Dal palco Stella Morris, moglie di Julian Assange, e la giornalista investigativa Stefania Maurizi esorteranno i giornalisti presenti a difendere il fondatore di Wikileaks. Mentre per strada, un gruppo di attivisti di FREE ASSANGE Italia, diranno ai giornalisti che anche la loro libertà è a rischio.
Julian Assange, il giornalista investigativo australiano che ha rivelato i
crimini di guerra USA in Afghanistan e in Iraq e che da tre anni si trova
incarcerato a Londra, è decisamente una figura scomoda per il giornalismo
mainstream. Washington, che vuole estradare Assange e incarcerarlo per fino a
175 anni, ha da tempo fatto pressione sulle principali testate occidentali
perché non si occupino più del caso.
(Nella stessa maniera, Washington ha
fatto pressione anche sulla Corte Penale Internazionale perché non conduca
indagini sui possibili crimini dei soldati statunitensi in Afghanistan e in
Iraq.)
Così regna un quasi perfetto silenzio
stampa, mentre una enormità giudiziaria si sta compiendo, ovvero l’accettazione
di interventi giudiziari statunitensi, in tutto il mondo, per far tacere un
giornalista sgradito. Non importa la nazionalità di quel giornalista o il paese
in cui opera, gli Stati Uniti si sentiranno autorizzati in futuro, invocando il
caso Assange, ad acciuffarlo e a riportarlo in una loro galera, anche per tutta
la vita. E’ facile immaginare l’effetto intimidatorio su tutti i giornalisti.
Per rompere questo silenzio stampa, la
XVI edizione del Festival Internazionale del Giornalismo (Perugia dal 6 al 19
aprile) ha coraggiosamente messo in programma una puntata su “Assange e
WikiLeaks: processo alla liberà di informazione.” Parleranno Stella Morris,
avvocata e moglie del fondatore di WikiLeaks, la giornalista investigativa
Stefania Maurizi (del Fatto Quotidiano e, in passato, Espresso e La Repubblica)
e Joseph Farrell, ambasciatore del sito WikiLeaks nel mondo.
La puntata sarà oggi (sabato, 9 aprile)
alle ore 16 presso l’auditorium San Francesco al Prato.
I 600 giornalisti che
partecipano al Festival saranno anche “assaliti” per strada dagli attivisti
di FREE ASSANGE Italia che consegneranno loro un
appello appassionato di rompere il silenzio stampa sul caso Assange quando
torneranno nelle loro rispettive testate.
“Bisogna far conoscere ai lettori di ogni testata” – dicono gli
attivisti – che, con la persecuzione giudiziaria di Julian Assange, la stessa
libertà di informazione è sotto attacco.”
Ecco il testo del loro appello:
Gentilissime/i giornaliste e giornalisti,
siamo qui, al vostro Festival Internazionale del Giornalismo, per
parlarvi di un vostro collega, rinchiuso in condizioni terribili solo per aver
fatto il suo lavoro di giornalista investigativo, denunciando le malefatte e i
segreti inconfessabili di governi e potenti.
Stiamo parlando, naturalmente, di Julian Assange.
In questi drammatici giorni, riempiti di immagini di
distruzione, di morte e di disperazione in Ucraina, vi vediamo tutti intenti a
denunciare eccidi e crimini di guerra. Proprio ciò che Julian Assange
ha dedicato la sua vita a svelare e a castigare.
Con una differenza, però. Voi svelate e castigate i crimini di
guerra della Russia, paese che il governo statunitense ha qualificato
di “nemico”. Il vostro è dunque un lavoro giornalistico “al servizio della
verità”, come amate proclamare – ma di una verità comoda.
Assange, invece, ha svelato e castigato i crimini di guerra della
NATO in Afghanistan e in Iraq – quelli di cui il governo
statunitense ha detto che non bisognava parlare e sui quali la Corte
Penale Internazionale non deve indagare. Il lavoro giornalistico di
Julian, dunque, è stato anch’esso “al servizio della verità” – ma di una verità scomoda.
Talmente scomoda che il Dipartimento della
Giustizia statunitense considera la diffusione di quelle
verità meritevole di fino a 175 anni di carcere ai termini dell’Espionage
Act del 1917.
Ma dove eravate voi, allora, mentre Julian Assange denunciava i
crimini di guerra commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq?
Non abbiamo visto la solerzia e l’indignazione che oggi mostrate
nei confronti della Russia, quando a commettere le barbarie eravamo noi (i buoni,
i democratici). Non abbiamo visto né dirette né maratone per gli
orrori che noi e i nostri alleati abbiamo commessi in passato in Afghanistan, in Iraq,
in Libia e oggi in Siria, in Palestina, nello Yemen
e nel Sahel.
C’è stata, però, una persona che, quasi in solitaria, ha
osato denunciare questi orrori, portando alla luce del sole molteplici
crimini – comprese torture che fanno venire la nausea solo a sentirle nominare
– commessi da noi, i buoni. Questa persona ha addirittura costruito un sito
ingegnoso, Wikileaks, per poter raccogliere anonimamente le prove dei
crimini commessi. Ed è per questo che quella persona è
perseguitata, dagli Stati Uniti, sin dal 2010, quando pubblicò il famoso video
“Collateral Murder”, quel macabro video game.
Dal 2012 Assange è privo della sua libertà e dall’11 aprile del
2019, è rinchiuso in attesa di giudizio in un carcere di massima
sicurezza, destinato agli autori di delitti efferati, dove subisce
le torture denunciate dal relatore ONU Nils Melzer e da oltre 60 medici
esperti in torture.
E voi? Voi, da quale parte state?
Dopo aver attinto a piene mani dalle sue rivelazioni, almeno in un
primo tempo, non potete pronunciare oggi una sola parola in difesa di
Julian Assange? Dopo aver contribuito alla sua demolizione mediatica agli occhi
dell’opinione pubblica, non potete spendere oggi una sola parola per
riabilitarlo? Ad esempio, informando i vostri lettori – che hanno letto i
vostri articoli accusando Assange di stupro – che si era trattata
di una montatura ormai archiviata?
Non potete dare rilievo al piano della
CIA, rivelato da Yahoo
News, di rapire Assange o di ucciderlo?
E biasimare poi la sua estradizione in un paese che ha pensato
di assassinarlo?
Non potete spiegare ai vostri lettori che non esiste una sola
rivelazione di WikiLeaks che sia risultata falsa, non c’è una sola rivelazione
che abbia messo a repentaglio la sicurezza di un Paese o quella di un
individuo. L’unica sicurezza che è stata messa in discussione è stata quella
dell’Occidente di poter continuare a commettere crimini di guerra impunemente.
Non sono questi “fatti di rilievo” di cui sentite l’obbligo di scrivere, per
rispetto della vostra professione?
Il prossimo 20 aprile, la ministra degli interni britannica Priti Patel si
troverà sul suo tavolo l’ordine di estradizione di Assange verso gli Stati
Uniti, che lo vogliono condannare fino a 175 anni di carcere
duro: non potrà più vedere né familiari né gli avvocati, in pratica
verrebbe sepolto vivo. Un vostro collega, sepolto vivo per aver fatto il suo
lavoro di giornalista investigativo: non vi turba questo pensiero?
È tempo che prendiate le sue difese e chiediate la sua
liberazione. Lo dovete a noi, a tutti i cittadini di oggi e a quelli di domani,
perché se Julian Assange verrà estradato o se dovesse morire prima in carcere,
sarà la morte anche dell’informazione libera, la morte del nostro
#DirittoDiSapere cosa fanno realmente coloro che ci governano.
Un’ultima parola. Se Julian non sarà liberato, neanche voi sarete
liberi. Se domani voi venite in possesso di informazioni segrete che
rivelano crimini di guerra commessi da un paese della NATO, ricordando Julian
vi sentirete costretti a cestinare quelle informazioni e a lasciar
impunite le persone implicate. In una parola, vi sentirete
costretti ad una vita di complicità.
E’ dunque anche per la VOSTRA libertà che vi chiediamo di
intervenire a favore della liberazione di Julian Assange.
FREE
ASSANGE Italia
info@freeasangeitalia.it
https://twitter.com/Assange_Italia
https://t.me/FreeAssangeItalia https://www.facebook.com/FreeAssangelTA/
Nessun commento:
Posta un commento