Il
titolo del libro è Tortura in Israele, senza punti interrogativi.
È
stato scritto da due organizzazioni (B’Tselem e HaMoked) per la
difesa dei diritti umani, che in quella terra dimenticata da Dio significa difesa dei diritti umani dei palestinesi.
Editore
Zambon, costa 12 euro, 115 pagine di testimonianze, più di cento prigionieri
palestinesi hanno rilasciato dichiarazioni giurate a un avvocato di HaMoked su
tutto quello che hanno subito in carcere.
È
doloroso, istruttivo, necessario leggere le testimonianze dei prigionieri e
delle torture da loro subite, ad opera dell’esercito più morale del mondo, come
si autodefinisce.
Qualcuno
dirà che le testimonianze sono pilotate, che quei palestinesi si sono messi
d’accordo. Lo dicevano anche per le vittime di Bolzaneto e della scuola Diaz,
lo dicevano per chi lasciava i campi di concentramento, per chi raccontava di
Garage Olimpo.
Alla
fine del libro c’è una lettera che arriva dal ministero della (in)giustizia
israeliano, da leggere per capire la banalità del male, piena di però, di ma,
si sentono offesi perché B’Tselem e HaMoked non di sono messi d’accordo con
loro prima della pubblicazione del libro.
Cesare
Beccaria si rivolterebbe nella tomba se sapesse che dopo di 250 anni dalla
pubblicazione del suo libro “Dei delitti e delle pene” in un paese “civile”,
nel terzo millennio, si pratica tranquillamente e scientificamente la tortura,
e che quasi tutti gli altri paesi sostengono, vezzeggiano, giustificano,
coccolano quel paese che si chiama Israele, un faro di democrazia, dicono.
Cesare
Beccaria direbbe che democrazia e tortura non possono coesistere, ma solo
perché non capirebbe la raffinatezza delle strategie politiche, che si ispirano
alla neolingua svelata in “1984”. Ma lui era uomo dell’Illuminismo, non
conosceva gli abissi delle magnifiche sorti e progressive.
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