Ci comportiamo un po’ tutti come se fossimo ormai
fuori dalle catastrofi che ci hanno colpito negli ultimi due anni, prima la
pandemia poi la guerra, eppure ci siamo ancora dentro fino al collo.
Certo non vediamo più per le strade i camion militari
pieni zeppi di bare, ma la pandemia è ancora presente e infetta molto,
nonostante da aprile le regole cambieranno e tutti vivremo, probabilmente,
nell’illusione che ormai ne siamo fuori, una sorta di “liberi tutti” che
onestamente non mi lascia tranquillo. Per non parlare poi delle vicende
belliche scoppiate in Europa, noi che eravamo abituati ad assistere alle guerre
degli altri, le guerre dei poveri, combattute in continenti devastati dalla
fame e dalle carestie.
Ebbene, ci siamo resi conto che nemmeno noi, quelli
del “primo mondo”, sono immuni dai pericoli della guerra, addirittura di una
terza guerra mondiale se non addirittura di una guerra nucleare che metterebbe
fine, in maniera definitiva, ai tormenti della nostra specie. Ma non intendo
parlare di argomenti che vengono affrontati ogni giorno da centinaia di
specialisti, tutti concentrati a spiegare a noi, poveri ignoranti, ciò che ci
sta succedendo e ciò che ancora potrebbe succedere.
Ciò che vorrei provare a fare è sviluppare una
riflessione su cosa potremmo, anzi dovremmo imparare da questi terribili eventi
che da oltre due anni stanno devastando la vita di tutti noi. Inizialmente, in
maniera un po’ troppo ottimistica, molti commentatori ci dicevano che dalla
pandemia sarebbe uscito fuori sicuramente un mondo migliore, più solidale, meno
egoista, insomma le persone avrebbero finalmente capito che il profitto non è
al centro del mondo, al centro bisogna riportare le emozioni, i sentimenti,
insomma ciò che fa dell’uomo un uomo.
Poi abbiamo visto tutti come sono andate le cose e
come stanno andando, inesorabilmente abbiamo indossato di nuovo tutti l’abito
del piccolo uomo egoista e arrogante che vede gli altri e la natura come
oggetti da sfruttare a proprio uso e consumo. Il gran finale di tutto ciò,
orrendo e grottesco e che stiamo ancora vivendo si è poi concretizzato nella
sporca guerra di Putin che ha deciso di bombardare vecchi e bambini, ospedali e
case per anziani, scuole e centri commerciali, così come avevano già fatto
d’altronde, durante il corso della storia, altri piccoli uomini: americani,
inglesi, francesi, italiani ecc.
È ancora possibile porre rimedio a tutto ciò? Si è
ancora possibile, o meglio, sarebbe possibile se si riuscisse a divulgare una
nuova filosofia di vita che s’ispira a quello che già altri, in tempi meno
recenti, hanno definito “l’elogio della fragilità”. Solo se l’uomo abbandona la
perversa filosofia dominante in questi giorni bui e tempestosi ovvero quel
pensiero che grazie a lunghi anni di capitalismo rampante è stato ficcato con
forza nelle nostre teste e nelle teste dei nostri ragazzi secondo il quale ciò
che conta è essere al centro del mondo, avere migliaia di followers, apparire
belli e perfetti e vergognarsi dell’imperfezione e della fragilità.
Al contrario, ci salviamo solo se finalmente, con
coraggio e consapevolezza, impariamo a prendere per mano, attraverso l’amore,
la fragilità e il dolore, ce ne facciamo carico e abbandoniamo l’ambiziosa
pretesa di autosufficienza di chi ambisce alla “perfezione”, all’illusione del
successo virtuale decretato da masse adoranti di “seguaci” mentre,
inesorabilmente, tutto ciò ci conduce solo in una triste condizione di amara
solitudine. Dobbiamo imparare a caricare sulle nostre spalle il dolore degli
altri se vogliamo sperare di renderlo accettabile e superabile.
Dobbiamo imparare a sostituire, nella nostra vita, il
protagonismo esasperato ed egoista con il prendersi cura della fragilità: il
bambino cosiddetto “speciale” preso di mira e umiliato dai bulletti e da
qualche cattivo insegnante; il bambino nel grembo della madre dalla quale
dipende in maniera assoluta; il malato con gli occhi sbarrati dall’orrore della
possibile morte che lo incalza; la persona afflitta dalla terribile solitudine
che gli fa preferire il nulla della morte; i malati oncologici di Nuoro che da
mesi si battono coraggiosamente per il diritto alla salute.
Diventare riparo per questa umanità dolente significa
subire la più entusiasmante delle trasformazioni, quella che ci fa sentire
autenticamente vivi quando pensavamo di vivere e invece si moriva ogni giorno.
Essere compagni della fragilità, vivere in simbiosi con essa, questo può
salvarci e riportarci al centro dell’umanità. Colui che soffre ci chiama, ci
appartiene e alla fine ci salva.
Nel 2017 moriva a 50 anni Pierluigi Cappello, poeta
friulano, costretto su una sedia a rotelle fin da quando aveva 16 anni a causa
di un incidente, ebbene leggere le poesie di questo essere “fragile” mi ha reso
più forte e ha contribuito a salvarmi la vita o meglio a salvarla dall’assenza
di senso:
Da lontano
Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di
silenzio,
e non c’è più posto per le parole
e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo un nome amato
per comporre la sua figura; allora la notte diventa
cielo
nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo,
spezzato.
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