Ahmed
Khaled Tawfiq è un grande scrittore egiziano, morto troppo giovane, a 56 anni.
Utopia è un romanzo del 2011 ambientato
in un futuro allora già vicino, il 2023.
la
storia vi terrà incollati alla pagina fino all’ultima nota, lo saprete appena
leggerete le prime righe.
è una storia sempre più attuale, i ricchi nella loro città fortificata*, e i
poveri fuori, a sopravvivere e morire nel deserto. La città è protetta da
marines, i contatti fra i due mondi sono limitati, attraverso dei tunnel, per
esempio (come in Palestina). I giovanotti della città amano fare incursioni nel
deserto, e tornare con un trofei umani, tanto nel deserto vivano solo
sottouomini, parassiti e inutili.
non
perdetevi Utopia, non ve ne pentirete.
*
se volete vedere un film che racconta una storia del genere, di un futuro che è
già oggi, provate a cercare La zona, un film bello
e terribile, di Rodrigo Plà, messicano,
anche lui, come Ahmed Khaled Tawfiq, di un paese fuori dall’impero, fuori dai
fortini dei privilegiati.
…In
una tensione di violenza crescente, accompagnata da un magistrale dosaggio
della suspence, nell’alternanza di punti di vista tra “Il Predatore” e “la
Preda”, Utopia precipita in un epilogo non scontato, triste
ma acceso, nelle ultime, pagine, dalla visione chiara della necessità del
collasso dei sistemi parassitari in virtù della maturazione di consapevolezza
dei parassitati.
Utopia non
è romanzo da decifrare, tutto è sotto i nostri occhi, al limite della
pornografia: la crudeltà gratuita degli abitanti di Utopia si riflette nella
barbarie del mondo di fuori; Tawfiq evita infatti le secche moralistiche che
tendono ad attribuire maggiore dignità al lavoro bastardo e alla povertà: non
ci sono poveri ma belli, poveri ma buoni (fatta eccezione forse per la sorella
di Gaber). In quanto prodotto del Sistema-Utopia (ma si potrebbe dire anche
viceversa) il ‘mondo di fuori’ gli corrisponde e, in questa corrispondenza, ne
legittima gli abusi. Per questo, non sarà una moralità superiore a segnare la
fine della specularità, ma l’intuizione che la coscienza (di classe) nasce
innanzitutto da una precisa presa di distanza da desideri e istinti, dati come
naturali (cannibalismo, stupro, sopraffazione). Solo su questa distanza può
germogliare la cognizione del proprio ruolo storico.
Utopia si
ambientava idealmente nel 2023. Nel 2020 le roccaforti diffuse del parassitismo
(mediorientale e non solo) sono tutte lì, e non sarà il virus a cambiare la
sostanza di questi modelli, né a intaccare la violenza con cui si
auto-conservano grazie ai bisogni e le ambiguità geopolitiche del cosiddetto
mondo libero. Domani a centinaia moriranno nelle carceri di Egitto, Turchia,
Cina (elenco inestinguibile). In Yemen, Siria o Libia qualche bomba o il colera
farà le sue brave vittime quotidiane. In Italia i raccoglitori di pomodori
avranno forse la fortuna di essere regolari per qualche mese prima di ricadere
nell’oblio. Non c’è nessun cambio di paradigma: si plachino quelli che temono
per le libertà del cosiddetto mondo libero, presto potranno tornare a fare la
fila all’Ikea o raggiungere le seconde case per mangiarsi, in santa pace,
fresche capresi, temporaneamente, regolamentari.
Un triste resoconto futurista della
società egiziana nell’anno 2023, Utopia porta i lettori in un viaggio
agghiacciante oltre le comunità chiuse della costa settentrionale, dove i ricchi
sono isolati dalla desolazione della vita fuori dalle mura. Quando un giovane
uomo e una ragazza scappano da questa bolla di benessere per poter vedere da
soli le vite dei loro poveri egiziani, si trovano di fronte ad un mondo che non
avevano immaginato possibile.
Capolavoro
distopico
Utopia è la risposta contemporanea
ed araba a libri come “1984” e “Fahrenheit 451”, trasportando il lettore in
quell’atmosfera ma adattando tutto ai nostri tempi ed alla realtà
storico-sociale egiziana. L’autore, infatti, non fa altro che prendere una
situazione da secoli presente nella terra dei faraoni, provandone ad immaginare
le estreme conseguenze. All’interno di “Utopia”, infatti, i ricchi ed i poveri
appaiono infatti come due vere e proprie “razze” diverse, tanto che proprio
questa concezione spingerà i due giovani rampolli ad intraprendere il loro
infame viaggio.
All’inizio della storia veniamo
appunto a conoscenza del fatto che c’è un nuovo hobby sempre più in voga fra i
benestanti: la caccia al povero. Camuffandosi da mendicanti, alcuni di loro si
recano nei luoghi dove risiede la povera gente, uccidendola e portandosi a casa
trofei come braccia, occhi e gambe. Proprio tale sadico desiderio spingerà i 2
ad iniziare il cammino, anche se le cose non andranno esattamente come
preventivato.
Viaggio
all’inferno della psiche umana
I due infatti verranno rapidamente
riconosciuti dal volgo il quale verrà fermato solo dalla mano di Gaber, uno dei
protagonisti della nostra storia. Quest’ultimo è un ex professore caduto in
disgrazia come gran parte della popolazione e costretto così ad arrabattarsi in
mezzo a discarica e rifiuti per tentar di far sopravvivere lui e la sorella
Safiya. Venuto in contatto con i 2 rampolli, ne avrà pietà e proverà in tutte
le maniere a riportarli a casa, anche a costo di mettersi contro l’intera
popolazione.
Al termine del romanzo, scopriremo
come una delle due mentalità sia destinata a cambiare profondamente, mentre
quella dell’altro, rimanendo ferma nelle sue brutali convinzioni, porterà alla
distruzione del proprio popolo. I personaggi sono scritti incredibilmente bene
ma, proprio per non rovinarvi la sorpresa, è meglio fermarci qui, dovete
gustare il libro in prima persona per gustarlo appieno.
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