ma questo tipo di “opportunismo” mi sembra giustificato) che il P.C.I. egemonizza di fatto quegli spazi di espressione culturale che bene o male ti permettono di sbarcare il lunario. Ma questo è pur sempre un fatto secondario; ciò che veramente conta per me è la coscienza che il termine “anarchico” è ancora qualcosa di troppo grande per chi, come me, ha avuto si una sua maturazione in senso libertario, ma resta pur tuttavia limitato da tante contraddizioni nella vita pubblica e privata. Sono poi convinto che gli anarchici pensano – ed io sono d’accordo con loro – che al di là dell’etichetta conta che quel che si fa sia consono agli interessi delle masse. Una domanda mi sorge spontanea: allora, perché questa copertina così chiaramente anarchica? Alla base della mia scelta – spiega Trincale – vi è una valutazione dell’attuale situazione politica italiana. In primo luogo, il P.C.I. si avvia oggi in fretta verso quel compromesso storico che altro non è se non una pura e semplice spartizione del potere con socialisti, democristiani, repubblicani, ecc. Di fronte a questa politica del P.C.I. vi sono continuamente frange che si staccano dal partito e si organizzano alla sua sinistra, pronte però a ripercorrerne le tappe di avvicinamento al potere, innanzitutto con l’abbandono del terreno extra-parlamentare per quello parlamentare. Il che è logico, poiché sappiamo che il potere inquina. A questo punto io ritengo che l’unica alternativa a questo ripetersi della storia, che vede i partiti egemoni della classe operaia tendere continuamente al potere, sia l’autogestione, autogestione in tutti i campi della società. E poiché sono convinto che anche all’interno del P.C.I. vi siano tanti compagni di base che sentono le mie stesse esigenze, considero il mio disco (con la sua copertina) come uno degli strumenti validi per far crescere anche in loro quella maturità di coscienza libertaria che io ho, seppur contraddittoriamente, già raggiunto.
È cosa nota che il centralismo democratico del P.C.I. non ammette che i militanti del partito sgarrino e si permettano di criticare in pubblico le scelte ufficiali di organi direttivi. Lo faccio osservare a Trincale, che pure queste cose le sa meglio di me avendo militato per tanto tempo nel P.C.I. e che, per esperienza, sa quante volte i burocrati gli hanno censurato o vietato canzoni, perché ritenute “troppo estremiste”, inopportune, ecc. Io mi rendo conto che la copertina del mio ultimo disco assume per il P.C.I. un valore provocatorio: infatti io sono preparato, bene o male, a ricevere l’espulsione ufficiale dal partito o perlomeno l’emarginazione da quegli spazi di espressione culturale che, come ho detto prima, sono egemonizzati dal P.C.I. A questo proposito, permettimi di fare i miei complimenti a quella compagna Claudia V. per il suo ottimo articolo sull’A.R.C.I. (c.f.r. “A” 44).
A questo punto il discorso cade sulla validità della musica e del canto quali strumenti di intervento sociale sulla attuale realtà italiana. Trincale ha una sua opinione ben precisa, che gli deriva dalla sua ventennale esperienza nel contempo artistica e sociale. Ha infatti cominciato a cantare fin da ragazzo nella sua terra di Sicilia, andando in giro per le strade ad interpretare canzoni tradizionali incentrate sui temi dell’amore, del tradimento, della nostalgia, ecc. La sua maturazione culturale e sociale, iniziatasi già in quegli anni a contatto con la cultura delle classi subalterne siciliane (delle quali Trincale è fiero di essere un componente e, in un certo senso, un interprete), si è andata consolidando dopo la sua venuta al Nord, con i relativi problemi comuni a tutti gli immigrati. Impostosi all’attenzione del mondo musicale per le sue tre vittorie consecutive alla sagra dei cantastorie italiani (a Piacenza), Trincale si è sempre più buttato sulla tematica sociale, verificata quotidianamente a contatto con i lavoratori, con il popolo. I suoi “teatri” sono stati infatti per lo più le strade, le piazze, le fabbriche, le dimostrazioni; il suo pubblico (ed i suoi critici più validi) sono sempre stati i lavoratori, gli studenti, tutti coloro che nelle loro lotte lo hanno ritrovato a fianco della comune battaglia di emancipazione sociale. Le “noie” con l’autorità giudiziaria non sono mancate: basti qui citare il clamoroso episodio di Palermo, quando, nel corso del I Festival Pop (1971), il suo spettacolo fu bruscamente interrotto dall’intervento del vice-questore che bloccò l’impianto microfonico, trattenne per un’ora Trincale nel suo camerino e successivamente lo denunciò. La sua grave colpa era stata quella di cantare due sue canzoni particolarmente sgradite ai signori questurini: “La ballata di Pinelli” e “L’orologio del dottor Guida” . Un mese fa si è tenuto il processo e Trincale è stato assolto.
Non c’è che dire: Trincale è un cantautore sui generis, uno di quelli per cui l’impegno sociale non è un comodo alibi da esibire nelle discussioni salottiere. Quel è la sua opinione sulla cosiddetta musica alternativa?Secondo me – risponde Trincale – non si può parlare di “musica alternativa” o di “alternativa musicale” come se si trattasse di novità: essa è sempre esistita, infatti, e si identifica con tutta quella musica che il sistema ha sempre escluso dai suoi canali di diffusione. Pensiamo un attimo a quando non c’era ancora nemmeno la radio: il padrone si rompeva i coglioni perché le mondine cantavano le loro canzoni, canzoni di protesta e di lotta, e cercava già allora di imporre un’altra musica, di “far passare” altre canzoni (quelle d’amore, tanto per intenderci). Le canzoni delle mondine, in quella situazione, erano così strumento ed azione di lotta dei lavoratori, non riuscendo i padroni a monopolizzare il “mondo della canzone”. È il sistema che ha imposto la credenza secondo la quale per cantare sarebbe necessario studiare, servirsi di strumenti, ecc., mentre la realtà è che la voce – strumento umano che ci ha dato madre natura – non abbisogna di niente per essere utilizzata nel canto. Facendo credere, invece, che c’è bisogno di tutto un apparato “tecnico”, il sistema non ha voluto far altro che crearsi i suoi interpreti, al suo servizio, strozzando così la voce diretta del popolo che è l’unica vera “musica alternativa”. È proprio per difendere i loro interessi che i padroni hanno sempre escluso e combattuto la libera espressione delle masse. Il discorso si fa attuale: Trincale mette in luce l’illusione di quei giovani che credono di “fare” della musica alternativa solo perché si recano ad ascoltare i nuovi idoli della musica pop, senza accorgersi della nuova manovra dei grossi discografici che, fiutando il guadagno, stanno cavalcando la tigre di questa musica pseudo-alternativa e pseudo-impegnata che, in sostanza, non scalfisce di certo i loro interessi e non contribuisce a far maturare la coscienza delle masse.
Le ultime battute del mio colloquio con Trincale riguardano il suo ultimo disco. Gli faccio osservare che mal si conciliano con il titolo del disco (“Canti libertari”) almeno due punti: l’inno “Bandiera rossa” (intonato al termine di una bella canzone sui morti di Reggio Emilia) e soprattutto “Le quattro bandiere”, che si apre con un perentorio Bandiera nera la vogliamo no!: quale militante di un gruppo richiamantesi esplicitamente alla “Bandiera nera” e, più in generale, quale militante del movimento anarchico non posso certo apprezzare che venga salutata la bandiera rossa dei bolscevichi e venga rifiutata quella nera di Machno e degli anarchici in genere. È pur vero che la bandiera nera cui la canzone fa riferimento è quella dei fascisti, ma proprio in disco libertario andava prolungato quest’odioso equivoco sul quale – ce n’ha fornito testimonianza lo stesso Trincale – più di una volta hanno speculato i burocrati comunisti per confonderci con i fascisti? Trincale riconosce la contraddittorietà dei pezzi citati con il titolo e lo spirito del disco. Una contraddizione in più, a mio avviso, in questo “compagno libertario” ancora iscritto al P.C.I.



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