“Barbudos nel
Botafogo e nella Seleção? Nemmeno per sogno”. Fu
così che venne interrotta la carriera di successo di Afonso Celso Garcia Reis,
il centrocampista con barba e capelli lunghi a cui fu proposto addirittura di
entrare nella lotta armata contro il regime militare brasiliano al potere dal
1964 al 1985.
Afonsinho, questo il soprannome del
calciatore, avrebbe continuato a giocare, ma sia la dirigenza del Botafogo, una
delle squadre di Rio de Janeiro, sia Mario Zagallo, l’allenatore del Brasile
che aveva condotto la Seleção alla
vittoria della Coppa del mondo in Messico nel 1970, battendo per 4-1 l’Italia,
lo giudicarono troppo di sinistra sia per via del suo look sia perché non
sopportavano che il ragazzo non si occupasse solo di calcio, ma anche di tutto
ciò che accadeva in quegli anni in Brasile. Tra il 1965 e il 1970 Afonsinho non
solo giocò accanto a campioni come Gerson e Jairzinho, ma partecipò, assieme
agli studenti, alle manifestazioni contro la dittatura. “Se non c’è la
giustizia, difficilmente si raggiungerà la pace”, aveva commentato l’ex
calciatore, oggi medico a Rio de Janeiro, a proposito del colpo di stato ordito
da Michel Temer contro Dilma Rousseff. A 22 anni Afonsinho era uno dei migliori
centrocampisti del Brasile, ma pur sapendo che le sue convinzioni gli avrebbero
precluso una carriera migliore non fece mai abiura delle sue idee politiche e nemmeno
la cacciata dal Botafogo, da cui fu temporaneamente allontanato, servì per
cambiare la sua visione del mondo. Al ritorno nella squadra alvinegra (bianconera) dall’Olaria, formazione
della zona nord di Rio de Janeiro assai meno titolata del Botafogo che
Afonsinho trascinò comunque al terzo posto del campionato, a soli quattro punti
dai campioni del Fluminense, il centrocampista si ripresentò con la stessa
barba e gli stessi capelli lunghi. “Posso farla finita con il calcio anche
subito” dichiarò al termine di quella sorta di esilio sportivo durante il quale
il Botafogo aveva addirittura rifiutato di concedergli la divise da gioco e per
gli allenamenti. Per fortuna Afonsinho non si ritirò e la sua perseveranza in
un mondo comunque conservatore come quello calcistico lo trasformò in icona dei
calciatori antifascisti, con buona pace del tecnico Zagallo, simpatizzante
della giunta militare. Grazie alla sua battaglia legale contro il Botafogo,
Afonsinho divenne il primo giocatore brasiliano a conquistare il diritto di
essere svincolato. Fino ad allora, infatti, i calciatori erano di esclusiva
proprietà del club e, se venivano messi fuori squadra, non avevano la
possibilità, come adesso, di cambiare maglia. Ancora oggi, a proposito dei
procuratori dediti a fare gli interessi dei calciatori, ma soprattutto i
propri, Afonsinho non ha alcuna remora nel definirli come “trafficanti di
schiavi”.
All’inizio degli anni ’70, il musicista
Gilberto Gil, anch’esso perseguitato dal regime e costretto all’esilio, gli
dedicò la canzone Meio de Campo e,
il regista Oswaldo Caldeira parlò del calciatore nel film Passe Livre. Contemporaneamente era cresciuta anche
l’attenzione del regime militare nei confronti di Afonsinho, che, in quanto
studente di Medicina, si inseriva benissimo nel filone del più celebre
“dottore”, Socrates, e del suo Corinthias. Addirittura, un giornalista confessò
al calciatore che la polizia politica gli aveva chiesto di seguire ogni sua
mossa. In qualità di calciatore impegnato e studente, Afonsinho non disdegnava
di partecipare a dibattiti sulla situazione politica che stava vivendo il suo
paese e in questo contesto gli fu proposto di aderire alla guerriglia, ma
rifiutò perché altrimenti sarebbe stato costretto ad abbandonare il mondo del
calcio.
L’alvinegro antifascista,
così era soprannominato Afonso Celso Garcia Reis, terminò la sua carriera nel
1982 dopo aver indossato anche le maglie di Vasco da Gama, Santos, Flamengo,
America e Fluminense. Quando appese le scarpe al chiodo per il regime fu un sollievo,
così come per i dirigenti delle principali squadre brasiliane. Ad esempio,
ammette Tostão, un altro campione storico del Brasile di quegli anni, fu grazie
ad Afonsinho che i calciatori cominciarono a prendere coscienza di essere dei
veri e propri schiavi nelle mani di società senza scrupoli. “Conosco soltanto
un uomo libero nel mondo del calcio” ebbe a dire una volta Pelé riferendosi ad
Afonsinho, ancora oggi senza peli sulla lingua nel denunciare il
cosiddetto mercantilismo esportivo.
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