mercoledì 6 aprile 2022

Plasmaterapia, De Donno aveva ragione. Studio USA conferma che la terapia funziona - Lorenzo Poli


«La terapia con il plasma costa poco, funziona benissimo, non rende miliardari. E io sono un medico di campagna, non un azionista di Big Pharma» disse nel giugno 2020 in un’intervista al quotidiano La Verità il dottor Giuseppe De Donno, allora primario di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma di Mantova,

Durante il primo lockdown, due ospedali, il Carlo Poma di Mantova e il San Matteo di Pavia, sperimentarono la somministrazione di plasma a malati appena contagiati. Lo studio, iniziato il 17 marzo e concluso l’8 maggio 2020, aveva coinvolto 46 pazienti ricoverati nei due ospedali con difficoltà di respirazione tali da necessitare supporto di ossigeno o intubazione. I medici notarono che, trattandoli con plasma di pazienti guariti, aggiungendolo a colture cellulari, lo sviluppo del virus veniva progressivamente annientato. Un segno che lasciava ben sperare e dimostrava la presenza di anticorpi neutralizzanti.

Quando è cominciata la sperimentazione, sulla base dei dati ministeriali, la mortalità dei pazienti in terapia intensiva era tra il 13 e il 20%. Utilizzando questa tecnica, si leggeva sulla rivista scientifica Haematologica, «la mortalità si è ridotta al 6%. In altre parole, da 1 decesso atteso ogni 6 pazienti, se n’è verificato 1 ogni 16. Contemporaneamente, si è constatato che anche gli altri parametri subivano miglioramenti considerevoli: i valori del distress respiratorio miglioravano entro la prima settimana e i tre parametri fissati per l’infezione diminuivano in maniera altrettanto importante. Il risultato più rilevante è stato quello di una riduzione della mortalità assoluta del 9%».

De Donno, in sostanza, utilizzò la terapia con il plasma iperimmune “convalescente” per trattare i malati di Covid, che guarirono nel 90% dei casi. Si è trattato di un successo che tutto il mondo gli stava riconoscendo, a tal punto da diventare esempio di protocollo per molti Stati europei e americani. Nonostante arrivassero richieste forti dall’estero per l’approvazione di questa cura, l’Italia non ha colto l’opportunità, omettendo il fatto che dopo le prime ricerche cliniche sono partiti centinaia di studi controllati sul plasma.

La paternità del primo studio certificata da una registrazione importante nel mondo occidentale è stata di Mantova e di Pavia e questo ha aperto l’era del “plasma convalescente”. Nonostante le evidenze cliniche fossero state importantissime, la plasmaterapia in funzione anti-Covid ideata da De Donno venne messa all’angolo. Il Ministero ha concesso un’altra sperimentazione all’Ospedale di Pisa. Come disse De Donno, i motivi non sono mai stati scientifici, ma erano da ricercare in altro ambito.

L’Aifa promosse uno studio nazionale denominato Tsunami, con l’obiettivo di «valutare con opportuno rigore metodologico l’efficacia e la sicurezza della terapia». Secondo un comunicato dell’Agenzia del Farmaco dell’8 aprile 2021 «non è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa dell’end-point– ovvero della “necessità di ventilazione meccanica invasiva o decesso entro 30 giorni dalla data di randomizzazione1” – tra il gruppo trattato con plasma e quello trattato con terapia standard».

Nel complesso TSUNAMI non ha quindi evidenziato un beneficio del plasma in termini di riduzione del rischio di peggioramento respiratorio o morte nei primi trenta giorni2. Gli esperti aggiunsero che i risultati erano in linea con quelli della «letteratura internazionale, prevalentemente negativa, fatta eccezione per casistiche di pazienti trattati molto precocemente con plasma ad alto titolo».

Nel frattempo la cura al plasma iperimmune veniva attaccata violentemente in TV da molti esperti ed esponenti della comunità scientifica che delegittimavano la terapia di De Donno (da Burioni a Ricciardi), mentre altrettanti esperti non invitati in TV avallavano le ricerche di De Donno e affermavano il contrario.

Eppure la pratica medica e clinica diceva altro; grazie alla plasmaterapia, De Donno è riuscito a salvare tante vite. Essendo convito della validità di questa cura, stava lavorando per un centro ricerca.

Giuseppe De Donno, pioniere della terapia con il plasma iperimmune, fu osteggiato e si ritirò a fare il medico di base, per poi togliersi la vita il 27 luglio del 2021.

Ora uno studio finanziato dal Dipartimento della Difesa americano e dai National Institutes of Health (Nih), l’agenzia governativa che si occupa di ricerca medica, conferma che aveva ragione.

Le principali conclusioni dello studio appena pubblicato su The New England Journal of Medicine (Nejm), tra le riviste mediche più autorevoli al mondo, sono:

·         «Nei partecipanti, pazienti affetti da Covid-19, la maggior parte dei quali non vaccinati, la somministrazione di plasma convalescente entro 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi ha ridotto il rischio di progressione della malattia che porta al ricovero in ospedale».

·         I monoclonali «sono costosi da produrre, richiedono tempo per l’approvazione e potrebbero non essere ampiamente disponibili durante le condizioni di picco di Covid-19».

·         Il plasma convalescente Covid-19 «non ha limiti di brevetto ed è relativamente poco costoso da produrre, poiché molti singoli donatori possono fornire più unità»,

Questo ciò che hanno sottolineato i ricercatori, primo fra tutti David J. Sullivan della Bloomberg School of Public Health di Baltimora.

Infatti, per stessa ammissione di De Donno, il plasma iperimmune costava 80 euro a sacca e il rischio di contaminazione è di 1 a 20.000.000, ovvero inesistente.

Nello studio si legge che il plasma convalescente di Covid-19 svolge un ruolo fondamentale nel ridurre l’infiammazione polmonare in risposta all’infezione da Sars-CoV-2, che è il «motivo più comune per l’ospedalizzazione». In ospedale furono registrati tre soli decessi in partecipanti trattati con il plasma di controllo. Gli autori dello studio sottolineano che «il siero o il plasma immunitario sono stati usati in modo sicuro per il trattamento di malattie infettive per più di cento anni» e che risultati contrastanti «potrebbero essere dovuti alla mancanza di moderni progetti di studio, a piccole dimensioni del campione» così pure a una «somministrazione avvenuta troppo tempo dopo l’inizio della malattia».

A tal riguardo sembra che fin da subito il governo italiano abbia avuto l’intenzione di censurare la cura al plasma e abbia usato un doppio standard con la sperimentazione del plasma e con la sperimentazione di farmaci, i quali nella maggior parte dei casi sono stati usati silentemente anche laddove erano presenti gravissimi effetti collaterali. Ciò che sempre più sta emergendo è che le cure del Covid sono state impedite in tutti i modi, anche quando erano possibili.

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2119657

1[1] la randomizzazione consiste nell’attribuzione casuale di ogni paziente che man mano viene ammesso al gruppo dei casi in trattamento sperimentale oppure al gruppo di controllo (trattamento standard, placebo o altro trattamento di confronto).

2[1] https://www.iss.it/primo-piano/-/asset_publisher/3f4alMwzN1Z7/content/covid-19-studio-tsunami-il-plasma-non-riduce-il-rischio-di-peggioramento-respiratorio-o-morte

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