Armi. Armi.
Armi. L’Europa e il mondo si svegliano ogni mattina sotto un frastuono
persistente di esplosioni, bombardamenti, attacchi, missili e bombe di ogni
genere. È la guerra, quella con la G maiuscola. Quella che avevamo lasciato
sui libri di storia, quella che a volte abbiamo provato a immaginare attraverso
alcuni film. Ricordo in particolare il tragico e drammatico Salvate il
soldato Ryan che racconta lo sbarco sulle spiagge della Normandia il 6
giugno 1944, con le immagini crude della carne sulla sabbia. Quella guerra che
l’Europa dell’Unione europea, che ha ricevuto il Nobel per la Pace nel 2012,
non conosce e non frequenta da tre generazioni.
La nostra
Europa che ha favorito al massimo la scelta dell’obiezione di coscienza per
giungere poi a un esercito professionale con una funzione più di deterrenza che
di minaccia. L’Europa che ha preso una strada decisa verso la pace senza
guerra. Una strada che l’Italia ha formalizzato addirittura nella sua
Costituzione con lo splendido Articolo 11: l’Italia ripudia la guerra.
Ritroviamo questa Europa improvvisamente invaghita, innamorata e
affascinata dal linguaggio militare: armi, armamenti, strategie, confini,
eroi, bandiere, sacro suolo e sacra patria, attacco e contrattacco, eroismo,
sacrificio, sangue sparso per la causa. Una retorica che si impone
prepotentemente tramite un mezzo antico che sembrava archiviato: la
televisione, quella generalista, che ha ripreso il sopravvento. Sono stati
richiamati come opinionisti i Generali di ottanta-novant’anni pur che sapessero
qualcosa di guerra.
Siamo
ripiombati in una retorica nazionalista dove i buoni sono quelli che sostengono
le armi e i cattivi quelli che difendono l’Articolo 11 della Costituzione.
Da una parte
tutti, o quasi, dall’altra noi poveri pacifisti ormai in disuso.
Mai avrei pensato di dover tirar fuori la bandiera della pace o i miei libri degli
anni Ottanta e Novanta sull’educazione alla pace. Ne avevo scritti tanti
davvero. Non pensavo che ci saremmo rivisti alle marce per la pace dove l’età
media, rispetto al pacifismo di quei tempi, è decisamente più alta. I
ragazzi sembrano intimoriti, spauriti, confusi.
Molti di
loro hanno passato gli ultimi due anni sui videogiochi, in genere sui classici
“sparatutto” come Call of Duty, ma non solo quello. Videogiochi che
non necessariamente preparano alla guerra, ma creano un immaginario che, nel
momento in cui il videogioco si sovrappone alle immagini nude e crude della
realtà, rende faticoso, per questi adolescenti, capire dove si trovano. Come se
ci fosse un filtro, una nebbia che impedisce di leggere la situazione e di fare
come quando eravamo giovani noi: scendere per le strade in milioni e chiedere
la pace, subito. Azioni che, a loro tempo, portarono addirittura
all’abbattimento senza alcuna violenza del muro di Berlino il 9 novembre 1989.
È ampiamente riconosciuto che i movimenti per la pace di qua e di là dal muro
furono decisivi in un cambiamento che nessuno storico e nessun futurologo aveva
previsto.
Rimane,
oggi, un’unica soddisfazione: tutti i sondaggi realizzati sull’opinione
pubblica continuano a confermare che gli italiani sono contrari a diventare
parte della guerra e ad alimentarla con l’invio delle armi. Ma nonostante
questo, il Governo segue una sua strada, ritiene che la cittadinanza, in questo
frangente, non vada consultata e che sia giusto così. Come se anche su questo
versante l’immaginario della guerra prevalesse. Sembra di tornare a quando si
diceva à la guerre comme à la guerre: si parte e basta.
Ci si arma,
ci si organizza e ci si prepara all’austerità bellica. Il presidente
del consiglio ha annunciato che i climatizzatori quest’estate saranno un lusso
e probabilmente anche il riscaldamento in inverno. Difficile, dopo queste
dichiarazioni, continuare a credere che l’Articolo 11 faccia ancora parte della
nostra Costituzione e che noi non siamo in guerra contro la Russia. La
Russia… la seconda potenza nucleare al mondo. Pare che Putin si sposti
sempre con due assistenti che lo accompagnano con la micidiale valigetta di
comando: il famoso grilletto nucleare che eliminerebbe l’intera
specie umana.
Purtroppo,
tanti politici hanno una conoscenza storica molto limitata. Potrei
invitare Le iene a fare un test fuori dal Parlamento: A cosa
associ la parola Nagasaki? Sarei curioso di sentire la
risposta: una moto giapponese o la seconda bomba atomica sul Giappone? Che si
andò ad aggiungere con migliaia di morti a quella di Hiroshima (la stima è
difficile, ma dovrebbero essere più di 200 mila).
La
leggerezza con cui si affronta questa situazione, spingendo sull’acceleratore
dello scontro totale, della vittoria, come in tanti insistono, appare sconcertante,
un vuoto di memoria, un richiamo alla resistenza che ha poco a che fare con i
valori stessi della nostra Resistenza, dove la componente non militare, come ci
hanno sempre ricordato, tra gli altri, Lidia Menapace e gli importanti libri di
Ercole Ongaro, risultò decisiva.
Una amnesia
storica che cancella le grandi esperienze di resistenza con la
nonviolenza: Gandhi sembra il convitato di pietra nei nostri
dibattiti televisivi così come il suo ispiratore teorico Lev Tolstoj.
Il quale, purtroppo, ha un difetto: era russo, forse il più grande scrittore
russo e teorico della non violenza evangelica.
Lo stesso
Nazismo, di cui si blatera in continuazione con scarsa conoscenza storica,
venne bloccato in Norvegia, in Danimarca e anche in altri Paesi europei,
proprio grazie alla realizzazione di campagne di resistenza non violenta,
basate sulla non collaborazione, sul boicottaggio e su forme di
insubordinazione passiva. Nella storia troviamo tutti gli elementi per poter compiere scelte
diverse da questa esaltazione aprioristica delle armi e del militarismo. Si
può resistere in altri modi e si deve farlo perché l’Europa non è più, per
fortuna, l’Europa degli imperi, quelli che si scontrarono nella Prima e nella
Seconda Guerra Mondiale.
La Prussia
non esiste più, cancellata dalle cartine geografiche e dai trattati diplomatici
fra le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale perché ritenuta una
concezione geopolitica foriera di tutto quell’orribile militarismo che aveva
messo a ferro e fuoco la prima parte del nostro splendido Novecento.
Che altro si
può dire? Che la povertà di ragionamenti in cui l’Europa tutta è incappata
lascia veramente uno sbigottimento e un imbarazzo in chi ha vissuto le vicende
degli ultimi decenni quasi una vera e propria regressione antropologica.
Ripongo la
speranza in un ravvedimento politico, culturale, sociale e religioso, anche
all’ultimo momento. Non ci salveremo con le armi e facendo la guerra a
qualcuno, ma ribadendo i moderni valori di pace, di convivenza e di non
violenza su cui si fonda la nostra Europa.
L’invito è a
partecipare, il 24 aprile prossimo, alla Marcia Perugia-Assisi Fermatevi!
La guerra è una follia, con la speranza che la voce di tanti potrà portare a
ciò che già fu possibile quel 9 novembre 1989.
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