Davide Miccione, professore universitario, fa un'analisi dell'ignorante ipermoderno.
a partire dalla sua esperienza con gli studenti, ascoltando qualche castroneria, generalizza la figura dell'ignorante ipermoderno.
chi non l'ha mai incontrato?
non sono solo i giovani, ma anche gli adulti, che ormai senza vergogna si vantano di non sapere (povero Socrate, lui sapeva di non sapere).
i nostri rappresentanti politici rispecchiano gli elettori, ogni volta che parlano è un dramma, sia per la lingua italiana, sia per i contenuti.
Miccione cerca di capire quando questa ignoranza è stata sdoganata, ormai è strabordante, la tv la mostra ogni momento, è la regina della tv.
anche la scuola fa la sua parte, nella diffusione dell'ignoranza, e i danni si vedono e si vedranno una generazione dopo; un tempo bisognava sapere e avere una cultura generale, utile per ogni sbocco lavorativo, adesso importa saper fare, e l'addestramento al lavoro, ogni studente dovrà lavorare 43 anni almeno per uno straccio di pensione, togliamolo dai banchi un po' di mesi per assaggiare l'impresa, e in più lasciamolo un anno in meno a scuola, che evidentemente serve a poco.
l'ignorante ipermoderno si forma da giovane, noi siamo avanti nella formazione.
L’estraneità ai libri, vissuta un tempo come umiliazione
sociale, oltre che come discriminazione culturale, si trasforma in un vanto.
“Chi non ha letto un libro negli ultimi anni?” è una domanda che una volta
avrebbe messo a disagio. Oggi fanno a gara per alzare la mano. Spesso le loro
facce sono un avallo, autorevole quanto convincente, delle loro scelte. Se
devono spiegarsi, possono arrivare fino a tre errori in una sola frase,
farfugliata con una ostinazione degna di miglior causa. Ma non è un problema di
istruzione. Ho sentito neolaureati giulivi, in una indagine settoriale,
dichiarare con fierezza di non leggere mai nessun classico, di nessuna epoca.
(Giuseppe Pontiggia) (p.22)
Vi è anche l’esorbitante tendenza a
esportare, senza alcuna riflessività epistemologica, idee e luoghi comuni di
ordine tecnico, economico, manageriale, di psicologia applicata in ambiti che
rispondono (rispondevano, risponderebbero) ad altri criteri e altri valori. Non
è solo italiana, ad esempio, l’idea che le abilità tecniche e le competenze
immediatamente spendibili siano ormai
immensamente più importanti ella cultura generale. Con ciò, oltre a non
porsi la domanda su quali enormi costi per la nostra civiltà possa avere la
scomparsa di un’idea di formazione culturale sostituita dalla ricerca di mere
competenze, si postula tragicamente e inconsapevolmente (giacché la
consapevolezza appartiene a quel mondo ormai obsoleto)come unica valida un’idea
di società in quanto macchina produttiva e di individui come mezzi, il cui
senso è dato dall'essere idonei a portarla avanti. (p.62)
In senso estensivo gli intellettuali sono coloro
che mantengono in vita la civiltà umana occidentale come siamo abituati a
pensarla da secoli, cioè un luogo dove si crea e si fruisce arte visiva e
musicale, letteratura…questa società di “intellettuali” nel senso esteso che
stiamo adottando, dovrebbe ormai coincidere con l’uomo contemporaneo
occidentale. Al contrario essa appare in Italia assai ristretta. (p.115)
QUI il primo capitolo del libro
…L’autore indica le cause
di quest’odierna “catastrofe antropologica” nelle discutibili scelte politiche
su scuola e università fatte in Italia negli ultimi vent’anni, evidenziando il
dato scandaloso legato alla persistenza di elevati indici di dispersione
scolastica: nelle regioni meridionali, ancora nel 2009, due ragazzi su dieci
abbandonano precocemente gli studi. E poi, anche se scolarizzati, più del 70%
degli italiani non comprende un semplice testo. Inoltre, d’accordo con Raffaele
Simone, Miccione sottolinea il “radicale mutamento delle modalità di
attingimento cognitivo (visione vs.lettura, multitasking vs.concentrazione)”,
come ulteriore significativa concausa dell’ingrossamento del “sottoproletariato
cognitivo”; nella consapevolezza, comunque, che non sono solo italiane “la
crisi delle istituzioni formative e la renitenza delle masse alla cultura (…),
il consumo ossessivo di televisione (…), l’invasione delle tecnologie
informatiche e il loro ossessivo utilizzo simultaneo a quasi ogni altra azione
della vita”, “l’idea che abilità tecniche e le competenze spendibili siano
ormai immensamente più importanti della cultura generale (…) e l’idea di
società in quanto macchina produttiva e di individui come mezzi”.
Il testo ci riconduce quindi alle cause
politiche del fenomeno: il trionfo dell’ignoranza è stato senz’altro favorito
dalla “lumpendestra” (la destra stracciona) “populista, emotivista,
‘ipnomediatica”, oltre che dalla visione imperante di un“consumerismo
ipermoderno che pone il consumatore e il consumo e non il cittadino o il
lavoratore al centro della realtà.”
E la sinistra? Dimenticata forse
l’incompatibilità tra ignoranza e vita democratica di uno stato, tace o
collude: “l’idea di un mondo dove (…) governanti e governati possano
scambiarsi di posto, un mondo dove si prova a uscire e a far uscire ogni
cittadino dalla minorità, è un sogno che nessuno è più interessato a sognare”.
Leggere Lumpen Italia, testo
davvero illuminante e ‘profetico’, risulta allora indispensabile per chi voglia
interrogarsi sui perché dell’ignoranza dilagante e fare qualcosa per un’urgente
e necessaria inversione di tendenza, prendendo spunto anche dalle cinque
proposte elencate da Miccione per “iniziare a desottoproletarizzare l’Italia”
. Perché, per dirlo con le splendide parole di Pasolini citate nel testo
a pag.18: “Chi protesta con tutta la sua forza (…) contro il regresso e la
degradazione, vuol dire che ama gli uomini in carne e ossa.”
Ci sono libri che un cittadino riflessivo
non dovrebbe ignorare. Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato
cognitivo (Ipoc, Milano 2015) di Davide Miccione è uno di questi. Come
spesso accade per i testi ‘necessari’, il bibliotecario avrebbe difficoltà a
collocarlo in un settore disciplinare: esso infatti si occupa di tematiche
solitamente affrontate da varie angolazioni (dalla sociologia alla pedagogia,
dalla politica alla psicologia sociale), anche se si tratta essenzialmente di
un’opera filosofica. Non tanto perché l’autore è uno dei più originali (e meno
valorizzati) pensatori del panorama italiano contemporaneo, quanto per la mossa
che ha dato vita al libro: puntare il dito su un dato talmente evidente da non
essere più considerato nella sua estensione né nella sua gravità. Il dato è la
sottoproletarizzazione cognitiva della popolazione italiana. Trasversalmente
rispetto agli strati socio-economici, si registra un impoverimento non solo
delle nozioni ritenute un tempo patrimonio comune dei cittadini adulti
istruiti, ma - ciò che più preoccupa – della curiosità di capire come
funziona il mondo. In sovrappiù, cresce la fierezza della propria ignoranza e
della propria nolontà di conoscere. La povertà intellettuale è arrivata al
punto non solo di non riconoscersi come tale, ma addirittura di interpretarsi
come ricchezza.
In una prima parte del volume Miccione
traccia una sorta di “fenomenologia dell’ignorante ipermoderno” attraverso sia
l’osservazione personale sia gli studi di specialisti (come Graziella Priulla,
autrice de L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del
Paese, o Tullio De Mauro, autore de La cultura degli italiani ).
Gli elementi per ricostruire l’identikit di questo nuovo Lumpen sono
ricercati nelle aule universitarie e scolastiche prima, fuori dalle istituzioni
deputate alla formazione delle generazioni più giovani dopo. Nonostante sia
impossibile in questa ricostruzione non sorridere davanti a certe perle (come
l’aspirante scrittrice che sogna un futuro costernato di
successi letterari), la tonalità emotiva è di seria mestizia: che prospettive
di progresso effettivo si aprono a una popolazione in cui l’omologazione
culturale è avvenuta non mediante il riscatto degli sfavoriti, bensì il degrado
dei privilegiati?
Il quadro dello sfascio del sistema
formativo sarebbe abbastanza preoccupante da solo, ma uno sguardo ai risvolti
politici “nelle piazze” lo rende – se possibile – ancor più tragico…
Un libro profetico, quello di oltre trent’anni fa di Marcello d’Orta, Io
speriamo che me la cavo. Come tutti i grandi libri esso non costituiva
solo la diagnosi, la presa d’atto di una catastrofe avvenuta, ma indicava una
strada, il futuro sviluppo cui inevitabilmente si sarebbe andato incontro
seguendo l’andazzo delle politiche educative sinora attuate. Detto
fatto: l’ignoranza che
lì era il frutto del proletariato economico e del sottosviluppo civile, il
carattere di settori marginali della società, che non riuscivano a liberarsi
attraverso l’acculturazione dalla propria condizione di minorità ma che
avrebbero voluto farlo se ne avessero avuto le possibilità, è ora diventata una
condizione diffusa, che si è trasmessa a tutti i gangli della società, alti a
bassi, medioborghesi e proletari, sino a raggiungere le “cime abissali” della
politica. Ma ora si è affermata una nuova figura di indigenza
cognitiva, quella propria dello “ignorante ipermoderno”, di chi antisocraticamente “non sa
mai di non sapere”, non si acccorge neanche di essere ignorante
e scambia il proprio digiuno culturale per la massima realizzazione del
sapere…
…L’ignorante ipermoderno nelle sue modalità di interazione
sociale e politica con l’ambiente che lo circonda, cioè in quanto elettore e
cittadino, assume la funzione di un nuovo tipo di sottoproletariato, impossibile da redimere. Incapace
di perimetrare il reale attraverso una sua conoscenza adeguata, questo nuovo sottoproletario
cognitivo è ormai per le classi dirigenti massa di
manovra, manipolabile con i mezzi di comunicazione maggiormente diffusi (ancora
oggi il 75% della popolazione italiana si informa solo attraverso la
televisione). Ma esso non è più collocabile solo alla periferia della società,
tra i diseredati – come il sottoproletariato marxiano – ma piuttosto si incarna in molteplici
epifanie sociali, perché sta ad indicare quella parte
della società nella quale impera l’assoluto rifiuto di qualsiasi
perfezionamento personale, la celebrazione della propria nativa e
inestinguibile ignoranza, l’esaltazione del sé come puro consumatore di
beni. Ormai
questi lumpenproletari li troviamo ovunque: tra i marginali
delle periferie, nella media borghesia, nelle classi professionali, tra i
politici (e si potrebbero fare nomi celebri), tutti accomunati e
ammaliati dagli stessi armamentari visibili: «rapporto
faticoso con le norme di ogni tipo, titoli di studio non meglio specificati o
raccattati nei sottoboschi mercenari dell’istruzione, passione per i segni
visibili del lusso (suv, donne vistose sottobraccio eccetera), disinteresse a
tutto ciò che non sia solo materiale (diritto, religione, letteratura, arte)»…
Un saggio imperdibile, che ogni italiano pensante e desideroso di cittadinanza attiva dovrebbe leggere e meditare. L'ho recensito qui:
RispondiEliminahttp://maridasolcare.blogspot.it/2016/02/lumpen-italia-il-trionfo-per.html
è da te che ne avevo letto la prima volta...
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