(prefazione
di Wasim Dahmash al nuovo libro di Marco Cinque)
Rimando il lettore che vuole conoscere le
molteplici attività di Marco Cinque alla controcopertina di questo libro: mi
limito a ricordare che è autore di opere di poesia, pittore, fotografo,
musicista, promotore di iniziative culturali e artistiche, ma anche e
soprattutto impegnato verso gli ‘oppressi’. Si può ben dire perciò, con il
poeta palestinese Muin Bsisu, che se «I ricchi hanno Dio e la Polizia, i poveri
hanno le stelle e i poeti», in Marco Cinque i “poveri” hanno il loro poeta.
Fin dal titolo questo libro allude alla
dicotomia che Bsisu propone: delle due parti in cui è possibile stare, una è
quella scelta da Marco Cinque ed è lo stare Dalla parte del torto. Scelta di
fondo per ognuno di noi è la parte dove stare e con chi. Qui è la voce narrante
che parla solidale con profughi e naufraghi, con tutti quelli che stanno “dalla
parte del torto”, che si trovino emarginati per strada nelle nostre città, o
rientrino tra i caduti sul lavoro di Morti bianche su orizzonti neri, oppure
coinvolti in guerre, nel nucleare (quello civile a Fukushima, e quello di
guerra di Hiroshima e Nagasaki, dagli esiti simili) e i popoli – quello
palestinese, quello del Popolo Rosso, raccontato in Ombre rosse, o greco in
Hellas – e i condannati a morte, quelli di San Quentin, o i rinchiusi a
Guantanamo, che sfilano due per due, come due sono i membri di ognuno dei versi
di Guantanamo Guantanamera, allineati secondo le scansioni di una filastrocca
dell’orrore:
Schiavi globali
in pegno alla gloria
tortura reclama
la mia sicurezza
la storia uno specchio
di nebbia artefatta
nell’odio che arde
vulcanica brezza
di acqua marcita
di terra sfregiata
di sale negli occhi
di arcani rintocchi
sull’ultima sera.
La dichiarazione preliminare del titolo,
«stare o essere dalla parte del torto», nasconde un senso che si capisce solo
se si raddrizza. Non è difficile cogliere l’ironia: è un senso che appartiene
alla comunità, inequivocabile. È perciò una voce collettiva, o per lo meno è
quella di una minoranza, che parla e sceglie di parlare anche per chi, come
ormai è divenuto luogo comune, ‘la voce non ce l’ha’ e si trova perciò ‘dalla
parte del torto’ insieme con chi se ne fa carico con i suoi versi. Ma questi
versi, non hanno forse qualcosa, un qualche residuo, del canto epico? La
risposta è positiva per la ragione di cui dicevo: si tratta di una voce
collettiva aperta ad accogliere contenuti politici, sociali, satirici, di
incitamento alla resistenza e anche alla perdita della speranza ma dove trova
spazio anche la tenerezza d’amore, come accade in Mentre ti sognavo eri già, o
in Me gusta mucho, dove i suoni allitteranti dondolano allungandosi nelle
ripetizioni delle parole.
I versi scorrono sull’argomento delle singole
composizioni, afferrati al tema generale dei titoli in cui sono inseriti,
pertinenti al senso complessivo del libro, memori solo della libertà permessa
dagli usi secondo cui gli antichi ritorni ritmici sono come segnali rinnovati
di volontà di poesia: le pause scandite dagli a capo, le associazioni
ossimoriche, i parallelismi e i suoni allitteranti, il recupero dei suoni delle
parole in posizioni inedite, ma anche del recupero del loro senso, come eco di
saggi aforismi o come quando è sufficiente alterare la scrittura delle lettere
per alludere a un pensiero complesso, come in Ad-Dio.
Nella raccolta di cui è costituita questa
selezione antologica, attraverso le sue poesie, di cui alcune inedite e molte
scritte tra il 2004 e il 2017 – tratte da pubblicazioni precedenti, tutte
corredate da titoli eloquenti: Civiltà cannibali, Percezioni, At The Top Of My
Voice e altri ancora – Marco Cinque si sofferma sulla sofferenza umana, di cui
la Palestina è esempio:
Ma dov’è
dov’è la Palestina
frammenti deflagrati
appesi persino alle tue
alle mie
alle nostre mani
brandelli dispersi
in ogni direzione
che nemmeno le lapidi
più affamate riescono a riconoscere.
In AccaDueO il poeta sviluppa il tema
dell’acqua a partire dalla sua denotazione più stringata, la formula chimica,
estraniata dalle maiuscole. L’acqua scivola in poesia lungo il problema delle
privatizzazioni e rimanda alle lotte per la difesa dei beni comuni oppure si
snoda lungo un percorso in cui è lei tra i protagonisti della violenza, come in
Onda, quando racconta delle vittime dello tsunami nel sud-est asiatico del
2006.
FinePenaMai è un’altra sezione di una raccolta
già pubblicata dove il senso del titolo risiede nel sintagma che, sostantivato,
è diventato parola. Esordisce con Ergastolo, con lo spazio e il tempo che si
dilatano nei pensieri tentacolari di un prevalente ‘io’ che racconta. Ma la
casistica di dolore vissuto dentro le prigioni si sviluppa nei temi dei morti
in carcere, dove i loro nomi sono elencati come gli eroi nelle stele.
L’elenco delle pubblicazioni poetiche, a
riprova di una pratica continua, prosegue con Muri e mari, rEsistiAmo e infine
Parola Nuda. In quest’ultima sezione riprende tra l’altro il luogo comune per
cui gli sconfitti, come i poveri del resto, non scrivono la storia e sono
perciò “dalla parte del torto”. Scrive Marco Cinque in Se i poveri:
Se i poveri scrivessero la storia
[…]
Se i poveri iniziassero davvero a scrivere
la verità si sveglierebbe da un lungo
tormentato sonno e direbbe ai poveri:
non smettete, non smettete più di scrivere.
Ma si trova dalla parte del torto anche chi si
ritrova nella poesia, inedita, senza speranza. In Speranze, quasi un aforisma,
allude forse alle speranze a cui siamo stati indotti dalla politica? Una
esperienza, quella della speranza nella politica, che si vive col ‘noi’, ancora
una volta plurale, perdita di prospettiva che un tempo era collettiva.
La pluralità dell’opera di Marco Cinque fa da
supporto a questa raccolta, sullo sfondo si percepiscono i suoi esercizi sui
ritmi, gli strumenti, i suoni con cui usa accompagnare la lettura della poesia,
non perché musica e poesia si sovrappongano o si fondano, ma perché le diverse
espressioni restino autonome stabilendo un parallelismo: un apporto sonoro
parallelo all’apporto letterario, un complemento che non deve interferire.
Esiste un’idea di fondo comune ai due linguaggi ed è quanto basta a far sì che
il risultato sia omogeneo a sufficienza per comunicare con
l’ascoltatore-lettore.
Nel leggere questi versi, alla fine, si è
condotti a stare dentro il loro ritmo, come fa Marco Cinque qui nel pensare al
nome del palestinese Mahmoud Darwish, in una strofa di Hanno detto:
Hanno detto il tuo nome: sembrava un suono
verbo limpido che non ha mai tradito
che non sapeva, non voleva piegarsi
alla menzogna armata dell’opportunismo.
Ed è come pronunciare il nome di quest’altro
poeta, così tutto di seguito, Marco Cinque.
Questa non è la prima volta che l’autore dona
i diritti delle sue opere a coloro che stanno dalla parte del torto, alle lotte
degli oppressi, degli ultimi. Così anche i diritti di questo libro andranno
all’Associazione Gazzella onlus che a Gaza si prende cura dei bambini feriti. E
non è un caso che chi scrive, oltre a far parte dell’Associazione, sia un
palestinese.
Il libro è già disponibile sul sito di
Pellicanolibri – http://www.associazionepellicano.com – 214 pagine per 12 euri
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