Le disposizioni sull’alternanza scuola-lavoro, se per un verso il Miur non
dà chiare indicazioni, dall’altro avrebbe lo scopo di “attuare modalità
di apprendimento flessibili ed equivalenti sotto il profilo culturale ed
educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino
sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza pratica”, e di
“arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con
l’acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro”.
E già questo linguaggio, spiega Internazionale.it, vaghissimo e in aziendalese
dovrebbe mettere in allerta. E difatti le proposte che arrivano alle scuole
sono le più disparate: dal volontarismo ai negozi di abbigliamento che cercano
commessi, dalle agenzie pubblicitarie (che cercano volantinatori e uomini
sandwich) alle società di marketing fino anche alle parrocchie dove
imparare a fare l’aiutante della perpetua.
La caratteristica comune di tutti questi progetti (di cui né ministero né
le singole scuole sono tenuti a verifica in anticipo) è che gli studenti
impegnati in quest’alternanza andranno a lavorare gratis e raramente potrà
assicurare quell’“acquisizione di competenze da spendere nel mercato del
lavoro”.
Mentre per le aziende si tratterà di disporre a getto continuo, durante
tutto l’anno scolastico, di una manodopera giovane, generalmente motivata, non
pagata.
I nuovi esperti di riferimento del Miur immaginano un mondo in cui la
scuola debba formare, di fatto, al precariato e allo sfruttamento.
Dall’ultimo censimento Unioncamere risultano 117.000 posizioni di lavoro
disponibili. Ed economisti e sociologi parlano di mezzo milione di posti
scoperti per mancanza di qualificazione. Ma è davvero possibile di questi
tempi?
Possibilissimo se fra questi lavori c’è anche quello di “porcaio”.
Ma, sottolinea L’internazionale, il punto è: quanti ragazzi o quanti dei
loro genitori accetterebbero un simile lavoro.
Nessuno lo accetterebbe se si trattasse di attendere ai maiali per tutta la
vita. Ma non è un lavoro da disprezzare: si possono apprendere nozioni di
biologia, fisiologia. Perché non può far parte di un percorso di studi per
diventare veterinario? Si deve accettare l’idea di cambiare lavoro. Eppure è
più semplice se il lavoro resta lo stesso per tutta la vita: sindacati,
burocrazia e aziende, troppi hanno interesse a mantenere un lavoro ‘per
sempre’.
Dietro questa visione si nascondono due bugie: la prima, che i progetti di
alternanza scuola-lavoro sono formativi; la seconda, che il progetto pedagogico
consiste nel fare il porcaio sottopagato per diventare, magicamente,
veterinario, invece di prevedere investimenti in ricerca e in istruzione di
alto livello.
I nuovi esperti di riferimento di questo ministero dell’istruzione
immaginano un mondo in cui serve sempre meno lavoro, in cui la scuola, non solo
quella superiore, debba formare non al lavoro qualificato, ma alla
flessibilità, all’adattamento. Di fatto: al precariato e allo sfruttamento.
Cos’altro sono duecento o quattro ore non pagate? Perché lo stesso studente
non potrebbe decidere – se vuole rendersi economicamente più autonomo – di
svolgere lo stesso lavoro d’estate ma pagato? Perché lo stesso studente non
potrebbe decidere di dedicare lo stesso tempo a formarsi sul molto altro su cui
spesso la scuola italiana è carente? Perché lo stesso studente non può
immaginare di evitare di usare questo tempo per quella che di fatto è
un’ulteriore materia curricolare, e invece studiare meglio le materie che fanno
parte del corso di studi che ha scelto?
Non è difficile ammettere che la ratio dell’alternanza scuola-lavoro è: non
investire nella formazione permanente destinata al mondo del lavoro, ma cercare
di trasformare il prima possibile gli studenti in operai disponibili ai lavori
sottopagati e precari, con nessuna possibilità di avanzamento.
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