Nella storia l’ economia ha cambiato pelle e così il Capitalismo. Nel ‘500
l’economia feudale lasciò spazio a quella mercantile; si formarono i primi
Stati nazionali (Francia Spagna ed Inghilterra) in mano alle monarchie; le
scoperte geografiche portarono questi Stati alla conoscenza di nuove merci,
fondamentali le spezie e le pietre preziose, per l’accaparramento delle quali
si iniziarono una serie di conflitti che portarono alla fondazione di
innumerevoli colonie. Gli Stati appena fondati rivelarono il proprio
imperialismo, tramite il quale un modello proto-capitalista faceva incetta di
merci.
La prima Rivoluzione Industriale trasformò ancora il modello economico,
fino ad arrivare alla odierna Rivoluzione digitale, che ha finito per
colonizzare le nostre vite, le nostre menti.
Il testo che segue, è un’ analisi lucida dei meccanismi che il capitale
odierno, quello delle Corporations digitali, utilizza per continuare a fare man
bassa di profitti e di come si sia trasformata la merce stessa. Altrettanto
lucidamente l’autore del libro, da cui è stato estratto il brano, ci mette al
corrente del controllo e dello sfruttamento inconsapevole di cui siamo oggetto
ogni giorno, ogni minuto che utilizziamo con i nostri onnipresenti dispositivi
(smartphone, pc, tablet) social network o Rete. E dei pericoli a cui la società
va incontro.
Il capitale sembra essersi smaterializzato nella Rete, assumendo una
parvenza di post-capitalismo che permea le nostre attività. Ma non c’è alcun
“post” e le dure regole dell’accumulazione funzionano nello stesso modo, solo
su scala immensamente più grande.
Le parole del Prof. Srnicek aiutano a riflettere: si dovrebbe forse
guardare questo mondo virtuale, in potenza, con lo sguardo della realtà
effettiva, che esso simula… La truffa si smaschera facilmente, la comprensione
dei meccanismo si dipana attraverso le note forme della critica dell’economia
capitalistica… Più difficile, certamente, creare gli strumenti per combatterla.
Ma non si deve restare abbagliati dalle forme della tecnologia, per
definizione sempre “nuove”. La logica – capitalistica – resta tanto più
efficiente quanto meno osservata, indagata, analizzata. E non per caso Srnicek
è obbligato, alla fine del suo excursus, a presentare come possibile soluzione
solo lanazionalizzazione. Ovvero l’assunzione delle piattaforme sotto
il controllo pubblico.
Soluzione che è a sua volta un problema, perché le corporations digitali
sono tutte “globali”, mentre qualsiasi possibile controllo pubblico ha limiti
forzatamente nazionali o al massimo semi-continentali (Unione Europea).
Come si vede, nelle analisi migliori sugli effetti sociali delle
innovazioni tecnologiche connesse alla Rete non fa mai la sua comparsa quella
dicotomia stupida (“materiale/immateriale”) che ha inquinato soltanto il
“dibbattito” dentro una sinistra sempre più acefala.
* * * * *
Una crisi si profila all’ orizzonte. Ci si è resi conto che non è possibile
contrastare o entrare in concorrenza con il monopolio delle piattaforme
digitali, che stanno da tempo risucchiando i nostri dati personali: sono troppo
potenti per essere al servizio dell’interesse pubblico.
Per un breve periodo, nel marzo del 2014, il dominio di Facebook è
sembrato essere a rischio. Con un enorme battage pubblicitario
la piattaforma Ello si presentò come l’alternativa
indipendente proprio a Facebook . Secondo il manifesto che
accompagnava il suo lancio pubblico, Ello non avrebbe mai
venduto i vostri dati a terzi, non si sarebbe affidato alla
pubblicità per finanziare il proprio servizio, né avrebbe richiesto di usare il
vostro vero nome in fase di registrazione. Il battage si
affievolì, mentre Facebook ha continuato ad espandersi.
La rapida ascesa e caduta di Ello è sintomatica del nostro
mondo digitale contemporaneo e della potenza del modello monopolistico
derivante dalle nuove “piattaforme digitali” del XXI secolo
che si chiamano Facebook, Google ed Amazon. Il
loro modello, la loro struttura gli ha permesso di appropriarsi e trasferire dati
ed entrate ad una velocità incredibile, e nello stesso tempo di consolidarsi
come i nuovi signori dell’economia.
Proprio lunedì scorso, si è verificato un ulteriore balzo gigantesco: Amazon ha
rilanciato la prospettiva di una guerra internazionale delle tariffe dei generi
alimentari, tagliando i prezzi il primo giorno in cui è diventato rivenditore
esclusivo on line di cibo biologico (subito dopo aver acquistato la
catena Whole Foods) e andando da subito in concorrenza con la
compagnia Walmart (la più grande e potente catena di
supermercati americana n.d.r.).
Il “modello” piattaforma digitale – nulla più che una
struttura che mette in connessione due o più gruppi e gli permette di
interagire fra di loro– è determinante per aumentare o meno il peso ed il
potere di queste compagnie. Nessuna concentra le proprie energie facendo cose
come le facevano le compagnie tradizionali decenni orsono. Facebook, mette
in contatto direttamente utenti, inserzionisti, ed imprenditori; Uber,
conducenti e clienti; Amazon, venditori e compratori.
Quello che fa la fortuna di business di questo tipo, di compagnie che hanno
scommesso sulle “piattaforme digitali”, è il raggiungimento di
una massa critica di utilizzatori: più utilizzatori ne fanno uso, più utile
diventa lo strumento, più gli utenti rimangono “trattenuti” dalle
maglie della rete, vengono come si dice fidelizzati. Il rapido
crollo di Ello si è verificato proprio perché non ha mai
raggiunto una massa critica di utilizzatori tale da indurre gli utenti ad un
esodo da Facebook, la cui egemonia è rappresentata dal fatto che,
anche se angosciati dalla pubblicità e infastiditi dalla rilevazione dei vostri
dati, probabilmente rimane la scelta principe, perché praticamente la
utilizzano tutti; questo è lo scopo di un social network.
La stessa cosa è per Uber: per gli autisti, usare
l’applicazione che li mette in contatto con un gran numero di persone, dunque
di potenziali clienti, ha senso a prescindere dal sessismo dell’ex
amministratore delegato Travis Kalanick o dal modo sgradevole con cui egli
controlla gli stessi autisti; perfino la flessione, causata dagli innumerevoli
racconti di serie aggressioni a sfondo sessuale da parte di alcuni dei suoi
conducenti, non ha avuto effetto alcuno sulla performance dell’applicazione.
Gli effetti della Rete generano impulsi che non soltanto aiutano le piattaforme
a sopravvivere nonostante controversie di questo tipo, ma rende incredibilmente
difficile, per chi ha tentato di affrancarsi da esse, sostituirle.
Come risultato a tutto questo, abbiamo assistito ad un aumento sempre più
forte del monopolio delle piattaforme digitali. Google, Facebook ed Amazon sono
le più importanti in Occidente (la Cina ha il suo personale ecosistema
tecnologico). Google controlla il settore dei motori di
ricerca, Facebook domina i social media, ed Amazon è
leader nel commercio on-line. Queste stesse compagnie, stanno esercitando il
loro potere anche su quelle che non operano su piattaforme digitali, e questa
tensione, questo attrito, probabilmente si inasprirà, nei prossimi decenni.
Guardate lo stato dell’arte del giornalismo, ad esempio: Google e Facebook fanno
soldi a palate con gli introiti record dalla pubblicità attraverso sofisticati
algoritmi; i giornali e le riviste assistono alla fuga degli inserzionisti, a
licenziamenti di massa, alla crisi del costoso giornalismo investigativo, ed al
collasso delle testate più importanti, come ad esempio The Independent.
Un fenomeno simile sta succedendo nel commercio al dettaglio, dove il
dominio di Amazon sta danneggiando pesantemente il settore,
ormai vecchio, dei grandi magazzini e dei centri commerciali.
Il potere di queste compagnie, basato sul nostro inconsapevole consenso ad
affidargli la raccolta dati, aggiunge un ulteriore punto di svolta. I dati
personali stanno velocemente diventando il petrolio del XXI secolo, una
risorsa essenziale per l ‘intera economia globale, ed il
fulcro di un’intensa lotta per il suo controllo. Le piattaforme digitali,
intese come spazi nei quali interagiscono due o più gruppi, forniscono quella
che per il petrolio, in effetti, potrebbe essere una piattaforma di
trivellazione. Ciascuna interazione su una piattaforma digitale, diventa un
punto di rilevamento dati che può essere catturato, per poi confluire nella
creazione di un algoritmo.
In questo senso, le piattaforme digitali sono l’unico modello di business
moderno, per un economia incentrata sulla raccolta dati. Sono sempre più
numerose le compagnie che realizzano qualcosa del genere. Spesso si pensa alle
piattaforme digitali solo come ad un fenomeno del settore hi-tech, ma la verità
è che si stanno diffondendo ovunque nel mondo dell’economia. Uber ne
è l’esempio più evidente; ha trasformato il serio e compassato business dei
taxi in una piattaforma di tendenza. Siemens e General
Electric, due colossi del XX secolo, stanno sforzandosi da tempo per
sviluppare un sistema di produzione basato su una tecnologia cloud (un
contenitore virtuale che può ospitare dati ma anche servizi o programmi
accessibili o utilizzabili liberamente da remoto n.d.r.). Monsanto e John
Deere, due affermate compagnie del settore agricolo, da tempo stanno
cercando di capire come introdurre il “modello piattaforma digitale” nella
produzione di cibo e nel settore della coltivazione agricola.
Questo pone dei problemi. Alla base della piattaforma digitale, il
capitalismo è il motore per estrarre il maggior numero di dati possibile, in
modo da farlo sopravvivere. Un sistema è quello di convincere gli utilizzatori
a rimanere sulla piattaforma più a lungo possibile. Facebook è
specializzato in questo, e nell’utilizzo di tutte le tecniche comportamentali
per favorire l’inserimento di nuovi utenti nel suo servizio: quanti di noi
scorrono distrattamente Facebook, a malapena consapevoli di farlo?
Un altro espediente è sviluppare, espandere, il sistema di estrazione.
Questo ci aiuta a capire perché Google, apparentemente un motore di
ricerca, si stia spostando nel settore del cosiddetto “Internet delle
cose” (Home/Nest, applicazioni per il
controllo a distanza di impianti di videosorveglianza, termostati, luci di casa
ecc, ndt), dell’ auto senza conducente (Waymo), o in
quello della realtà virtuale (visori Daydream/Cardboard )
o in tutti gli altri tipi di servizi personali. Ciascuno di questi settori è
una ulteriore ricca fonte di raccolta dati per la compagnia, un altro punto di
vantaggio sui suoi concorrenti.
Altri hanno semplicemente acquistato compagnie più piccole: Facebook ha
inghiottito Instagram (per un miliardo di dollari), WhatsApp (19
miliardi di dollari), ed Oculus (due miliardi di dollari),
mentre nello stesso tempo investiva in un modello di drone, o in servizi di
pagamento on-line o di e-commerce. Ha sviluppato anche uno strumento che
avverte quando una start-up sta diventando popolare, o se sia possibile una
minaccia informatica. La stessa Google è tra i più prolifici
acquirenti di nuove compagnie, ed in alcuni casi, ha acquistato anche una nuova
impresa a settimana. La fotografia che ne viene fuori è di un impero in
continua espansione volto a risucchiare più dati possibile.
E qui arriviamo alla vera conclusione, l’approdo a cui tutte le
Corporations aspirano: l’intelligenza artificiale ( o, se
vogliamo dirlo in modo meno attraente, la macchina che sa apprendere).
Alcuni si divertono a speculare su mondi futuri gestiti da uno Skynet in
stile Terminator, ma le sfide più realistiche della AI (Intelligenza
Artificiale d’ora in poi, ndt) sono molto più a portata di
mano. Negli ultimi anni, tutte le più grandi compagnie che gestiscono
piattaforme digitali si sono concentrate nell’esplorazione di questo settore.
Ma recentemente il direttore del settore sviluppo strategie commerciali
di Google, ha dichiarato: “Siamo assolutamente i primi nel campo
della AI”.
Tutte le dinamiche delle piattaforme digitali si sono amplificate da quando
una AI ha introdotto l’equazione: appetito insaziabile per la
raccolta dati = “effetto croupier”* in rete. E qui
assistiamo alla formazione di un ciclo virtuoso: la maggior acquisizione dati
porta a migliorare l’apprendimento della macchina, che, a sua volta, può
ottimizzare i servizi e quindi reclutare un numero maggiore di utilizzatori,
che, a loro volta, saranno fonte di ulteriori dati. Al momento Google sta
utilizzando una AI per migliorare la sua pubblicità mirata,
mentre Amazon ne sta usando un’altra per migliorare un modello
di cloud altamente redditizio (con la quale si sta “lanciando”
il nuovo romanzo di Dan Brown, Origin in
uscita il prossimo 3 ottobre, ndt). Nel momento in cui una
compagnia che gestisce una AI prende qualche misura di vantaggio
su di una concorrente, queste dinamiche, presumibilmente, la porteranno a
raggiungere una posizione ancora più favorevole.
Infine, qual è la risposta a tutto questo? Abbiamo solo
iniziato a comprendere la questione, ma, in passato, i comuni monopoli, come i
servizi pubblici o le ferrovie, che hanno goduto di enormi economie di scala ed
hanno servito il bene comune, sono stati i primi candidati ad assumersene la
titolarità pubblica. La soluzione al nostro problema del moderno monopolio
risiede in questa sorta di antichissima truffa, di annoso pasticcio, aggiornato
alla nostra era digitale. Potrebbe voler dire fare un passo indietro sul
controllo di Internet e della nostra infrastruttura digitale, invece di
permettergli di essere indirizzati al solo perseguimento del profitto e del
potere.
Provare ad aggiustare solo qualcosa, introducendo minori regolamentazioni,
mentre le società di AI accumulano potere non funzionerà. Se
non subentriamo ai monopoli delle piattaforme digitali di oggi, rischiamo di
lasciargli proprietà e controllo delle infrastrutture-base della società del
XXI secolo.
* per “effetto croupier” si
intende quando il banco, al tavolo da gioco, vince su tutti i giocatori, nello
specifico più si raccolgono dati, più si diventa potenti in rete.
Da The Guardian, 30 Agosto
2017
Traduzione e cura di Francesco Spataro
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