In
un’intervista pubblicata sul numero 37 di Left, Enrico Calamai sviluppa
un’interessante e originale analogia fra il
trattamento che Italia ed Europa stanno riservando ai migranti dopo gli accordi
con la Libia (e quello precedente con la Turchia) e la strategia della “desaparicion”
praticata dal regime militare argentino negli anni Settanta. A quel
tempo Calamai era un diplomatico in servizio nella nostra ambasciata a Buenos
Aires e fu protagonista di una straordinaria azione di resistenza civile che
permise a centinaia di italo-argentini di ottenere documenti validi per
l’espatrio, nonostante la tiepidezza politica – chiamiamola così – dei nostri
governi dell’epoca (Calamai ha raccontato la storia nel libro Niente asilo politico).
Calamai,
intervistato da Donatella Coccoli, ricorda che al tempo del regime militare la
sparizione degli oppositori era un metodo repressivo molto efficace, perché non
comportava responsabilità evidenti delle forze governative, visto che le sparizioni erano attuate e gestite da invisibili gruppi
paramilitari. Solo la straordinaria e intelligente protesta della
“madres” di Plaza de Mayo – con le marce settimanali – avrebbe messo in
difficoltà il regime e portato la vicenda all’attenzione dell’opinione pubblica
internazionale.
Che c’entra
tutto questo con la vicenda attuale dei migranti? C’entra, dice Calamai,
perché oggi i governi europei hanno delegato ad altri il compito di far
sparire mediaticamente i migranti, che hanno smesso di affacciarsi
sulla costa di Lampedusa (e quindi sugli schermi delle nostre tv all’ora del
telegiornale) grazie all’intervento, a seconda dei casi, di eserciti statali,
milizie private, polizie, guardie costiere di paesi terzi.
In Libia,
come ormai è chiaro, stiamo pagando fior di milioni di euro a capi
villaggio, signori e signorotti della guerra, trafficanti di esseri umani
per trattenere gli aspiranti all’emigrazione in centri di detenzione dove si
pretenderebbe di chiudere persone innocenti ma “nel rispetto dei diritti
umani”, secondo la fasulla retorica corrente (e qui è consigliabile
vedere il film L’ordine delle cose di
Andrea Segre per capire di che cosa stiamo realmente parlando).
Siamo alla delocalizzazione della tortura. Questo
lavoro sporco è lontano dai nostri occhi ma nessuno può fingere di non sapere.
“Oggi – dice
Calamai – i governi creano le condizioni politiche ed economiche legali,
commissive e omissive” affinché si arrivi all’eliminazione dei migranti dalla
scena. Precisa Calamai: “Mi riferisco ai paesi che fanno parte della Nato e
dell’Unione europea. Sono questi i protagonisti che hanno poi come manovalanza
ed esecutori i governi poveri della sponda africana. Ma i protagonisti
‘intellettuali’, ripeto, di questa linea politica di morte, di massacro cercato
e voluto, sono i governi europei e membri della Nato. Stiamo vivendo un periodo
paragonabile a quello di fine anni Trenta, quando non esisteva ancora il
termine genocidio, per cui si poteva fare qualcosa che non era un delitto, un
reato internazionale”.
La chiusura delle porte ai migranti con la mano libera
lasciata al governo turco, ai governi e alle milizie della Libia, per non parlare degli accordi
stretti in altre zone calde nei luoghi di partenza, implicano necessariamente abusi, violenze e morte per migliaia e
migliaia di persone, ma tutto avviene lontano da occhi indiscreti:
dal Mediterraneo sono state allontanate anche le navi delle Ong e può succedere
che un barcone vaghi alla deriva per sette giorni senza che nessuno faccia
niente…
Ma tutti
sappiamo. Come nella Germania degli anni Trenta l’istituzione di campi di
detenzione per oppositori e indesiderati non fu un mistero, così tutti noi –
governanti e cittadini – sappiamo bene che è stata presa
la decisione di negare opportunità, speranze, diritti e spesso anche la vita a
persone che altro non chiedono se non di avere un’opportunità di vita in Europa
e nel Nord del mondo, lontano dalla miseria, dalla guerra, dalla desertificazione.
Il
protagonista del film di Andrea Segre, quando incontra una ragazza in un centro
di detenzione libico e ne coglie per intero l’umana disperazione, sembra
concedersi la possibilità di seguire la via che la morale gli detta, ma poi
decide di non farne niente. Rinunzia, con una semplice telefonata, a salvare la
ragazza, e va a sedersi nella sua confortevole casa per una serena cena in
famiglia, come se nulla fosse.
Quella scena
è la metafora dell’Italia di oggi.
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