Dicono che Marco Minniti stia
lavorando per diventare il prossimo premier. Il vento contro i migranti sembra
avergliene dato l’occasione e anche i sondaggi lo danno in testa nelle
classifiche di gradimento dei
ministri, subito dopo lo stesso premier Gentiloni. Fatto sta che è
indubbiamente Minniti ad aver spostato l’asse politico del Governo sugli
immigrati. Ha cominciato a imporre un codice per le Ong che soccorrevano i
naufraghi, imponendo polizia armata a bordo e negando il trasbordo da una
nave all’altra. Il risultato è stato quello di allontanare le navi delle
organizzazioni umanitarie dal Mediterraneo e di aver contribuito alla più
grossa campagna di screditamento delle Ong mai subita nella loro storia. Il
resto lo ha fatto Matteo Renzi, decretando il “de profundis” per lo “ius
culturae”, che riconosceva la cittadinanza ai minori figli di immigrati
residenti da almeno cinque anni dopo che avevano frequentato almeno un ciclo di
studi, tra gli applausi di Alfano. Non c’è più tempo per la politica alta e per
l'integrazione, siamo in campagna elettorale.
«Governare i flussi migratori non è un optional, è un tema centrale per la nostra sicurezza. Per la nostra democrazia», ha detto Minniti imperturbabile nel tradizionale incontro ferragostano con i giornalisti. Il punto è come governarli. A manganellate, come chiede l'uomo della strada e la suburra digitale di Facebook? Finora è questa la risposta del Governo. Piace il suo piglio pragmatico, la sua faccia di duro, persino il suo passato di vecchio comunista: «Quando ero nella sede del Pci in Calabria avevo attaccato fuori un cartello: “Qui si lavora e non si fa politica”. Volete farmela fare adesso?». Ha citato il suo maestro di gioventù, Antonio Gramsci: «Il compito di una classe dirigente non è quello di mantenere la propria posizione per il proprio controllo della società ma per il proprio superamento». Legge e ordine, insomma, non è stato anche il motto di Blair?
Il problema è che Minniti sta alzando un po’ troppo l’asticella dell’ordine. A Roma si sono viste scene di guerriglia urbana degne del Venezuela nei confronti di un gruppo di rifugiati politici: uomini donne, vecchi, bambini e persino portatori di handicap che sono scappati dalla guerra. Tutti con i documenti in regola, titolari dello status di rifugiato. Occupavano da 4 anni un palazzo di via Curtatone ed erano stati sgomberati. Poliziotti in assetto antisommossa hanno usato gli idranti e si sono messi a manganellare per liberare la piazza da un centinaio di loro, tra cui numerose donne in lacrime, alcune delle quali inginocchiate con le braccia alzate. Uno spettacolo indegno per una democrazia, che ha suscitato le proteste di Amnesty International e dell’Unicef per come sono stati portati via i bambini sui pullman della polizia. Nemmeno il governo dei respingimenti di Berlusconi, che pure si era ritrovato una condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, si era mai spinto fino a questo punto.
Non sappiamo se andrà avanti così fino alla fine della campagna elettorale. Non sappiamo nemmeno se la nuova politica contro gli immigrati sarà premiante in termini di consenso elettorale per il Partito democratico (a quel punto tanto vale andare all’originale, Lega Nord e grillini in primis). Sappiamo però che questo pomeriggio si è scritta una pagina nera per la democrazia. Nera o rossa, che poi è lo stesso: comunismo e fascismo sono due totalitarismi contigui, in fondo. Questo Gramsci lo sapeva benissimo.
da qui
«Governare i flussi migratori non è un optional, è un tema centrale per la nostra sicurezza. Per la nostra democrazia», ha detto Minniti imperturbabile nel tradizionale incontro ferragostano con i giornalisti. Il punto è come governarli. A manganellate, come chiede l'uomo della strada e la suburra digitale di Facebook? Finora è questa la risposta del Governo. Piace il suo piglio pragmatico, la sua faccia di duro, persino il suo passato di vecchio comunista: «Quando ero nella sede del Pci in Calabria avevo attaccato fuori un cartello: “Qui si lavora e non si fa politica”. Volete farmela fare adesso?». Ha citato il suo maestro di gioventù, Antonio Gramsci: «Il compito di una classe dirigente non è quello di mantenere la propria posizione per il proprio controllo della società ma per il proprio superamento». Legge e ordine, insomma, non è stato anche il motto di Blair?
Il problema è che Minniti sta alzando un po’ troppo l’asticella dell’ordine. A Roma si sono viste scene di guerriglia urbana degne del Venezuela nei confronti di un gruppo di rifugiati politici: uomini donne, vecchi, bambini e persino portatori di handicap che sono scappati dalla guerra. Tutti con i documenti in regola, titolari dello status di rifugiato. Occupavano da 4 anni un palazzo di via Curtatone ed erano stati sgomberati. Poliziotti in assetto antisommossa hanno usato gli idranti e si sono messi a manganellare per liberare la piazza da un centinaio di loro, tra cui numerose donne in lacrime, alcune delle quali inginocchiate con le braccia alzate. Uno spettacolo indegno per una democrazia, che ha suscitato le proteste di Amnesty International e dell’Unicef per come sono stati portati via i bambini sui pullman della polizia. Nemmeno il governo dei respingimenti di Berlusconi, che pure si era ritrovato una condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, si era mai spinto fino a questo punto.
Non sappiamo se andrà avanti così fino alla fine della campagna elettorale. Non sappiamo nemmeno se la nuova politica contro gli immigrati sarà premiante in termini di consenso elettorale per il Partito democratico (a quel punto tanto vale andare all’originale, Lega Nord e grillini in primis). Sappiamo però che questo pomeriggio si è scritta una pagina nera per la democrazia. Nera o rossa, che poi è lo stesso: comunismo e fascismo sono due totalitarismi contigui, in fondo. Questo Gramsci lo sapeva benissimo.
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