Diciamo che nel migliore dei mondi possibili tutti dovrebbero studiare
lungo l’intera esistenza, e non perché obbligati ma perché studiando si gusta
di più la vita. Disgraziatamente, però, è proprio l’idea che studiare accentua
il piacere di stare al mondo a sparire – in linea di massima – appena si mette
piede in un’aula. Di conseguenza il problema più urgente non è, come si è detto
di recente, quanto tempo bisogna passare nei banchi per obbligo, ma come
migliorare la qualità di quel tempo.
La scuola com'è adesso funziona alla grande solo con chi non ne ha bisogno,
cioè con i felici pochi che per una serie di fortunate circostanze
studierebbero e imparerebbero anche se ci mettessero piede saltuariamente. Gli
altri – tutti quelli che invece ne hanno una grandissima necessità – o ne
ricavano mediocre giovamento o mollano. È una brutale constatazione da cui
bisognerebbe partire per dirsi che sì, questionare su quanti anni bisogna
passare nei banchi è interessante, ma non risolutivo.
Risolutivo è come fare una scuola che non ratifichi disuguaglianze
preesistenti e non si autoincensi perché ha ottenuto ottimi risultati con chi
avrebbe fatto bene comunque. La scommessa è realizzare spazi formativi di
elevata qualità per tutti, pensati contro gli effetti della disuguaglianza e
gestiti in modo che essere presenti sia infinitamente meglio che essere
assenti.
Nessun commento:
Posta un commento