Per quella che è diventata, secondo l’Onu,
«la più grande crisi umanitaria al mondo» c’è l’urgenza di arrivare alla pace e
riportare condizioni di vita accettabili ma anche di conoscere la verità
Con
un appello pubblicato martedì 29 agosto, 62 realtà che si occupano di difesa
dei diritti umani in tutto il mondo chiedono che le Nazioni unite aprano
un’inchiesta sugli abusi della guerra in Yemen, affermando che si sia già perso
troppo tempo di fronte a un conflitto per procura che in due anni e mezzo ha
creato una crisi umanitaria ormai fuori controllo.
Come
siamo arrivati qui
Il
percorso dello Yemen verso il disastro attuale ha vissuto un’accelerazione nel
2014, quando la tensione politica che già si respirava dalla rivolta del 2011 è
tornata a crescere. Tre anni fa, i ribelli Houthi, politicamente vicini
all’Iran e fedeli all’ex presidente Saleh, avevano occupato parte della
capitale yemenita, Sana’a, inclusi gli edifici governativi, annunciando di
voler cancellare al-Qaeda dallo Yemen. Un obiettivo quasi impossibile, in un
Paese che rappresenta la principale base mondiale per il movimento jihadista.
Questa occupazione aveva però alimentato la preoccupazione dell’Arabia Saudita,
che teme da sempre la nascita di un forte centro di potere sciita nella
penisola arabica. Quando, il 20 gennaio 2015, gli Houthi hanno occupato anche
il palazzo presidenziale, il presidente Hadi è riuscito a fuggire e a
rifugiarsi ad Aden, la seconda città del Paese e sua roccaforte politica,
dichiarata in quel momento capitale transitoria.
Il
conflitto ha poi vissuto la sua decisiva escalation nel marzo dello stesso
anno, quando una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, composta da 150.000
uomini delle forze di terra e da oltre 100 aerei militari, è intervenuta in
modo diretto e massiccio avviando una campagna militare in tutto il Paese, la
più grande mai portata avanti da Riyadh. Questo intervento, oggi ancora in
corso, ha reso più profonda una crisi che da allora ha portato milioni di persone
sull’orlo della carestia e centinaia di migliaia ad ammalarsi di colera.
Un
Paese in caduta libera
La
guerra ha peggiorato le già pessime condizioni sanitarie dello Yemen
trasformando il Paese in un ambiente ideale per la diffusione di malattie. A
rendere tutto ancora più precario, lo scorso maggio, durante la stagione delle
piogge, il sistema fognario yemenita è stato distrutto: i bombardamenti e la
cronica mancanza di manutenzione lo avevano indebolito a tal punto che non è
stato in grado di reggere all’aumento nell’afflusso di acqua e nessuno, al
momento, è in grado di ripararlo. Nel paese non ci sono più tecnici che possano
fare manutenzione, né fondi necessari a investire per ampliarlo.
Del
resto, niente nel Paese funziona come in un vero Stato. Lo Yemen di oggi è
infatti una nazione divisa in due lungo confini molto simili a quelli
precedenti all’unificazione del 1990: i sauditi e i loro alleati controllano il
sud e l’est del Paese, mentre gli Houthi rimangono saldi nella capitale San’a’
e sulle montagne nel nord. A complicare ulteriormente il quadro va poi aggiunta
al-Qaeda, che ha sfruttato il caos del conflitto per rifiorire e prendere il
controllo in un’ampia fascia che attraversa da nord a sud la parte centrale del
territorio.
Secondo
Human Rights Watch, che ha firmato l’appello insieme alle altre organizzazione,
durante questi 30 mesi di guerra sono state compiute «numerose violazioni del
diritto umanitario internazionale e di leggi da parte di tutte le parti in
causa. Inoltre, queste violazioni sono continuate impunemente». Nello
specifico, la coalizione a guida saudita avrebbe condotto «una grande quantità
di attacchi aerei illegittimi», alcuni dei quali potrebbero essere considerati
crimini di guerra, visto che hanno ucciso migliaia di civili e colpito scuole,
ospedali, mercati e case. Allo stesso modo, i ribelli Houthi e i loro alleati
avrebbero «utilizzato in modo indiscriminato le armi contro i civili, uccidendo
e mutilando grandi quantità di persone». Anche per loro l’accusa è quella di
aver commesso crimini di guerra.
I
fallimenti della politica
La
prima richiesta di una commissione indipendente d’inchiesta su questi abusi
risale addirittura al 2015, nei primi mesi del conflitto, ma già allora l’Alto
Commissario Onu per i diritti umani non aveva ottenuto nessun risultato. Da
allora, sono almeno 9.000 le persone uccise e circa 50.000 i feriti. Come
detto, a complicare il tutto è l’epidemia di colera che da mesi sta colpendo il
Paese. Oltre ai numeri già citati, sono quasi 2.000 gli yemeniti morti da
aprile a causa della malattia e si pensa che siano 600.000 quelle che verranno
contagiate entro la fine dell’anno. Anche se secondo una dichiarazione di
Unicef di martedì 29 agosto l’epidemia di colera sta rallentando grazie agli
sforzi delle migliaia di volontari locali, la situazione è molto lontana
dall’essere sotto controllo.
Le
Nazioni Unite ritengono che oggi quella yemenita sia «la più grande crisi
umanitaria al mondo». Eppure, sembra che questo non sia abbastanza per spingere
le stesse Nazioni unite, in questo caso nella figura del Consiglio di
Sicurezza, a prendere in mano la situazione e porre fine al disastro. È
impossibile pensare che gli alleati dell’Arabia Saudita non siano consapevoli
di questa situazione umanitaria, eppure l’Occidente sta chiudendo un occhio, se
non entrambi, di fronte a quelli che i sauditi chiamano “errori”, ovvero i
bombardamenti su strutture sanitarie e sui civili. Uno degli ultimi esempi è
quello della scorsa settimana, quando è stato colpito un piccolo hotel a nord
della capitale Sana’a. Le agenzie stampa, che si basano su testimonianze che
difficilmente riescono a essere imparziali, parlano di un bilancio compreso tra
le 35 e le 60 persone uccise, ma non è chiaro se si tratti di ribelli Houthi,
come dichiarato da Riyadh, oppure di civili. Inoltre, si teme che il bilancio
non sia definitivo.
L’obiettivo
dichiarato dei sauditi è riportare al potere in tutto il territorio dello Yemen
il governo internazionalmente riconosciuto guidato dal presidente Hadi, ma la
sensazione è che il vero scopo sia quello di cancellare definitivamente i
ribelli Houthi, considerati una minaccia soprattutto per la loro vicinanza
all’Iran, che si ritiene stia cercando di accrescere la propria influenza nella
penisola. La crisi diplomatica con il Qatar, che pure è alleato dei sauditi
nella guerra in Yemen, sembra proprio dimostrare che il livello dello scontro
vada cercato a livello regionale.
Nonostante
le promesse di sconfiggere gli Houthi nel giro di poche settimane, Riyadh per ora
non sta neppure lontanamente mantenendo fede ai suoi obiettivi, al punto che
dopo oltre due anni di attacchi aerei sembra che l’unico risultato ottenuto sia
quello di alimentare il desiderio di vendetta nelle popolazioni colpite dagli
attacchi.
Tra
i protagonisti di questo conflitto non vanno dimenticati neppure Stati Uniti e
Regno Unito, che stanno fornendo sin dall’inizio supporto logistico e di
informazioni alla coalizione saudita. Proprio questa partecipazione e
collaborazione viene citata nell’appello per l’avvio di un’inchiesta
indipendente, nel quale si chiede anche che i due Paesi, membri permanenti del
Consiglio di sicurezza Onu, si tirino indietro da un conflitto che continua a
crescere in intensità. Lo Yemen, infatti, è stato colpito da più attacchi aerei
nella prima metà del 2017 che in tutto il 2016, e questo significa solo una
cosa: più vittime civili e più sfollati costretti a lasciare le proprie case.
Il
numero di attacchi aerei nei primi sei mesi del 2017, secondo le Nazioni Unite,
è di 5.676, un netto aumento rispetto ai 3.936 totali del 2016. Secondo Human
Rights Watch, «Le vittime degli abusi in Yemen non si possono più permettere di
aspettare ancora»…
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