Nel
Cinquecento, le fortezze venivano costruite a scopo difensivo, per
"produrre lentezza", dilatare il tempo. Oggi le immagini delle
fortificazioni e dell'assedio sono richiamate nel descrivere il sistema
economico, dalle dinamiche che guidano le migrazioni a quelle ambientali, fino
alle guerre, ma dovremmo prendere atto che non è possibile rallentare il
cambiamento
Nella
seconda metà del ‘500, l’ingegnere militare fiorentino Bonaiuto Lorini scrisse
un saggio sulle fortificazioni; un passaggio del testo recita: “Fabbricare il
corpo della fortezza con quei membri e quelle proporzioni militari che a tale
architettura si richiede per difendere non solo un esercito da un altro assai
maggiore, ma la città e i regni, è il nostro fine; prevalendoci della forma e
della materia dei siti con ordine tale che i pochi difensori si possano
difendere da numero assai maggiore, col fargli perdere tempo”. Il
corsivo è dello scrittore romano Daniele Del Giudice, che nel
commentare Lorini scrive: “La vera arma della fortezza era dunque il ritardo,
il produrre lentezza, il dilatare il tempo fino a renderlo
inoffensivo”.
A farci caso, le immagini delle fortificazioni e dell’assedio sono spesso richiamate nel descrivere il sistema economico. E infatti le pratiche, le dinamiche e le politiche economiche sembrano far di tutto per farci perdere tempo, e rimandare il più possibile una transizione necessaria e urgente. Ma tempo ne abbiamo poco.
È facile lavorare per analogie: nella fortezza risiede quell’1% della popolazione che -da solo- ha oltre la metà delle ricchezze del Pianeta; e i forzieri sono i paradisi fiscali. Fuori, il 99% degli abitanti del Pianeta, e tra questi gli oltre 3,6 miliardi che dispone di redditi pari a quelli dei 62 miliardari più facoltosi del globo, come ha svelato l’ong Oxfam.
Non è difficile pensare che quell’1% non abbia alcuna fretta di contribuire a un mondo meno diseguale, ma che al contrario cerchi di ritardare il più possibile il momento in cui tale condizione dovesse iniziare a realizzarsi. A giudicare da come stanno le cose, ci stanno riuscendo piuttosto bene.
L’assedio è un termine che si usa con frequenza anche trattando di migrazioni. E anche in questo caso, le politiche migratorie attuate dai Paesi più ricchi danno l’idea di volere “contenere” un fenomeno, più che gestirlo. Con conseguenze nefaste. Un recente rapporto di Medici Senza Frontiere ha denunciato ad esempio il catastrofico fallimento dell’Unione europea (la “Fortezza Europa”) nel rispondere ai bisogni umanitari di rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel 2015. Il report di MSF descrive gli ostacoli che l’Europa e i governi europei hanno imposto lungo il percorso di oltre un milione di persone, la maggior parte in fuga da guerre e persecuzioni: mancanza di alternative alle pericolose traversate del mare, recinzioni di filo spinato sui confini, continui cambiamenti nelle procedure burocratiche fino a veri e propri atti di violenza. Tutto allo scopo di rallentare l’affermazione dei diritti di quelle persone: “Un approccio atroce e inaccettable” conclude MSF.
Anche la transizione da un sistema energetico basato su fonti fossili a uno “rinnovabile” è continuamente rallentato. L’organizzazione Friends Of The Earth ha calcolato che le ricchezze delle 782 persone più facoltose della Terra sono equivalenti a quelle necessarie per convertire al “100% rinnovabile” i sistemi energetici di Africa, America Latina e gran parte dell’Asia, ovvero di circa metà della popolazione mondiale. Per l’Africa basterebbero i primi 32.
Sarebbe molto utile, data l’urgenza -ecco ancora apparire il fattore tempo- imposta anche solo dai cambiamenti climatici, ma l’economia mondiale -e anche quella locale- non riesce a togliere gli occhi dal petrolio. E per questo quegli occhi li chiude quando proprio i Paesi produttori di petrolio muovono guerre crudeli. Il conflitto in Yemen è relegato nel girone dei dimenticati della politica internazionale, e dell’opinione pubblica. Secondo l’Unhcr circa l’80% della popolazione del Paese (il più povero dell’area) necessita di assistenza umanitaria. Gli scontri sono costati la vita a oltre 6mila persone, in particolare civili (tra questi 10 bambini uccisi a Taiz, mentre tornavano a casa da scuola, il 19 gennaio 2016) mentre sono oltre 2,3 milioni gli sfollati interni. La guerra si è acuita dopo l’intervento di Arabia Saudita e Iran a sostegno delle fazioni contrapposte, con lo scopo dichiarato di tutelare la filiera del petrolio (molto del quale diretto in Europa). Le bombe saudite sganciate in Yemen sono partite anche dall’Italia, dall’aeroporto di Cagliari. Di notte, in tutta fretta, perché nessuno se ne accorgesse.
A farci caso, le immagini delle fortificazioni e dell’assedio sono spesso richiamate nel descrivere il sistema economico. E infatti le pratiche, le dinamiche e le politiche economiche sembrano far di tutto per farci perdere tempo, e rimandare il più possibile una transizione necessaria e urgente. Ma tempo ne abbiamo poco.
È facile lavorare per analogie: nella fortezza risiede quell’1% della popolazione che -da solo- ha oltre la metà delle ricchezze del Pianeta; e i forzieri sono i paradisi fiscali. Fuori, il 99% degli abitanti del Pianeta, e tra questi gli oltre 3,6 miliardi che dispone di redditi pari a quelli dei 62 miliardari più facoltosi del globo, come ha svelato l’ong Oxfam.
Non è difficile pensare che quell’1% non abbia alcuna fretta di contribuire a un mondo meno diseguale, ma che al contrario cerchi di ritardare il più possibile il momento in cui tale condizione dovesse iniziare a realizzarsi. A giudicare da come stanno le cose, ci stanno riuscendo piuttosto bene.
L’assedio è un termine che si usa con frequenza anche trattando di migrazioni. E anche in questo caso, le politiche migratorie attuate dai Paesi più ricchi danno l’idea di volere “contenere” un fenomeno, più che gestirlo. Con conseguenze nefaste. Un recente rapporto di Medici Senza Frontiere ha denunciato ad esempio il catastrofico fallimento dell’Unione europea (la “Fortezza Europa”) nel rispondere ai bisogni umanitari di rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel 2015. Il report di MSF descrive gli ostacoli che l’Europa e i governi europei hanno imposto lungo il percorso di oltre un milione di persone, la maggior parte in fuga da guerre e persecuzioni: mancanza di alternative alle pericolose traversate del mare, recinzioni di filo spinato sui confini, continui cambiamenti nelle procedure burocratiche fino a veri e propri atti di violenza. Tutto allo scopo di rallentare l’affermazione dei diritti di quelle persone: “Un approccio atroce e inaccettable” conclude MSF.
Anche la transizione da un sistema energetico basato su fonti fossili a uno “rinnovabile” è continuamente rallentato. L’organizzazione Friends Of The Earth ha calcolato che le ricchezze delle 782 persone più facoltose della Terra sono equivalenti a quelle necessarie per convertire al “100% rinnovabile” i sistemi energetici di Africa, America Latina e gran parte dell’Asia, ovvero di circa metà della popolazione mondiale. Per l’Africa basterebbero i primi 32.
Sarebbe molto utile, data l’urgenza -ecco ancora apparire il fattore tempo- imposta anche solo dai cambiamenti climatici, ma l’economia mondiale -e anche quella locale- non riesce a togliere gli occhi dal petrolio. E per questo quegli occhi li chiude quando proprio i Paesi produttori di petrolio muovono guerre crudeli. Il conflitto in Yemen è relegato nel girone dei dimenticati della politica internazionale, e dell’opinione pubblica. Secondo l’Unhcr circa l’80% della popolazione del Paese (il più povero dell’area) necessita di assistenza umanitaria. Gli scontri sono costati la vita a oltre 6mila persone, in particolare civili (tra questi 10 bambini uccisi a Taiz, mentre tornavano a casa da scuola, il 19 gennaio 2016) mentre sono oltre 2,3 milioni gli sfollati interni. La guerra si è acuita dopo l’intervento di Arabia Saudita e Iran a sostegno delle fazioni contrapposte, con lo scopo dichiarato di tutelare la filiera del petrolio (molto del quale diretto in Europa). Le bombe saudite sganciate in Yemen sono partite anche dall’Italia, dall’aeroporto di Cagliari. Di notte, in tutta fretta, perché nessuno se ne accorgesse.
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