Chissà
cosa aveva spinto Santiago Maldonado ad andare nel campo Mapuche di El Bolsòn,
nell’enorme tenuta di proprietà della famiglia Benetton. Cosa avrà pensato
tentando di sfuggire alle guardie che il 1 agosto hanno attaccato il campo per
interrompere un blocco stradale sulla Ruta 40 organizzato dai Mapuche per
chiedere la restituzione delle terre che loro spettano?
Da
allora di lui non si sa nulla. La sua storia evoca fantasmi del passato
prossimo e remoto, memoria tenuta viva dalle Madres e dalle Abuelas de Plaza de
Mayo contro le quali il presidente Macri da tempo è impegnato in un braccio di
ferro. Parlare di desapariciòn in Argentina riapre ferite mai sanate, non a
caso la ministra della sicurezza Patricia Bullrich ha tentato di smentire che
Santiago possa essere considerato un desaparecido.
Le
ipotesi sulla sua scomparsa si
rincorrono. Intanto si moltiplicano nel paese le manifestazioni di protesta,
che il 2 settembre l’altro hanno portato in piazza decine di migliaia di
persone con grave tensione e scontri a Buenos Aires.
Un
caso nazionale ormai, causa di grande imbarazzo per Macri e il suo governo.
Sullo sfondo quella che Anibal Quijano chiamerebbe colonialidad del poder.
Secondo il rapporto per il 2016 dell’Iwgia (International Working Group on
Indigenous Affairs) in Argentina vivono circa 600mila persone che si
riconoscono discendenti o appartenenti a un popolo indigeno, e trentacinque
popoli indigeni riconosciuti. Nel 1945 l’Argentina aveva riconosciuto
l’esistenza di popolazioni indigene, mentre nel 1985 venne emanata legge 23.302
sulla «politica indigena ed il sostegno alle comunità aborigene».
La
riforma costituzionale del 1994 ha riconosciuto la pre-esistenza etnica e
culturale dei popoli indigeni, e il possesso e la proprietà comunitaria delle
terre tradizionalmente occupate. La legge 26.160 approvata nel 2006 proibisce
lo sfratto forzato di comunità fin quando non vengano effettuate le necessarie
ricerche per definire se tali terre siano effettivamente ancestrali. Oggi si
discute se o meno prorogarla: se non lo fosse sarà più facile «ripulire» ogni
territorio per favorire gli interessi dei grandi capitali. In campagna
elettorale Macri si era impegnato a riconoscere i diritti dei popoli indigeni,
incontrandone i leader una settimana dopo la sua elezione. Pochi giorni dopo il
suo insediamento avrebbe però fatto passare una legge disegnata a proposito per
favorire gli interessi delle grandi multinazionali e delle oligarchie del
grande latifondo.
La
colonialidad del poder passa anche attraverso la rimozione della storia
passata, nel tentativo di costruire un’immagine di nazione bianca, occidentale,
civilizzata, e come si sa la legalità è spesso questione di potere, non di
giustizia. Così, seppur sulla carta l’Argentina riconosce i diritti dei popoli
indigeni, le cause legali contro i leader indigeni godono di corsie
preferenziali, mentre quelle intentate dalle comunità a tutela dei propri
diritti languono – a parte alcune eccezioni – negli archivi.
Ad
oggi i Mapuche sono riusciti comunque a «recuperare» il diritto a 250mila
ettari delle loro terre, e forse per questo si è inasprita la campagna di
criminalizzazione dei loro leader, tra cui Facundo Jones Huala della comunità
in resistenza (“Lof”) del Cushamen, oggi in carcere. Vengono accusati di
connessioni con l’Isis, con l’Eta, con le Farc, di voler creare uno stato
Mapuche indipendente. Il caso della comunità di El Bolsòn al cui fianco era
accorso Santiago affonda – come gli altri – le radici nella storia passata. Si
deve risalire al decennio del 1870 quando nel corso della “campagna del
deserto” le forze armate comandate del generale Julio Argentino Roca
massacrarono ed espulsero le popolazioni indigene della Patagonia. L’ultimo
gruppo di tremila indigeni ribelli si arrese in quella che oggi è la provincia
del Chubut. Proprio dove Santiago è
sparito, nelle terre di proprietà del gruppo Benetton, oggi considerato, con
844.200 ettari nelle provincie di Buenos Aires, Neuquén, Chubut, e Santa Cruz il
principale proprietario terriero dell’Argentina, attraverso la Compañía de
Tierras Sud Argentino S.A. (Ctsa).
Benetton
possiede attraverso la compagnia Minsud anche 80mila ettari di concessioni
minerarie nelle province di San Juan, Rio Negro Chubut e Santa Cruz. Nel 2007
la comunità di Santa Rosa di Leleque riuscì a ottenere un’ingiunzione per la
restituzione di 625 ettari di proprietà della Compagna de Tierras Sud Argentino
tra Esquel e El Bolsòn. Nel 2014 proprio grazie alla legge 26.160 venne riconosciuto
alla comunità Mapuche il diritto alla proprietà ancestrale.
Un’altra
istanza di restituzione fu emanata nel
marzo 2015 a Leleque sempre di proprietà del gruppo Benetton. Una delle
argomentazioni usate dai Benetton per negare la fondatezza delle legittime
richieste di restituzione delle terre da parte delle popolazioni Mapuche è che
questi non sarebbero originari di quelle terre e che loro invece avrebbero
diritto per i titoli di proprietà in loro possesso.
Il
conflitto si protrae da anni, con un picco nel gennaio scorso quando la polizia
chiamata (come spesso è avvenuto) dalla Ctsa intervenne duramente nel Lof
catturando il leader Facundo Jones Huala. La famiglia Benetton, tentò in
passato di placare la controversia annunciando la donazione di alcune terre, ma
i Mapuche non accettarono, reclamando giustamente il diritto ancestrale di
proprietà, essendo stati cacciati via con le armi nel lontano 1870.
Non
a caso la Ctsa ha molti scheletri
nell’armadio. Originariamente costituita a Londra nel 1889 come The Argentinian
Southern Land Company ltd amministrava per conto di grandi latifondisti inglesi
le terre che avevano ottenuto come contropartita per il sostegno dato da Londra
alla Conquista del deserto.
Fantasmi
del passato, della desapariciòn, del genocidio, quel buco nero nella storia,
nel quale oggi sembra inghiottito Santiago Maldonado. Chissà se lui,
artigiano-attivista con i dreadlocks poteva immaginare tutto ciò.
da qui
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