La scuola – questo spazio che mette insieme ogni anno studenti diventati
insegnanti, figli diventati genitori, figli che forse diventeranno genitori,
studenti che potrebbero diventare insegnanti – è in pausa estiva. Ma poiché,
che lo vogliamo o no, riaprirà, ecco un piccolo suggerimento senza pretese.
Il miglior modo per fare i genitori è ricordarsi di essere stati figli; il
miglior modo per fare gli insegnanti è ricordarsi di quando si è stati
studenti. È un’ovvietà ma va sottolineata, perché in genere si è così presi
dall’ansia di recitare la parte dell’ottimo genitore, dell’ottimo insegnante,
che quasi ci vergogniamo di quando siamo stati in quell’altro ruolo, e anzi
facciamo come se la nostra esistenza fosse cominciata esattamente nel momento
in cui ci siamo trovati su qualche podio metaforico o cattedra reale,
autorizzati dall’età adulta. Uno sguardo retrospettivo sulla nostra infanzia e
sulla nostra adolescenza fuori e dentro le aule può invece giovarci.
Naturalmente non si tratta di disegnare un quadro idilliaco e cercare di
riprodurlo facendo il castigamatti contro tutto ciò che se ne discosta. Né si
tratta di evocare il proprio inferno biografico per cambiargli segno e
rifondare famiglia e scuola. Si tratta piuttosto di ricordarci del male che ci
è stato fatto quando eravamo minori e sforzarci di non farne ai nostri figli o
ai nostri studenti.
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