La rappresentazione dei collaborazionisti ucraini del nazifascismo come
“patrioti nazionalisti in lotta contro il regime bolscevico” è alla base della
loro trasformazione in eroi nazionali avvenuta dopo il colpo di stato voluto
dagli USA e dalla NATO a Kiev nel 2014; alle già preesistenti parate di reduci
e discendenti dei volontari della XIV Divisione Waffen SS “Galizien”,
formata da collaborazionisti ucraini e benedetta dal clero cattolico di
Leopoli, e di altre formazioni collaborazioniste come quelle di Stepan Bandera,
iniziate subito dopo l’indipendenza ucraina del 1991, si sono aggiunte dopo il
2014 dediche di strade e piazze e scuole, lapidi, francobolli commemorativi,
cerimonie ufficiali che onorano tali soggetti, fatto denunciato fra gli altri
dal centro Simon Wiesenthal, dalla FIR (Federazione Internazionale dei
resistenti, di cui fa parte anche l’ANPI, Associazione Nazionale dei Partigiani
d’Italia) e rimarcato ancora recentemente dal Presidente dell’ANPI Pagliarulo
sulla rivista online dell’Associazione, “Patria Indipendente”.
Antony Beevor sottolinea come “The whole lebensraum plan in the East
required cleansed areas and a complete subservient peasantry”1,
caratteristiche della strategia hitleriana già esplicitate nel Mein
Kampf. Edito fin dal 1925-26. E’ del tutto ridicolo quindi sostenere che i
collaborazionisti ucraini potessero essere effettivamente convinti che l’arrivo
delle truppe hitleriane nell’estate 1941 potesse creare le basi per una
“ucraina indipendente da Mosca” e che quindi il loro entusiastico
collaborazionismo potesse avere tale risultato; ciò vale in particolare per le
leadership intellettuali e politiche di quelle forze.
La tesi, ovviamente cara anche alle forze neonaziste presenti sia nelle
truppe ucraine (i battaglioni prima parte della Guardia Nazionale e poi
integrati nelle Forze Armate come l’”Aidar”, il “Dnipr” e quell’”Azov” che ha
adottato il simbolo che fu di quella Divisione SS “Das Reich”
autrice della distruzione di 648 villaggi bielorussi e ucraini e,
successivamente, sul fronte occidentale della strage di Oradour), sia fra i
ministri ucraini, si basa su un misto fra falsificazione e confusione anche
relativa al termine “nazionalismo”, supportato purtroppo anche da studiosi
occidentali come Giorgio Cella, che nel suo Storia e geopolitica della
crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi (Carocci Editore, Roma, 2021)
utilizza impropriamente il termine “nazionalismo” per le realtà dei secoli XIV
e XVI, mentre tutti gli storici più accreditati, come Braudel, Mathiez,
Lefebvre, Barbero, ecc., sottolineano talora da decenni che è del tutto
improprio applicare un concetto come “nazionalismo”, figlio in realtà della
Rivoluzione Francese e inscindibilmente legato a quello di “cittadino”, ad
epoche storiche anteriori, quando esistevano solo dinastie e sudditi e quando
il termine stesso “nazione” aveva solo un significato di “comunità di persone
che parlano la stessa lingua” (a questo si riferiscono ad esempio le
intitolazioni di tante chiese romane a “nazioni” di pellegrini) e non possedeva
alcun senso connesso con lo Stato o la sua rivendicazione. Dire che esisteva un
“nazionalismo ucraino” nei secoli XIV o XVI equivale a classificare
retrospettivamente e falsamente i partecipanti alla rivolta di Spartaco nella Roma
Repubblicana come “proletari” o, peggio, a riversare su di loro i concetti
degli “spartachisti” tedeschi del 1918.
Anche evitando di approfondire tale confusione concettuale
storiografica voluta, basterà accennare ad alcune caratteristiche del collaborazionismo
ucraino per evidenziare la falsità dell’attribuzione ad esso di un carattere
patriottico-nazionalista. Infatti è evidente che i “patrioti”, se possono
talora partecipare a lotte di altri popoli contro comuni nemici o anche solo
per comuni ideali2, non si fanno mai strumento di oppressione o
aguzzini verso altre genti al servizio di un potere straniero occupante la loro
stessa terra; così non è nel caso dei collaborazionisti ucraini degli
hitleriani ed in altri casi consimili3. Oltre a partecipare attivamente
al massacro di Ebrei, Polacchi, prigionieri di guerra sovietici, partigiani
antinazifascisti ucraini, reparti di collaborazionisti ucraini parteciparono
alla repressione della rivolta di Varsavia, della sollevazione antinazista
slovacca alla repressione antipartigiana in Friuli, Veneto e Piemonte, come
narrato anche dall’ex-partigiano Giorgio Bocca; così, ad esempio, mentre nella
41° Brigata Garibaldi (comandata da Eugenio Fassino ed operante fra la Val Susa
e la Val Sangone) caddero il 18.07.1944 come partigiani due soldati sovietici
di origine ucraina fuggiti dalle grinfie dei nazisti ed entrati nella
formazione, Denyanovic di Kirovgrad e Kochanovsky di Odessa, Rolando Besana,
comandante della formazione partigiana “Italia Libera” veniva ammazzato a S.
Anna di Piossasco il 23.4.1944 proprio da una formazione di SS ucraine.
Va anche ricordato inoltre che non solo la realizzazione da parte dei
gruppi di sterminio degli ebrei nazisti detti einsatzgruppen in
Ucraina vide la partecipazione entusiastica delle formazioni collaborazioniste
ucraine, come a Baby Yar, dove in tre giorni vennero massacrati oltre 33.000
donne, bambini e uomini ebrei, non solo i seguaci ucraini di Bandera
sterminarono in Volinia e Galizia oltre 100.000 fra Ebrei e Polacchi4.
Ma che sotto la direzione delle SS tedesche, migliaia di collaborazionisti
ucraini rappresentarono la quasi totalità dei guardiani dei campi di sterminio
nazisti di Majdanek, Sobibor e Treblinka ed operarono in altri lager, incluso
quello della Risiera di San Sabba a Trieste.
La mistificazione che presenta quei criminali ucraini collaborazionisti dei
nazifascisti invasori come “patrioti nazionalisti” trova più facile attenzione
in un’Italia che non ha mai voluto fare fino in fondo coi crimini commessi
dalle sue truppe nelle invasioni mussoliniane dell’Etiopia, della Grecia,
dell’Albania della Yugoslavia e, appunto, della Russia. Se storici come
Barbero, Del Boca, Conti e molti altri sottolineano in rapporto all’insieme di
quei crimini (e va ricordato che in base alla sentenza di Norimberga contro i
leaders nazisti già la stessa guerra di aggressione è crimine in sé) come la
favola degli “Italiani brava gente” contrapposti ai “cattivi Tedeschi” sia del
tutto ingiustificata e si colleghi alla totale impunità postbellica per tutti i
criminali di guerra italiani (mai processati da tribunali italiani, mai
estradati alle nazioni che ne avevano denunciato i crimini, mai processati da
tribunali alleati!), è Schlemmer5 che definitivamente svela la
artificiosità di tale mistificazione proprio riguardo alla “campagna di Russia”
italiana. Una mistificazione che centra l’attenzione solo sulla ritirata
drammatica italiana dal Don e non narra cosa facessero le truppe italiane nel
lungo periodo di occupazione di vastissime aree dell’URSS, soprattutto nella
prima fase della Campagna, ossia quando erano lo CSIR (Corpo di Spedizione
Italiano in Russia) e non la più nota e vasta ARMIR (Armata Italiana in
Russia), e quando occupavano tra l’altro proprio il Donbass, avendo il comando
piazza a Stalino (odierna Donetsk). A questa mistificazione hanno contribuito
sia film come la coproduzione italo sovietica “Italiani brava gente” del 1964,
di De Santis (ma il titolo in russo era diverso: “Venivano da Ovest”!), sia
soprattutto la memorialistica di tanti reduci (soprattutto ufficiali, date le
condizioni culturali dell’epoca), sia la volontà di non affrontare il fatto che
gli Italiani parteciparono alla feroce repressione antipartigiana,
commisero crimini di guerra autonomamente, per i quali i Sovietici chiesero
invano l’estradizione di 12 alti ufficiali, e consegnarono tanti Ebrei ai
nazisti tedeschi ed ai collaborazionisti ucraini ben sapendo che fine
facessero, come testimoniano sia tante lettere di militari italiani che gli
stessi rapporti della polizia politica fascista.
Tantomeno si affronta il fatto che la partecipazione italiana all’invasione
dell’URSS non fu richiesta da Hitler, che anzi preferiva vedere gli italiani
impegnati in Africa Settentrionale e non nelle steppe russe, ma domandata
piagnucolosamente da Mussolini ad Hitler e che nei mesi precedenti il giugno
1941 il regime fascista aveva commissionato agli uffici tecnici del Ministero
dell’Agricoltura uno studio per sfruttare le fattorie collettive ucraine (con
l’invio di 5.000 gestori italiani) per rapinarne il grano, non tenendo conto
dell’ovvio fatto che i tedeschi mai avrebbero permesso una partecipazione al
loro saccheggio. Si era perfino ventilata l’ipotesi di usare 6.000 prigionieri
di guerra sovietici con esperienze minerarie (e dunque sostanzialmente del
Donbass) come forzati nelle miniere di carbone sarde, ma Mussolini scartò
l’ipotesi per paura che “contaminassero di bolscevismo i Sardi”!
Addirittura, i documenti dell’Archivio Storico dell’Esercito provano che
nelle inchieste auto assolutorie sugli ufficiali italiani accusati di crimini
di guerra dai Sovietici, che servirono a rifiutarne estradizione o processo in
Italia, sono stati usati in modo ridicolo come presunte “prove del buon
comportamento verso i civili” le attestazioni ed i regali ricevuti da alcuni
degli ufficiali accusati proprio da parte di esponenti dei collaborazionisti
ucraini!
Interessante è poi il fatto, di cui descrivo i particolari sulla base di
studi canadesi nel mio libro6, che una fetta consistente di
collaborazionisti ucraini rientra pienamente nel fenomeno del salvataggio a
fine guerra e del successivo riciclaggio ad opera dell’Occidente, che riguardò
anche tanti petainisti francesi (si pensi a Papon, responsabile delle retate
degli ebrei per la deportazione e diventato nel dopoguerra Prefetto di Parigi),
tanti repubblichini italiani, tanti ustascia croati, ecc., assieme a molti
Tedeschi come Gehlen, ex-responsabile dei servizi segreti nazisti sul fronte
orientale, riciclato dagli Angloamericani con tutta la sua rete spionistica
nella guerra Fredda e poi assurto alla testa dei ricostituiti servizi segreti
della Germania Ovest in ambito NATO. Infatti, mentre gli Inglesi si attennero
agli accordi con Stalin circa la consegna ai Sovietici dei collaborazionisti
caucasici in fuga dal Friuli catturati a fine guerra in Austria, ciò non
avvenne con i collaborazionisti ucraini catturati da loro sempre in Austria,
grazie all’intervento del generale polacco Anders (che era inquadrato nelle
forze britanniche) che dichiarò falsamente essere costoro tutti ex-cittadini
polacchi galiziani, cosa che ne consentì l’espatrio /assieme a molti bottini in
oro e gioielli razziati agli sterminati) in Gran Bretagna ma soprattutto in
Canada e negli USA.
Qui essi prosperarono, crearono associazioni, lautamente finanziate nella
logica antisovietica, che tennero vivi i disvalori nazifascisti educando ad
essi le successive generazioni, in molti casi vennero integrati negli apparati
occidentali della Guerra Fredda, svolsero propaganda, e dopo la frantumazione
dell’URSS e l’indipendenza dell’Ucraina nel 19917 tornarono
nella terra d’origine, contribuendo fortemente alla creazione di associazioni,
movimenti, partiti ed infine milizie che ovviamente avevano nella connessione
con l’esperienza collaborazionista, spacciata per “patriottico-nazionalista” la
loro più salda radice.
Note:
1. 1 Beevor A., The Second World War, Phoenix, london, 2014, pag.
253: “L’intero piano per lo spazio vitale richiedeva aree ripulite dalla
popolazione a un contadiname completamente asservito”;
2. 2 ad esempio la partecipazione di volontari polacchi alle lotte
risorgimentali italiane, testimoniata nello stesso inno nazionale polacco,
quella di garibaldini alla guerra contro i Prussiani del 1870, quelle dei
volontari internazionalisti contro franchisti e loro alleati nazifascisti in
Spagna dal 1936, ecc.;
3. 3 ad esempio i collaborazionisti belgi guidati da Degrelle, quelli russi di
Vlasov, ecc.
4. 4 ragione per cui sia il pur russofobo governo attuale polacco, sia entità
ufficiali israeliane hanno ripetutamente quanto inutilmente protestato con i
governi succedutisi a Kiev dopo il 2014 per la glorificazione come eroe proprio
di Bandera;
5. 5 Schlemmer T,, Invasori, non vittime. La campagna italiana di Russia
1941-1943, Laterza, Bari, 2009;
6. 6 Marconi S., Donbass. I neri fili della memoria rimossa; Fabio
Croce Editore, , Roma:016
7. 7 indipendenza paradossalmente ottenuta con confini frutto dell’integrazione
voluta da Stalin nella compagnie amministrativa ucraina dell’URSS delle terre
originariamente polacche di Galizia e Volinia, e di regioni trans-carpatiche
originariamente rumene e ungheresi e del regalo illegittimo della Crimea ad
opera di Khrushev.
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