I media la definiscono l’intifada
dei singoli. Ma tutti noi sappiamo che è innanzitutto un’ intifada dei giovani.
La classe politica israeliana è convinta che [i giovani] vengano sobillati, ma
chiunque voglia essere onesto con sé stesso sa che le ragioni reali della
recente ondata di attacchi sono la persistente occupazione, le umiliazioni quotidiane,
il vuoto esistenziale e la percezione di non avere nessuna via di uscita.
Poco distante dalle nostra vita
quotidiana a Tel Aviv e a Haifa, un popolo privo dei diritti umani e privo dei
più fondamentali diritti civili ha vissuto per circa mezzo secolo. Noi, gli
israeliani, lavoriamo, studiamo e viviamo agiatamente e liberamente, mentre non
lontano da noi un popolo è alla mercé dei soldati e della smisurata avidità per
la terra dei coloni appoggiati dal governo.
Ogni volta che sento le notizie di
un ragazzo o una ragazza palestinese che hanno buttato la loro vita per
ammazzare degli israeliani, sono costernato per il gesto, ma allo stesso tempo
non posso esimermi dal ricordare le dure parole di Alexander Penn [poeta
israeliano di origine russa membro del partito comunista, ma anche sionista.
ndt]: “Ed egli è stato incendiato, sta fiammeggiando e sacrifica se stesso per
incenerire l’amara offesa della schiavitù”.
Naturalmente la resistenza armata
non è di per sé qualcosa di nobile e di virtuoso. E’ difficile e spesso
orrendo. Donne innocenti e bambini sono colpiti e persino uccisi.
Ma quelli che lo stanno perpetrando
non sono nati assassini. In altre circostanze storiche, quei bambini e quei
giovani che prendono un coltello da cucina, un’accetta o una vecchia auto e li
trasformano in armi letali, avrebbero potuto finire i loro studi, diventare
degli onesti professionisti, essere delle madri e dei padri, crescere dei
bambini e invecchiare pacificamente.
Ma nella loro storia è stato
danneggiato qualcosa che sta provocando disastri e che nella nostra storia
israeliana sta diventando mostruoso.
Quando incontro all’estero dei
colleghi , spesso mi chiedono come possa succedere che i discendenti degli
ebrei perseguitati possano trasformarsi in così brutali persecutori. Io
rispondo che la persecuzione non ha mai prodotto un automatico vaccino contro
l’arbitrarietà e la cecità verso il destino dell’altro.
Tuttavia se l’insediamento dei
profughi [ebrei] cacciati dall’Europa può essere considerata come una giustizia
storicamente discutibile ( dopo tutto, i nativi non avrebbero dovuto pagare per
quello che la civiltà cristiana ha fatto ai nostri genitori e ai nostri nonni)
il continuo insediamento dei figli dei profughi che hanno già acquisito una
sovranità è un male privo di qualsiasi giustizia.
La maggior parte della società
israeliana sostiene i mali dell’occupazione o indifferente riguardo ad essi.
Alcuni pensano che è il prezzo da pagare per la lenta liberazione
dell’immaginaria patria che la bibbia ha promesso loro. Altri traggono un
beneficio da generosi finanziamenti e da beni reali; per la maggior parte di
essi è semplicemente più comodo ignorare tutto quello che li circonda.
Le ferie incombenti, la carriera
che è così difficile da preservare e sviluppare, le difficoltà economiche e gli
ostacoli e altri simili cose ci impediscono di vedere e comprendere perché dei
ragazzini diventano degli assassini. Perché tredicenni, quattordicenni,
quindicenni hanno apparentemente perso interesse verso la loro vita e sono di
conseguenza disposti a prendersi la vita di altri in un’esplosione di odio.
Non scrivo per convincere i coloni
e i loro fanatici sostenitori. Non provo a cambiare il pensiero dei politici
populisti che nuotano in un oceano di manipolazione del potere.
Cerco di rivolgermi a coloro che
sono apatici o forse pigri, o semplicemente perché gli conviene non saperne
niente. L’ondata di terrore degli ultimi mesi non ci ha ancora impedito dal
condurre una vita normale. È ancora possibile vivere un’esistenza illusoria, nella
convinzione che alla fine tutto in qualche modo si aggiusterà.
Se noi israeliani siamo riusciti
fino ad ora a cavarcela da tutte le guerre e dalle intifade , sicuramente
riusciremo a superare tutti i guai futuri.
Io, in dissenso con costoro, penso
che la vita oggi in un Medio Oriente instabile e in un Paese ebraico in
continua espansione è simile a una corsa senza speranza e condannata [in
partenza]. Non solo stanno crollando i valori fondamentali, ma con loro è stata
erosa anche la logica politica dei nostri stessi presunti interessi.
Penso che i miei contributi ingenui
possano servire? Non proprio. Sono sempre più persuaso che la possibilità di
un’opposizione politica capace di modificare la tendenza generatasi in Israele
– che annunci che Israele non è interessato a nessuna sovranità oltre i confini
del 1967 e che intenda rimandare indietro nelle loro precedenti patrie tutti i
coloni; che i luoghi santi non devono essere sotto il controllo esclusivo di
Israele e che Gerusalemme può essere la capitale dei due Stati – la probabilità
che ciò avvenga sia prossima allo zero.
È possibile che, se il terrorismo
aumenta e se, dio non voglia, gli assalitori suicidi più anziani si uniscono ai
giovani di oggi, se non ora in futuro, più e più israeliani si stancheranno
concretamente dell’occupazione. Ma se questo triste scenario si concretizzasse,
ciò avverrebbe dopo dopo che ancora più sangue venga versato da entrambe le
parti.
Proprio perché mi oppongo
all’occupazione e alla negazione dei diritti degli altri, detesto anche il
terrorismo e lo ripudio. Per questa ragione, sono sfortunatamente arrivato a
una conclusione che precedentemente avevo rifiutato di fare o di esprimere
pubblicamente. Non posso più continuare a criticare le pressioni sul governo
israeliano.
Per anni mi sono opposto al
boicottaggio e alle sanzioni, ma sono sempre più convinto che, come le sanzioni
hanno funzionato quando sono state applicate contro il Sud Africa e contro
l’Iran, possono essere efficaci se applicate contro Israele.
Le sanzioni non hanno distrutto il
Sud Africa o l’Iran. Né distruggeranno Israele. Io, ovviamente, mi oppongo per
principio a sanzioni il cui obiettivo sia quello di cambiare il regime e lo
stile di vita in Israele. Nessuno se non gli israeliani ha il diritto di farlo.
Ma le sanzioni che sono intese a
impedire il continuo controllo di Israele sulla vita degli altri, il che ha
impedito a costoro di possedere la propria terra e gestire il proprio destino
negli ultimi 50 anni, non contraddicono il principio democratico di autodeterminazione.
È vero il contrario. Lo ampliano.
Questa è un’opportunità, e non
piccola, che tali sanzioni salvino sia i ragazzi che commettono attacchi
suicidi che le loro vittime. E oltretutto, potrebbero togliere Israele dalla
trappola da cui, come dimostra ogni giorno che passa, non è in grado di uscire
da solo. A mio modesto parere chiunque ami il Paese e si opponga al terrorismo
non può più permettersi di continuare a protestare contro le pressioni e le
sanzioni che divengono via via sempre più legittime
Il prof. Sand insegna nel
dipartimento di storia dell’università di Tel Aviv. Il suo ultimo libro
“History in the Shadows” [titolo originale “Crépuscule de l’histoire”,
sull’insegnamento della storia, ndtr.] è stato pubblicato nel 2015.
Fonte: Haaretz
Traduzione di Carlo Tagliacozzo
per Zeitun
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