giovedì 14 aprile 2022

Elogio della fragilità - Amedeo Spagnuolo


Ci comportiamo un po’ tutti come se fossimo ormai fuori dalle catastrofi che ci hanno colpito negli ultimi due anni, prima la pandemia poi la guerra, eppure ci siamo ancora dentro fino al collo.

Certo non vediamo più per le strade i camion militari pieni zeppi di bare, ma la pandemia è ancora presente e infetta molto, nonostante da aprile le regole cambieranno e tutti vivremo, probabilmente, nell’illusione che ormai ne siamo fuori, una sorta di “liberi tutti” che onestamente non mi lascia tranquillo. Per non parlare poi delle vicende belliche scoppiate in Europa, noi che eravamo abituati ad assistere alle guerre degli altri, le guerre dei poveri, combattute in continenti devastati dalla fame e dalle carestie.

Ebbene, ci siamo resi conto che nemmeno noi, quelli del “primo mondo”, sono immuni dai pericoli della guerra, addirittura di una terza guerra mondiale se non addirittura di una guerra nucleare che metterebbe fine, in maniera definitiva, ai tormenti della nostra specie. Ma non intendo parlare di argomenti che vengono affrontati ogni giorno da centinaia di specialisti, tutti concentrati a spiegare a noi, poveri ignoranti, ciò che ci sta succedendo e ciò che ancora potrebbe succedere.

Ciò che vorrei provare a fare è sviluppare una riflessione su cosa potremmo, anzi dovremmo imparare da questi terribili eventi che da oltre due anni stanno devastando la vita di tutti noi. Inizialmente, in maniera un po’ troppo ottimistica, molti commentatori ci dicevano che dalla pandemia sarebbe uscito fuori sicuramente un mondo migliore, più solidale, meno egoista, insomma le persone avrebbero finalmente capito che il profitto non è al centro del mondo, al centro bisogna riportare le emozioni, i sentimenti, insomma ciò che fa dell’uomo un uomo.

Poi abbiamo visto tutti come sono andate le cose e come stanno andando, inesorabilmente abbiamo indossato di nuovo tutti l’abito del piccolo uomo egoista e arrogante che vede gli altri e la natura come oggetti da sfruttare a proprio uso e consumo. Il gran finale di tutto ciò, orrendo e grottesco e che stiamo ancora vivendo si è poi concretizzato nella sporca guerra di Putin che ha deciso di bombardare vecchi e bambini, ospedali e case per anziani, scuole e centri commerciali, così come avevano già fatto d’altronde, durante il corso della storia, altri piccoli uomini: americani, inglesi, francesi, italiani ecc.

È ancora possibile porre rimedio a tutto ciò? Si è ancora possibile, o meglio, sarebbe possibile se si riuscisse a divulgare una nuova filosofia di vita che s’ispira a quello che già altri, in tempi meno recenti, hanno definito “l’elogio della fragilità”. Solo se l’uomo abbandona la perversa filosofia dominante in questi giorni bui e tempestosi ovvero quel pensiero che grazie a lunghi anni di capitalismo rampante è stato ficcato con forza nelle nostre teste e nelle teste dei nostri ragazzi secondo il quale ciò che conta è essere al centro del mondo, avere migliaia di followers, apparire belli e perfetti e vergognarsi dell’imperfezione e della fragilità.

Al contrario, ci salviamo solo se finalmente, con coraggio e consapevolezza, impariamo a prendere per mano, attraverso l’amore, la fragilità e il dolore, ce ne facciamo carico e abbandoniamo l’ambiziosa pretesa di autosufficienza di chi ambisce alla “perfezione”, all’illusione del successo virtuale decretato da masse adoranti di “seguaci” mentre, inesorabilmente, tutto ciò ci conduce solo in una triste condizione di amara solitudine. Dobbiamo imparare a caricare sulle nostre spalle il dolore degli altri se vogliamo sperare di renderlo accettabile e superabile.

Dobbiamo imparare a sostituire, nella nostra vita, il protagonismo esasperato ed egoista con il prendersi cura della fragilità: il bambino cosiddetto “speciale” preso di mira e umiliato dai bulletti e da qualche cattivo insegnante; il bambino nel grembo della madre dalla quale dipende in maniera assoluta; il malato con gli occhi sbarrati dall’orrore della possibile morte che lo incalza; la persona afflitta dalla terribile solitudine che gli fa preferire il nulla della morte; i malati oncologici di Nuoro che da mesi si battono coraggiosamente per il diritto alla salute.

Diventare riparo per questa umanità dolente significa subire la più entusiasmante delle trasformazioni, quella che ci fa sentire autenticamente vivi quando pensavamo di vivere e invece si moriva ogni giorno. Essere compagni della fragilità, vivere in simbiosi con essa, questo può salvarci e riportarci al centro dell’umanità. Colui che soffre ci chiama, ci appartiene e alla fine ci salva.

Nel 2017 moriva a 50 anni Pierluigi Cappello, poeta friulano, costretto su una sedia a rotelle fin da quando aveva 16 anni a causa di un incidente, ebbene leggere le poesie di questo essere “fragile” mi ha reso più forte e ha contribuito a salvarmi la vita o meglio a salvarla dall’assenza di senso:

Da lontano

Qualche volta, piano piano, quando la notte

si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio,

e non c’è più posto per le parole

e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno

come una perla intorno al singolo grano di sabbia,

una lettera alla volta pronunciamo un nome amato

per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo

nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato.

da qui

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