Parlare
di annullamento del debito oggi significa affrontare quello che, con l’avvento
della dottrina liberista, è diventato un vero e proprio tabù. Secondo la
narrazione dominante, infatti, un mancato pagamento è qualcosa
di eccezionale che bisogna evitare ad ogni costo. Peccato che la
storia si incarichi di dimostrare l’esatto contrario. La prima proclamazione di
annullamento del debito di cui si ha riscontro risale all’anno 2400 a.C. nella
città di Lagash (Sumer), mentre il regno di Hammurabi, re di Babilonia
(1792-1750) fu contrassegnato da quattro annullamenti generali dei debiti dei
cittadini con i poteri pubblici. In totale, gli storici hanno identificato con
precisione una trentina di annullamenti generali del debito in Mesopotamia tra
il 2400 e il 1400 a. C..
Venendo a
tempi più recenti, nel periodo
1800-1945 si contano 127 cessazioni del pagamento, mentre negli ultimi sessanta
anni (1946-2008) si sono avuti non meno di 169 sospensioni del pagamento di
debiti sovrani, della durata media di tre anni. Per
fare solo alcuni esempi, dalla propria indipendenza fino al 2006 l’Argentina ha
dichiarato 7 cessazioni del pagamento, il Brasile nove ed il Messico otto; in
Europa, la Spagna ha dichiarato una cessazione del pagamento 13 volte, mentre
la Germania e la Francia 8 volte ciascuno.
Ma che significa annullare un debito? Significa dare
il via ad un processo di indagine (audit) indipendente sul debito pubblico per
verificare nel dettaglio come, da chi e con chi è stato contratto, per quali
obiettivi ed interessi e con quali conseguenze per le condizioni di vita degli
abitanti di un territorio.
Significa,
in altri termini, dire al ministro dell’Economia Padoan che la nuova stagione delle privatizzazioni che intende aprire per
abbattere il debito – una superholding in cui far confluire tutte
le partecipazioni dello Stato sotto il cappello di Cassa Depositi e Prestiti,
per poi privatizzare il 50 per cento di quest’ultima- è una trappola a cui non vogliamo più sottostare, perché ciò che va rimessa in discussione è la
legittimità stessa del debito.
La sola idea di un percorso di questo tipo fa inorridire
le grandi lobby dei poteri finanziari, le quali – nel più classico stile degli usurai –
sono meno interessate all’effettivo saldo di quanto
“dovuto”, che non al mantenimento della catena che lo stesso pone alle
rivendicazioni di reddito, beni e servizi delle popolazioni. Ma è un passaggio
obbligato se si vuole uscire definitivamente dal cappio delle politiche
liberiste.
D’altronde, è di nuovo la storia a
dimostrare come, quando è stato ritenuto necessario per superiori interessi
geopolitici, il debito sia stato cancellato con un semplice tratto di penna
dagli stessi creditori: solo per fare un paio di esempi, è stato
così per la Germania nel 1953, quando la necessità di una Germania Ovest
economicamente forte di fronte all’Urss e ai suoi alleati ha permesso la quasi totale cancellazione degli ingenti debiti post seconda
guerra mondiale; ed è stato così per l’Iraq nel 2004, quando le nuove autorità,
designate dalle forze di occupazione, beneficiarono di una riduzione del debito
bilaterale (dovuto ad altri Stati) nell’ordine dell’80 per cento.
Ma è d’altronde lo stesso mercato a prevedere il
mancato pagamento fra i rischi assunti dai creditori, i cui tassi di interesse calcolano il
rischio del non rimborso, altrimenti
non si capirebbe l’esistenza dello “spread” fra un paese e l’altro. Perché
delle due l’una: o si dichiara impossibile il mancato pagamento e allora il
denaro dovrebbe essere prestato a tutti allo stesso tasso d’interesse o si
presta il denaro a tassi differenti perché si prevede la
possibilità del non pagamento, che dunque può avvenire, come
affermato nel 1999 dal Consiglio dei diritti dell’uomo, ogniqualvolta.
“l’esercizio dei diritti fondamentali della popolazione dei paesi debitori
all’alimentazione, all’abitazione, al lavoro, all’educazione, ai servizi
sanitari e a un ambiente salubre non possono essere subordinati
all’applicazione di politiche di aggiustamento strutturale e di riforme
economiche legate al debito”.
Si tratta in
buona sostanza di dire a chiare lettere che
le nostre vite vengono prima del debito, i nostri diritti prima dei
profitti e il “comune” prima della proprietà. È quello
che si appresta a mettere in campo Cadtm Italia (Comitato per l’abolizione dei
debiti illegittimi) nei prossimi mesi.
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