lunedì 18 aprile 2022

Il caso Assange irrompe al Festival di Giornalismo di Perugia - Patrick Boylan

 Dal palco Stella Morris, moglie di Julian Assange, e la giornalista investigativa Stefania Maurizi esorteranno i giornalisti presenti a difendere il fondatore di Wikileaks. Mentre per strada, un gruppo di attivisti di FREE ASSANGE Italia, diranno ai giornalisti che anche la loro libertà è a rischio.


Julian Assange, il giornalista investigativo australiano che ha rivelato i crimini di guerra USA in Afghanistan e in Iraq e che da tre anni si trova incarcerato a Londra, è decisamente una figura scomoda per il giornalismo mainstream. Washington, che vuole estradare Assange e incarcerarlo per fino a 175 anni, ha da tempo fatto pressione sulle principali testate occidentali perché non si occupino più del caso.

(Nella stessa maniera, Washington ha fatto pressione anche sulla Corte Penale Internazionale perché non conduca indagini sui possibili crimini dei soldati statunitensi in Afghanistan e in Iraq.)

Così regna un quasi perfetto silenzio stampa, mentre una enormità giudiziaria si sta compiendo, ovvero l’accettazione di interventi giudiziari statunitensi, in tutto il mondo, per far tacere un giornalista sgradito. Non importa la nazionalità di quel giornalista o il paese in cui opera, gli Stati Uniti si sentiranno autorizzati in futuro, invocando il caso Assange, ad acciuffarlo e a riportarlo in una loro galera, anche per tutta la vita. E’ facile immaginare l’effetto intimidatorio su tutti i giornalisti.

Per rompere questo silenzio stampa, la XVI edizione del Festival Internazionale del Giornalismo (Perugia dal 6 al 19 aprile) ha coraggiosamente messo in programma una puntata su “Assange e WikiLeaks: processo alla liberà di informazione.” Parleranno Stella Morris, avvocata e moglie del fondatore di WikiLeaks, la giornalista investigativa Stefania Maurizi (del Fatto Quotidiano e, in passato, Espresso e La Repubblica) e Joseph Farrell, ambasciatore del sito WikiLeaks nel mondo.

La puntata sarà oggi (sabato, 9 aprile) alle ore 16 presso l’auditorium San Francesco al Prato.

I 600 giornalisti che partecipano al Festival saranno anche “assaliti” per strada dagli attivisti di FREE ASSANGE Italia che consegneranno loro un appello appassionato di rompere il silenzio stampa sul caso Assange quando torneranno nelle loro rispettive testate.

“Bisogna far conoscere ai lettori di ogni testata” – dicono gli attivisti – che, con la persecuzione giudiziaria di Julian Assange, la stessa libertà di informazione è sotto attacco.”

Ecco il testo del loro appello:


Gentilissime/i giornaliste e giornalisti,

siamo qui, al vostro Festival Internazionale del Giornalismo, per parlarvi di un vostro collega, rinchiuso in condizioni terribili solo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo, denunciando le malefatte e i segreti inconfessabili di governi e potenti.

Stiamo parlando, naturalmente, di Julian Assange.

In questi drammatici giorni, riempiti di immagini di distruzione, di morte e di disperazione in Ucraina, vi vediamo tutti intenti a denunciare eccidi e crimini di guerra. Proprio ciò che Julian Assange ha dedicato la sua vita a svelare e a castigare.

Con una differenza, però. Voi svelate e castigate i crimini di guerra della Russia, paese che il governo statunitense ha qualificato di “nemico”. Il vostro è dunque un lavoro giornalistico “al servizio della verità”, come amate proclamare – ma di una verità comoda.

Assange, invece, ha svelato e castigato i crimini di guerra della NATO in Afghanistan e in Iraq – quelli di cui il governo statunitense ha detto che non bisognava parlare e sui quali la Corte Penale Internazionale non deve indagare. Il lavoro giornalistico di Julian, dunque, è stato anch’esso “al servizio della verità” – ma di una verità scomoda.

Talmente scomoda che il Dipartimento della Giustizia statunitense considera la diffusione di quelle verità meritevole di fino a 175 anni di carcere ai termini dell’Espionage Act del 1917.

Ma dove eravate voi, allora, mentre Julian Assange denunciava i crimini di guerra commessi dall’Occidente in Afghanistan e in Iraq?

Non abbiamo visto la solerzia e l’indignazione che oggi mostrate nei confronti della Russia, quando a commettere le barbarie eravamo noi (i buoni, i democratici). Non abbiamo visto né dirette né maratone per gli orrori che noi e i nostri alleati abbiamo commessi in passato in Afghanistan, in Iraq, in Libia e oggi in Siria, in Palestina, nello Yemen e nel Sahel.

C’è stata, però, una persona che, quasi in solitaria, ha osato denunciare questi orrori, portando alla luce del sole molteplici crimini – comprese torture che fanno venire la nausea solo a sentirle nominare – commessi da noii buoni. Questa persona ha addirittura costruito un sito ingegnoso, Wikileaks, per poter raccogliere anonimamente le prove dei crimini commessi. Ed è per questo che quella persona è perseguitata, dagli Stati Uniti, sin dal 2010, quando pubblicò il famoso video “Collateral Murder”, quel macabro video game.

Dal 2012 Assange è privo della sua libertà e dall’11 aprile del 2019, è rinchiuso in attesa di giudizio in un carcere di massima sicurezza, destinato agli autori di delitti efferati, dove subisce le torture denunciate dal relatore ONU Nils Melzer e da oltre 60 medici esperti in torture.

E voi? Voi, da quale parte state?

Dopo aver attinto a piene mani dalle sue rivelazioni, almeno in un primo tempo, non potete pronunciare oggi una sola parola in difesa di Julian Assange? Dopo aver contribuito alla sua demolizione mediatica agli occhi dell’opinione pubblica, non potete spendere oggi una sola parola per riabilitarlo? Ad esempio, informando i vostri lettori – che hanno letto i vostri articoli accusando Assange di stupro – che si era trattata di una montatura ormai archiviata?

Non potete dare rilievo al piano della CIA, rivelato da Yahoo News, di rapire Assange o di ucciderlo? E biasimare poi la sua estradizione in un paese che ha pensato di assassinarlo?

Non potete spiegare ai vostri lettori che non esiste una sola rivelazione di WikiLeaks che sia risultata falsa, non c’è una sola rivelazione che abbia messo a repentaglio la sicurezza di un Paese o quella di un individuo. L’unica sicurezza che è stata messa in discussione è stata quella dell’Occidente di poter continuare a commettere crimini di guerra impunemente.

Non sono questi “fatti di rilievo” di cui sentite l’obbligo di scrivere, per rispetto della vostra professione?

Il prossimo 20 aprile, la ministra degli interni britannica Priti Patel si troverà sul suo tavolo l’ordine di estradizione di Assange verso gli Stati Uniti, che lo vogliono condannare fino a 175 anni di carcere duro: non potrà più vedere né familiari né gli avvocati, in pratica verrebbe sepolto vivo. Un vostro collega, sepolto vivo per aver fatto il suo lavoro di giornalista investigativo: non vi turba questo pensiero?

È tempo che prendiate le sue difese e chiediate la sua liberazione. Lo dovete a noi, a tutti i cittadini di oggi e a quelli di domani, perché se Julian Assange verrà estradato o se dovesse morire prima in carcere, sarà la morte anche dell’informazione libera, la morte del nostro #DirittoDiSapere cosa fanno realmente coloro che ci governano.

Un’ultima parola. Se Julian non sarà liberato, neanche voi sarete liberi. Se domani voi venite in possesso di informazioni segrete che rivelano crimini di guerra commessi da un paese della NATO, ricordando Julian vi sentirete costretti a cestinare quelle informazioni e a lasciar impunite le persone implicate. In una parola, vi sentirete costretti ad una vita di complicità.

E’ dunque anche per la VOSTRA libertà che vi chiediamo di intervenire a favore della liberazione di Julian Assange.

FREE ASSANGE Italia

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