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Sinossi
1492: siamo su una caravella veleggiante nell’Atlantico;
nella cabina del comandante un uomo, dai tratti austeri e decisi, studia per
l’ennesima volta le carte in suo possesso.Quest’uomo è Cristoforo Colombo e tra pochi
giorni passerà alla storia come lo scopritore del continente americano. Sa
che i suoi uomini incominciano ad essere esasperati per questa continua
navigazione in un oceano che sembra senza fine, ma dalle carte in suo possesso,
in parte ereditate dal suocero, sembra che la fine di quel viaggio sia al
termine. Egli è fin troppo sicuro che quelle carte, così anacronistiche per
l’epoca, indicanti luoghi e terre mai visti prima di allora (o almeno così si
supponeva), non siano menzognere e per infondersi coraggio rilegge la lettera
del suo amico Toscanelli, cartografo del
tempo, (il quale aveva sottoposto, prima di Colombo, lo stesso progetto al Re
di Portogallo) il quale lo consigliava, nel suo viaggio, di far sosta nelle
grandi isole che egli chiamava Antilia,
dimostrando così di crederci fermamente.
1513: un famoso ammiraglio turco, Pirì Reis, è chino sul suo tavolo, nella sua casa
di Costantinopoli, intento a ricopiare, su una pelle
di gazzella, alcune antiche mappe di cui per molti versi alcuni tratti sono a
lui sconosciuti, benché come ammiraglio della flotta turca, avesse avuto ben
occasione di navigare nei mari sin allora conosciuti. La curiosità, e forse la
capacità di concepire prima di altri che quelle coste e terre disegnate non
siano semplici frutti di fantasia, ma piuttosto il retaggio di antiche
conoscenze, fanno in modo che egli persegua un fine che alla vista di molti,
allora, sembrava da visionario, ma che ai nostri occhi, oggi, diventa uno dei
più grandi quesiti, ancorché spesso ignorato dalla scienza dogmatica.
1737: quasi due secoli dopo Pirì Reìs,
troviamo, questa volta in Francia, un eminente geografo francese, Philiph Buache, intento a ricopiare alcune antiche
mappe, che tracciano il profilo di un continente fino allora ( e sino al 1818)
ancora sconosciuto: l’Antartide.
Quello che non può sapere Buache è che il continente di cui sta tracciando il
profilo esiste ma che tali tratti territoriali sono stati i suoi confini
all’incirca 13000 anni prima, allorché tale
terra era libera dai ghiacci che ora la ricoprono.
1959: un anziano professore di Storia
delle Scienze, Charles Hapgood, sta studiando,
davanti al fuoco del camino del suo studio, nella sua casa nel New Hampshire,
alcune antiche mappe; tra le sue mani si trovano infatti le carte di Pirì Reìs, Buache, Mercatore, Oronzo Fineo,
ed altre ancora. Ai suoi occhi balza subito la medesima discrepanza presente in
tutte questi documenti: esse sono foriere di conoscenze geografiche e
cartografiche apertamente in contrasto ai periodi a cui fanno riferimento: le
nozioni che rappresentano precorrono di molto il normale progresso geografico e
cartografico, così come noi lo conosciamo!
Ho voluto lavorare un po’ di fantasia per
rappresentare quelli che potrebbero essere alcuni passi importanti nella
conoscenza di alcuni dei più straordinari reperti “fuori posto” che spesso
sbucano all’improvviso, quasi a voler sconvolgere l’ordine naturale delle cose
e della storia così come noi la conosciamo. Ma tengo a precisare che i
personaggi da me menzionati e le date sono veritiere ( ho lavorato di fantasia
sulle ambientazioni) così come sono assolutamente veritiere, ancorché ignorate
dalla scienza, le mappe e i documenti da me citati, e che saranno l’argomento
di questo trattato, ovvero le mappe ” impossibili”.
Perché impossibili? La motivazione di questa
terminologia credo di averla già chiarita nelle righe precedenti, quindi credo
che sia molto più semplice affrontare questo argomento scendendo nei
particolari di alcune di queste carte. Sembra ormai accertato che le Americhe
siano state raggiunte, prima di Colombo, dai Vichinghi, le cui tracce
risulterebbero in un insediamento sull’isola di Terranova, e lo stesso Heydal,
un avventuroso esploratore dei giorni nostri, ha dimostrato che le antiche navi
potevano benissimo intraprendere un viaggio oceanico.
Sembra anche che, molto probabilmente, Fenici e
Cartaginesi (e persino i Greci) conoscessero tali rotte e intraprendessero
rapporti commerciali con i popoli di tali terre (potrebbero essere così
spiegate le tracce di cocaina, prodotto originario del America meridionale,. su
alcune mummie egizie (altro cover-up)) e che per difendere tali conoscenze procedessero
all’affondamento di tutte le navi straniere che osavano attraversare l’allora
confine del mondo conosciuto, le famose Colonne di Ercole (lo stretto di
Gibilterra), o addirittura, allor quanto si accorgevano di essere seguiti,
arrivassero all’autoaffondamento. In più, numerose leggende di mari
impraticabili e mostri orrendi scoraggiavano vieppiù gli altri ardimentosi.
L’ammiraglio cartaginese Imilcone parla di un ”mare impraticabile, pieno di alghe et immoto…dove vento non soffia
e le navi diventano putride ( forse un allusione al Mar dei Sargassi, noto per
le alghe che coprono la sua superficie e da cui prende il nome, e per le sue
bonacce interminabili?)…mentre mostri marini nuotano intorno alle nostre navi…”.
Questo potrebbe spiegare come mai il continente americano ed alcuni gruppi di
isole (le Antilie, identificabili con Cuba, Haiti, Bermuda etc) fossero di
dominio pubblico su alcuni portolani antecedenti la scoperta di Colombo.
Ci sono tuttavia altri elementi che sembrerebbero
provare la possibilità che queste rotte fossero conosciute e battute da una
razza di navigatori assai più antica e noi completamente sconosciuta Uno dei
punti in discussione è la capacità, da parte dei compilatori di tali mappe, di
rappresentare un continente, l’Antartide, sconosciuto sino al 1818, ed in
condizioni di disgelo, effettuatisi per l’ultima volta non meno del 4000 a.C.,
agli albori della storia a noi conosciuta.
La capacità rappresentativa di tali terre e il loro
posizionamento preciso, dovuta ad un’effettiva conoscenza dei concetti di
latitudine e longitudine, qual cosa che implica una conoscenza scientifica e
strumentaria cui noi siamo arrivati negli ultimi tre secoli, implica un’altra
domanda: se l’Antartide è stata rilevata e cartografata tra il 13000 e il 4000
a.C., quale popolo è stato capace di codesta impresa, allorché i popoli più
evoluti da noi conosciuti ( Egizi, Sumeri, Babilonesi, Greci e Romani) erano
allora in uno stadio che definire primitivo è molto riduttivo? Ma andiamo ora
all’esame di queste carte.
La carta di Pirì Reis.
Il 2 novembre 1929, durante il lavoro di catalogazione
degli oggetti appartenenti al Museo Topkapi di Istanbul, venne ritrovata una
carta geografica, in due pezzi, che lasciò esterrefatti gli studiosi. Quella
carta è oggi nota come “carta di Pirì Reis”, dal nome del suo autore, Pirì Reis
Ibn Haja Mehemet. Pirì era un uomo di incredibile cultura (conosceva il greco,
l’italiano, lo spagnolo ed il portoghese) ed uno stimato cartografo.
Disegnò la mappa in questione nel 1513, collezionando
numerose carte antiche, tra cui una venuta in possesso tramite un marinaio di
Colombo, catturato da Kemal Rais, zio di Pirì. Ma che cosa ha di tanto speciale
questa mappa? La carta di Pirì ha suscitato l’attenzione di molti ricercatori,
poiché è forse la più strana ed incredibile delle cosiddette “mappe
misteriose”, cioè carte geografiche che raffigurano territori inesplorati ai
tempi in cui vennero disegnate.
La carta di Pirì raffigura gran parte della penisola
iberica, una piccola porzione della Francia, una vasta parte dell’Africa
nordoccidentale, le coste dell’america centromeridionale ed un tratto del
litorale antartico. Ebbene, nel 1513, molte di queste regioni erano
completamente sconosciute, come mostra un esame della cartografia coeva.
Dell’Antartide, la carta di Pirì rappresenta la Penisola di Palmer, la Terra
della Regina Maud e parecchi picchi subglaciali, al largo delle coste,
riconosciuti come tali solo nel 1949 da una spedizione organizzata da Norvegia,
Svezia e Gran Bretagna. Lo stesso continente antartico fù scoperto solo durante
il XIX secolo (1820).
La carta raffigura inoltre, con relativa precisione,
altre regioni dell’Antartide che non potevano essere in alcun modo note nel
‘500, poiché ricoperte da ghiacci, e che fu possibile cartografare solo nel
1958 nel programma di ricerche organizzato dall’Anno Geofisico Internazionale:.
Tra le diverse miniature che corredano la mappa,è possibile distinguere,
accanto alla Cordigliera delle Ande, un lama ed un puma. Questi animali e la
stessa Cordigliera dovevano essere, all’epoca di Pirì, completamente
sconosciuti, poiché l’esplorazione del sistema andino iniziò soltanto dopo il
1531, quando Pizzarro mosse alla conquista dell’impero Inca.
Tutto questo sarebbe spiegabile solo ammettendo che
l’America e le coste dell’Antartide fossero già state esplorate in tempi remoti
e che antichi cartografi ne avessero realizzato mappe dettagliate. Ma ciò non
fa che infittire il mistero: l’ultima volta che l’Antartide sarebbe stata
possibile rilevarla e cartografarla priva di ghiacci, risalirebbe a circa 15000
anni fa: Quale civiltà poteva esistere a quell’epoca, in cui storicamente si
colloca l’uomo di cro-Magnon? In un suo memoriale, intitolato Bahriye, Pirì
afferma che Colombo conosceva l’esistenza dell’America ancora prima di esserci
stato, poiché in possesso di antiche mappe che la mostravano, e che avesse
usato queste stesse mappe per convincere la regina di Spagna a finanziare la
sua impresa. Pirì aggiunge che Colombo vi giunse portando perline di vetro
poiché sapeva che gli indiani erano attratti da questo genere di ninnoli.
Sempre secondo Pirì, non solo Colombo aveva raggiunto
l’America, ma anche i Vichinghi, S. Brindano, Nicolas Giuvan, Antonio il
Genovese, ed altri ancora. La carta fù oggetto di studio, nel XX secolo, da
parte dello studioso Charles Hapgood, la quale per confermare le proprie
impressioni, la sottopose allo studio dell?USAF, l’ente aeronautico militare
degli USA. La loro risposta fù strabiliante in quanto essi stessi asserivano,
in una nota inviata ad Hapgood, che era inspiegabile l’esistenza di tale mappa,
in quanto riportante elementi non conosciuti all’epoca di Pirì Reis o di
qualunque altra civiltà, a noi conosciuta, di epoca antecedente. Ciò costrinse
Hapgood a rigettare l’idea che la mappa derivasse da sunti Vichinghi, in
quanto, seppur essi fossero mai giunti, prima di Colombo, nelle Americhe, non
avrebbero potuto rilevare il continente Antartico, in un’ eventuale altra
spedizione, così come era stato disegnato, cioè senza ghiacci.
Non è nemmeno possibile che sia stato il marinaio di
Colombo, catturato dallo zio di Pirì Reis, ad informare lo stesso Pirì in
maniera tanto dettagliata, poiché, al ritorno della sua quarta spedizione
(1504) Colombo aveva esplorato soltanto le coste dell’Honduras, Costarica,
Nicaragua e Panama. Hapgood conclude che doveva esserci stata un’antica civiltà
di re dei mari, con conoscenze marittime, geografiche et astronomiche,
estremamente sviluppate e poi andate perdute.
La carta di Charles Hapgood
Charles Hapgood nella sua ricerca di portolani
antichi,oltre alla carta di Pirì Reìs, si imbattè in una raffigurazione del
1531, opera di Oronzio Fineo chiamata, appunto, “Mappamondo di Oronzio Fineo”.
Tale mappa è il risultato di copiature di numerose
carte “sorgenti” e rappresenta la parte costiera del continente antartico priva
di ghiacci. In essa il continente antartico è fedelmente riprodotto e
posizionato, geograficamente, perfettamente. Su di esso vengono annotate catene
montuose e fiumi, quali effettivamente abbiamo scoperto siano esistiti, ora
coperti dalla coltre di ghiacci. La parte interna invece e priva di
raffigurazioni fluviali e montuose, il che ci indica che tale parte, a
differenza di quella costiera, era già ricoperta di ghiacci.
Il mappamondo di Fineo sembra essere un’altra prova
convincente riguardo alla possibilità di una remota colonizzazione del
continente australe e lo ritrae in un’epoca corrispondente alla fine
dell’ultimo periodo glaciale. La carta mostra anche numerosi estuari,
insenature e fiumi, a sostegno delle moderne teorie che ipotizzano antichi
fiumi in Antartide in punti in cui sono oggi presenti ghiacciai come il
Beardmore e lo Scott.
I vari carotaggi effettuati negli ultimi tempi sono a
sostegno della tesi che l’Antartide era un tempo abitabile: i campioni sono
ricchi di sedimenti che rivelano condizioni differenti di clima, ma soprattutto
si nota una rilevante presenza di grana fine, come quella che viene trasportata
dai fiumi. Inoltre, i carotaggi rivelano che solo intorno al 4000 a.C.
l’Antartide venne completamente ricoperto dai ghiacci.
La mappe di Mercatore e Buache
Chi erano Gerardo Mercatore e Philiphe Buache?
Mercatore, conosciuto ancora oggi per la proiezione cartografica che porta il
suo nome, fu un insigne studioso della sua epoca, tanto che la sua voglia di
sapere lo portò, nel 1560, ad avventurarsi in Egitto per visitare la Grande
piramide e ad accumulare testi antichi per la sua biblioteca personale.Nel suo
“Atlante” rappresentò il continente australe, (questo nell’anno 1569, e
ricordiamo che il continente antartico fu scoperto solo nel 1818): alcune parti
identificabili di tale continente sonoCapo Dart, il Mare di Amundsen, l’isola
Thurston, le isole Fletcher, l’isola di Alexander I, la penisola Antartica di
Palmer, il Mare di Weddel, la Catena Regula, la Catena Mühlig-Hoffman, la costa
Principe Harald, e la Costa principe Olaf.
Buache era un geografo francese del XVIII secolo.La
sua carta ha una peculiarità unica: rappresenta, perfettamente, il continente
antartico completamente privo di ghiaccio.
Ricordiamo che la topografia subglaciale di tale terra
fù possibile solo nel 1958. Il canale navigabile che sembra dividere in due il
continente esisterebbe realmente se non fosse ricoperto dai ghiacci eterni,
quindi dovremmo dedurre che le carte originali, cui dovette fare riferimento
Buache per la compilazione della sua mappa, erano antecedenti di millenni
rispetto alle fonti a cui avevano attinto Mercatore, Fineo, Pirì Reìs.
Conclusioni
Cosa aggiungere di più a quanto già detto? Le
vicissitudini che hanno passato i documenti antichi nel corso dei secoli (basti
ricordare che uno sceicco usò i testi della biblioteca di Alessandria, forse la
più importante e fornita, nell’antichità, per fornire di combustibile i bagni
pubblici della città, sostenendo che se quei testi contenevano insegnamenti
contrari a quelli del Corano, erano da condannare per empietà, mentre se tali
testi si confacevano al Corano, inutili in quanto bastava lo stesso Corano.
Oppure ricordiamo le distruzioni di testi maya, perpetrati, in nome della fede
cattolica, dal vescovo Landa in Messico.), bastano a spiegare la mancanza di
documenti risalenti ad un’antica civiltà, precursore di tutte le altre.
Inverosimilmente vi sono testi che citano tali documenti. Ecco, queste strane
mappe, ricavate da documenti originali molto più antichi, potrebbero essere
l’unica prova, tangibile, di un passato, di una storia, di una gloria, che fù,
e a cui la scienza dogmatica, intransigente, nega l’opportunità di rivelarsi
appieno, celandosi dietro un imperioso no-comment o addirittura ignorando
impassibilmente questi frammenti di storia antica che ogni tanto si
riaffacciano, quasi a voler sfidare la stessa scienza, beffardamente, ponendoci
nuovi quesiti e attendendo nuove risposte.
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