venerdì 30 settembre 2022

Vita e destino - Stefano Massini

 

Giovanotti, fatevi un goccio! - Francesco Gesualdi

 

La notizia ha fatto subito il giro del mondo perché contravviene a ogni regola di buonsenso sanitario e sociale. In Giappone, la National Tax Agency, il corrispettivo della nostra Agenzia delle Entrate, ha lanciato un concorso a premi riservato ai pubblicitari  fra i 20 e i 39 anni, affinché elaborino proposte per promuovere il consumo di alcolici fra i giovani.

Il bando, aperto dal 14 agosto al 9 settembre, chiede di elaborare non solo messaggi promozionali accattivanti, ma anche di ideare contenitori e forme di etichettatura  ad alta capacità seducente.

In particolare si sollecita la creazione di messaggi capaci di promuovere il consumo di bevande alcoliche in ambito domestico, ricordando che si possono sempre ricevere comodamente a casa propria tramite rider. E per ottenere un’alta partecipazione al concorso, l’Agenzia ha fatto sapere che  le migliori proposte  saranno premiate pubblicamente nel corso di una cerimonia organizzata   a   Tokyo il prossimo 10 novembre. In più  sono previste forme di sostegno  pubblico per la realizzazione delle proposte più convincenti. 

L’Agenzia delle Entrate Nipponica sostiene di avere assunto un’iniziativa tanto bizzarra per arrestare la perdita di entrate fiscali sulle vendite di alcolici che da una decina di anni registrano un calo costante.

Per la precisione in Giappone il consumo di bevande alcoliche, birra compresa, è passato da 100 litri a persona nel 1995 a 75 nel 2020 con perdite significative da parte dell’erario. Lo dimostra il fatto che mentre nel 2011 gli introiti sugli alcolici rappresentavano il 3% delle entrate fiscali, nel 1980 addirittura il 5%, nel 2020 contribuivano appena  per l’1,7%.

L’anno horribilis è stato proprio il 2020 che ha fatto registrare una perdita di oltre 8 miliardi di dollari alle casse pubbliche. E gli esperti non hanno dubbi: la colpa è del Covid che non solo ha impedito alla gente di frequentare i locali pubblici, ma quel che è peggio l’ha costretta a lavorare da casa. In Giappone uno dei momenti in cui si assumono alcolici è nel dopolavoro quando ci si intrattiene per fare quattro chiacchiere con i colleghi.

Ma il lavoro a distanza imposto dal Covid ha fatto venire meno quest’occasione e i consumi di alcolici sono crollati. Il peggio per l’erario è che ragioni di tipo energetico e climatico rischiano di fare del lavoro a distanza un fenomeno permanente che trascina con se la cancellazione del tradizionale incontro fra colleghi accompagnato da un bicchiere di birra.

Nessuno saprà mai se dietro all’iniziativa della National Tax Agency c’è la mano lunga delle lobby giapponese delle bevande alcoliche che sarà la prima a beneficiare di una pubblicità più aggressiva. Ma anche se  andasse a beneficio esclusivo dell’erario, ci sarebbe ancora molto da discutere sulla liceità dell’iniziativa. 

Ciò che proprio non torna è che pur di far cassa lo stato promuova il consumo di una sostanza tossica, che può far perdere la padronanza di sé e può indurre dipendenza. In Italia lo abbiamo già messo in evidenza quando abbiamo condotto la nostra battaglia contro la pubblicità del gioco d’azzardo: non c’è ragione finanziaria che possa giustificare la promozione di pratiche e sostanze che danneggiano la salute delle persone, l’armonia delle famiglie, l’equilibrio sociale.

Tanto più che per lo Stato si tratta sempre di una vittoria di Pirro: quanto incassa sotto forma di imposta sui consumi nocivi lo deve rispendere, forse moltiplicato, sotto forma di spesa sanitaria, di spesa sociale e di spesa per ordine pubblico, utile a rimediare  i danni creati dalle dipendenze.

Oltre che per motivazioni di rispetto umano e sociale, la scelta giapponese non può essere approvata anche per una ragione politica che ha a che fare con la funzione del prelievo fiscale.

Il fisco, e la nostra Costituzione lo dice bene, non può essere visto solo come un mezzo per garantire denaro alle casse pubbliche. Questa funzione deve sempre conciliarsi almeno con altre due finalità: quella di solidarietà e quella di redistribuzione della ricchezza in un’ottica di equità.

Non a caso la nostra Costituzione indica come criterio principe la progressività, da attuarsi non solo sulle forme di prelievo diretto, ma anche indiretto riguardanti i consumi. Un criterio che in tempo di campagna elettorale tutte le forze politiche farebbero bene a tenere presente invece di lasciarsi a dare a promesse mirabolanti che oltre a essere fasulle sul piano della sostenibilità finanziaria sono palesemente contro la Costituzione.

Ma oggi che la crisi ambientale è evidente in tutta la sua gravità, è urgente attribuire al fisco anche la funzione di orientamento dei comportamenti affinché famiglie e imprese compiano scelte rispettose dell’ambiente.

Le imposte sui consumi vanno modulate in modo da incoraggiare i comportamenti virtuosi e scoraggiare quelli dannosi. In questo solco, ad esempio, si iscrive la tassa sul carbonio, più nota come ETS, imposta alle imprese in ambito europeo per contenere le emissioni di anidride carbonica. Ma molte altre varianti andrebbero introdotte per scoraggiare i consumi superflui e incoraggiare, al contrario, la preferenza per gli imballaggi leggeri e il riciclo dei materiali.

Alla fine la grande decisione che dobbiamo prendere è sempre la stessa: dobbiamo scegliere se privilegiare  denaro e  potere o  persone e  creato. Una scelta che si impone soprattutto quando parliamo di tasse e di spesa pubblica.

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giovedì 29 settembre 2022

Sullo scandalo dell'antisemitismo nel Labour: "C'è stata una manipolazione politica" - David Hearst


Geoffrey Bindman è uno dei più illustri avvocati britannici nel campo dei diritti umani; è egli stesso ebreo e ha vissuto in prima persona l'esperienza dell'antisemitismo; è stato per tutta la vita membro del Partito Laburista ed è amico dei due principali protagonisti di questa battaglia, l'ex leader Jeremy Corbyn e il suo successore Keir Starmer, che tanto ha fatto per contrapporsi all’ex leader.

La caccia alle streghe    Le denunce di antisemitismo contro militanti del partito si stanno ancora moltiplicando. Sebbene ciò sia avvenuto già prima che Starmer assumesse la carica di leader, le accuse sono rivolte ai militanti ebrei che criticano Israele, molti dei quali sono membri di Jewish Voice for Labour (JVL), di cui Bindman stesso è membro. JVL è a conoscenza di 54 militanti ebrei sottoposti a procedimenti disciplinari in relazione ad accuse di antisemitismo. Di questi, 47 sono membri effettivi della JVL. Tutti gli 11 membri del comitato esecutivo della JVL hanno dovuto affrontare azioni disciplinari, nove delle quali in risposta ad accuse di antisemitismo. Come ha osservato il cancelliere ombra di Corbyn, John McDonnell, in una lettera a Starmer e a David Evans, segretario generale del Labour, essere un membro della JVL significa avere 35 volte più probabilità di essere accusato di antisemitismo rispetto a qualsiasi altro membro del partito. Sette sono stati espulsi, uno reintegrato. Quattordici sono stati autoesclusi a causa dell'appartenenza a "Labour Against the Witchhunt" (Laburisti contro la caccia alle streghe), un'organizzazione che si batte contro quelle che sostiene essere accuse di antisemitismo politicamente motivate e che è stata proscritta dal partito l'anno scorso. Alcuni sono stati "sospesi in modo punitivo" e altri hanno ricevuto un "richiamo alla condotta".

Per Bindman, l'intero processo, in particolare il deferimento del partito davanti alla Commissione per l'Uguaglianza e i Diritti Umani (EHRC=Equality and Human Rights Commission),   la quale ha poi  riscontrato una violazione della legge sull’Uguaglianza (1) da parte del Labour di Corbyn, è stato gestito in modo tendenzioso.

"C'erano buone ragioni per mettere in discussione le procedure del partito per la gestione delle denunce di discriminazione razziale, compreso l'antisemitismo, e il partito ha giustamente provveduto a cambiarle. Ma non c'erano prove concrete che il partito stesso avesse violato la Legge sull'Uguaglianza", spiega a Middle East Eye.   "La cosa peggiore è che il partito ha preso tutto con filosofia. Violare la legge è una cosa seria. Hanno accettato il giudizio quando avrebbero dovuto invece respingerlo".

Ma andiamo per ordine: che cos'è l'antisemitismo secondo Bindman?   La definizione di Bindman è come quella del dizionario Oxford: "ostilità o pregiudizio contro gli ebrei in quanto ebrei".  "Per me è questo. Purtroppo, nella nozione di antisemitismo si è insinuata l'idea di ostilità nei confronti dello Stato di Israele, che credo sia stata introdotta in modo piuttosto cinico da persone che sostengono fortemente Israele, compreso lo stesso governo israeliano, allo scopo di reprimere le critiche alle politiche di Israele riguardo al trattamento dei palestinesi".

Bindman non ha solo studiato l'antisemitismo per tutta la vita. Lo ha sperimentato. Quando andava a scuola nel nord-est della Gran Bretagna,(anni ‘50, NdR) l'antisemitismo era moneta corrente. Si dava per scontato che gli ebrei fossero una minoranza culturale, generalmente da disapprovare. "Eravamo trattati con sospetto e con una certa dose di paura".  Durante la sua infanzia, Bindman fece parte della comunità ebraica: il nonno era ministro della sinagoga e lui seguì una formazione intensiva per il suo Bar Mitzvah. A scuola, nella Royal Grammar School di Newcastle, i ragazzi ebrei non andavano a pregare, ma avevano una stanza separata per il loro culto.

La emarginazione Bindman la avvertì quando iniziò a muovere i primi passi come avvocato, fine anni ‘50. Aveva conosciuto un socio anziano di un importante studio legale di Newcastle, che accolse a braccia aperte il promettente laureato di Oxford. Lo convinse a rinunciare al tirocinio presso l'Ordine degli Avvocati per diventare subito avvocato nel suo studio.  A settembre, quando avrebbe dovuto iniziare, lo zio di Bindman, anch'egli avvocato, gli chiese: "Lo sa che sei ebreo?". A Bindman, la cui famiglia era molto conosciuta a livello locale, non era venuto in mente di pensarci. “Così, mentre uscivo dall'ufficio dopo una chiacchierata preliminare con il mio nuovo capo, gli ho detto: "Lei sa che sono ebreo, vero?". E lui rispose, e ricordo le sue parole: 'Certo che lo sapevo. Ma visto che ne ha parlato, forse dovrei mettere in chiaro una cosa: lei non potrà mai diventare socio di questo studio". Me ne andai e non lo vidi mai più". 

"Ho studiato molto l'antisemitismo. Oggi ne abbiamo pochissimo, se ci atteniamo a come lo definisce la legge. Tutte le barriere, le restrizioni formali, gli studi che escludevano del tutto gli ebrei, e ce n'erano diversi, sono scomparsi. Da allora, nella mia vita quotidiana ho incontrato raramente gravi episodi di antisemitismo. Ma sono molto sensibile ai segni sottili, come le espressioni facciali di disapprovazione, che interpreto come antisemiti".

Bindman ha avuto una storia lunga nel Partito Laburista, come consigliere, vice leader del consiglio di Camden e presidente della Society of Labour Lawyers (Associazione degli Avvocati Laburisti). Ha assistito diverse figure di spicco del partito, anche se non Corbyn. "Ho avuto uno stretto coinvolgimento con il Partito Laburista per molti anni e posso dire di non aver mai avvertito l'antisemitismo tra i compagni di partito o nelle riunioni laburiste". Non è il solo a esprimere questo giudizio.

L'idea che un ebreo sia antisemita è, nelle sue parole, "piuttosto difficile da digerire". Bindman non nega che l'antisemitismo esista nel partito, come ovunque, ma concorda con la valutazione di Corbyn in risposta al rapporto dell'EHCR, e cioè che in tale rapporto il problema dell'antisemitismo era stato esagerato - una valutazione che ha determinato l'espulsione di Corbyn dal gruppo parlamentare laburista. "Egli riteneva che il problema fosse stato ingigantito all'interno del Partito Laburista. Non ha detto che l'antisemitismo in sé non fosse molto importante, ma ha detto che non era così diffuso come era stato detto e su questo ha assolutamente ragione.  "Si possono esaminare tutte le statistiche e gli studi che sono stati fatti. Se si guardano i fatti, non si può giustificare ciò che Keir Starmer ha detto o fatto, a meno che non li abbia usati come pretesto. Una strategia politica. Questo è tutto ciò che posso dire".

Jeremy non è antisemita  Per quanto riguarda Corbyn, Bindman è categorico nel suo giudizio: "Jeremy non è antisemita".  Bindman si rimette a Geoffrey Alderman, nel suo ricordo del sostegno di Corbyn alla comunità ebraica nel suo collegio elettorale.  "Nel 1987 la Sinagoga di West London si rivolse al Consiglio di Islington con una proposta sorprendente: vendere il suo cimitero originario a dei promotori immobiliari, distruggendo le lapidi e scavando e seppellendo nuovamente i corpi che giacevano sotto di esse", ha scritto Alderman sullo Spectator. Questo cimitero (risalente al 1840) non era solo di grande interesse storico e architettonico: secondo gli ebrei ortodossi, la distruzione deliberata di un cimitero è sacrilega". Così, quando il Consiglio di Islington accolse la domanda di costruzione, fu lanciata una campagna guidata dagli ebrei della zona, che alla fine ebbe successo, per far revocare la decisione. Io partecipai a questa campagna. E Jeremy Corbyn pure.   "A quel tempo, l'allora Presidente del Consiglio di Islington (1982-92), la cui decisione di permettere la distruzione del cimitero fu alla fine annullata, era nientemeno che Margaret Hodge (1) (anche se non è chiaro se fosse personalmente a favore della proposta)".

Corbyn non ha mai usato questo e molti altri atti compiuti a favore della comunità ebraica del suo collegio elettorale per difendersi, un errore per una persona la cui posizione personale come leader è stata continuamente soggetta dall'incessante accusa di tollerare il razzismo tra i suoi sostenitori. 

I continui attacchi ai membri del Labour da parte di chi si autoproclamava alfiere nella Campagna Contro l'Antisemitismo, sono diventati troppo anche per Hodge, che pure aveva avuto un ruolo centrale in questa vicenda.  Nel 2018, in una furiosa lite alla Camera dei Comuni, Hodge affrontò Corbyn dopo un voto cruciale sulla Brexit. Risulta che gli abbia detto: "Sei un fottuto antisemita e un razzista. Hai dimostrato di non volere persone come me nel partito".   Queste parole erano protette dalla riservatezza parlamentare, ma lei ha poi ripetuto l'accusa di razzismo contro Corbyn in un articolo per il Guardian. Corbyn non si è difeso né verbalmente né legalmente, rifiutando il consiglio del suo avvocato personale di farlo. 

Oggi Hodge cerca di mettere fine a questa campagna. Ne ha abbastanza dei continui tentativi di denunciare i membri del suo partito per antisemitismo.  Dopo le critiche del gruppo a Starmer per aver utilizzato il memoriale dell'Olocausto di Berlino in un video politico, Hodge ha twittato: "Sono stufa che la CAA (Campaign Against Antisemitism) usi l'antisemitismo per attaccare il Labour. È ora di chiamarli per quello che sono e per chi sono veramente: più preoccupati di minare il Labour che di sradicare l'antisemitismo".

Bindman afferma: "Jeremy mi piace moltissimo. È stato un ottimo parlamentare. Nessuno lo mette in dubbio. Ma ha i suoi difetti. E parte del suo problema è che è troppo onesto e troppo riservato per essere un leader ideale. Non è tattico. Dice solo quello che pensa, il che lo mette nei guai. E non si difende mai".

EHRC: un'indagine pasticciata    Ma è la decisione stessa dell'EHRC di condurre un'indagine che indigna Bindman.   Bindman, che aveva partecipato alla formulazione della legge antidiscriminazione (2010)come consulente legale ai predecessori dell'EHRC, definisce il rapporto stilato dell'organismo "un animale molto strano" e afferma che le denunce iniziali sono "quasi tutte prive di fondamento, come lo stesso EHRC ha riscontrato".   Il principale tipo di comportamento illegale ai sensi dell'Equality Act è la discriminazione, che può essere diretta o indiretta, per motivi razziali o altri motivi che fanno parte di un elenco. Bindman concorda sul fatto che i motivi razziali comprendono chiaramente l'antisemitismo, a patto di definire cosa sia l'antisemitismo. Esistono anche reati sussidiari, tra cui le molestie.  "Le molestie devono riguardare un motivo, in questo caso la razza o la religione. Le denunce, che furono almeno 200, riguardavano quasi tutte critiche a Israele in relazione alla Palestina. Tutte le accuse, tranne quattro, sono state giustamente respinte,e così come avrebbero dovuto fare con le altre". 

L'EHRC richiese al Partito Laburista i documenti relativi a 20 persone, tutte di sinistra. Corbyn collaborò. Avviò anche una propria inchiesta che avrebbe dovuto aiutare l'indagine dell'EHRC i cui contenuti vennero fatti trapelare. Martin Forde, l'avvocato a cui Starmer chiese di indagare sul rapporto trapelato, fece passare la tesi, ampiamente riportata all'epoca, secondo cui Corbyn sarebbe intervenuto nel processo disciplinare con la propria inchiesta con lo scopo di  proteggere gli amici. 

Forde dichiarò che è "del tutto fuorviante" insinuare che le indiscrezioni ed e-mail trapelate siano la prova che l'ufficio di Corbyn si sia "inserito senza preavviso nel processo disciplinare per motivi di fazione".  Il rapporto promosso da Corbyn è stato l'indagine più dettagliata mai condotta sul funzionamento interno di un partito politico, con 860 pagine e decine di migliaia di e-mail interne. Ma tale rapporto è stato ignorato dall'EHCR. L'EHCR ha ammesso di averlo ricevuto, ma non ha chiesto l'allegato, i documenti e tutte le e-mail. 

L'EHCR ha fatto quattro constatazioni di atti illegali da parte del Partito laburista. Due si riferivano a Ken Livingstone e a un consigliere locale. Secondo l'EHCR, i due erano colpevoli di pressioni politiche illegali, ma che anche il Partito laburista era responsabile in quanto essi agivano a nome del partito. 

Bindman definisce questa affermazione "un'assurdità giuridica".   "Se agivano per conto del partito, significa che ogni iscritto agisce a nome del Partito laburista. Non ha senso. Questi due risultati non hanno senso".  Gli altri due rilievi riguardavano pratiche discriminatorie indirette, come la presunta interferenza dell'ufficio di Corbyn nella gestione delle denunce. Quel che sappiamo da Forde è che l'organismo che conduceva l'indagine chiedeva aiuto all’ufficio di Corbyn, e che quel che faceva l’ufficio era di dare aiuto molto più che interferire. Nella misura in cui si può dire che abbiano interferito, è stato soprattutto per aiutare a far accelerare denunce, non per influenzare il risultato".   L'altra denuncia accolta riguardava la formazione. "Non c'era nulla che indicasse una discriminazione nella formazione. Forse c'è stata una cattiva formazione, ma non ci sono prove che le denunce di antisemitismo siano state trattate in modo discriminatorio". 

Bindman non risparmia le sue conclusioni: "Penso che ci sia stata una manipolazione politica e che le accuse fossero quasi del tutto false. L'antisemitismo è presente ovunque, ma è stato sbagliato accusarne il Partito Laburista, individuare Jeremy Corbyn, avviare un'indagine sul Partito Laburista".

Persona non grata   C'è un poscritto a questa triste storia, e riguarda il rapporto di Bindman con Starmer. I due hanno lavorato insieme per molti anni e si conoscono bene.  Inoltre, Bindman non è un corbynista senza riserve. Dal punto di vista politico, rifiuta una netta divisione tra sinistra e destra e trova ancora difficile ritenere Starmer personalmente responsabile di tutto ciò che è accaduto nel partito.  Recentemente Bindman e Starmer si sono incontrati e i due si sono scambiati delle e-mail. "Mi ha mandato un'e-mail qualche mese fa dicendomi di prendere un caffè. Gli ho risposto immediatamente dicendogli l'ora e il luogo e non l'ho più sentito. Poi l'ho visto circa sei settimane fa. Gli ho detto: "Cosa è successo al nostro caffè?". Lui si è scusato e mi ha detto: 'Non ho il controllo della mia agenda'". Bindman non ha ancora sentito Starmer. "Ho la sensazione di essere una persona non grata".

(1) La Legge sull'Uguaglianza (Equality Act) è una legge del 2010 che offre protezione contro la discriminazione basata su nazionalità, cittadinanza, religione o convinzioni personali, disabilità, età, sesso, orientamento sessuale e genere

(2) Hodge è figlia del fondatore di Stemcor, acciaieria di cui è tutt’ora azionista di riferimento

NdR:   Corbyn, eletto segretario del Labour nel 2015, venne subito osteggiato dall’apparato del Labour ereditato dal precedente segretario Miliband. Su come l’apparato, sostenuto dalla lobby filo-israeliana Jewish Labour Movement (JLM), abbia boicottato i candidati di sinistra nella campagna elettorale del 2019, con il pessimo risultato elettorale di cui fece poi le spese Corbyn, vedi:

Labour's Forde report is devastating on factional war against Corbyn, Peter Oborne https://www.middleeasteye.net/opinion/uk-labour-forde-inquiry-corbyn-factional-war-devastating

How the EHRC antisemitism report added fire to Labour's simmering civil war, Jonathan Cook https://www.middleeasteye.net/opinion/ehrc-labour-antisemitism-civil-war-fire-added

Praying for defeat: Labour insiders accused of w

recking Corbyn campaign in leaked report, https://www.middleeasteye.net/news/labour-party-leaked-corbyn-antisemitism-hyper-factional


(Traduzione a cura di Claudio Lombardi di Associazione di Amicizia Italo Palestinese)


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Disabilità in costante aumento? - Daniele Novara

  

Era ora che una rivista di grande prestigio e diffusione come Tuttoscuola affrontasse uno dei nodi più critici e sconvolgenti del panorama scolastico italiano degli ultimi vent’anni: l’aumento delle neurodiagnosi di disabilità. Siamo su numeri davvero imbarazzanti: 277.840 nell’anno in corso (2021) su una popolazione di 7.407.312, ossia circa il 3,8 per cento degli alunni ha o avrebbe disabilità, finendo sotto il cappello della Legge 104 e pertanto necessita dell’insegnante di sostegno e dell’assistente educativo. Si tratta della legge generale sulla disabilità che si usa anche per gli anziani, una legge che, in caso di basso reddito, dà diritto a un assegno e, nel caso di lavoro dipendente, a tre giorni di assenza dal posto di lavoro.

Chi sono questi alunni con disabilità? Questi 280 mila alunni/e che vivono sotto l’ombrello scolastico della disabilità? L’immaginario va alla carrozzina, l’immaginario va al bambino o ragazzo con grave deficit cognitivo; l’immaginario va – infine – al bambino Down. Dimentichiamocene. Sono in stragrande maggioranza disabilità su neurodiagnosi riguardanti stati emotivi o psicoemotivi e stati comportamentali. Si tratta di sigle che cominciano a entrare nell’immaginario collettivo: ADHD che la vulgata traduce in ipercinetismo; DOP per il disturbo oppositivo provocatorio; specialmente, negli ultimissimi anni, il boom dell’ASD, il cosiddetto spettro autistico, anch’esso su base emotiva e comportamentale. In altre parole, sono bambini, ragazzi, alunni che non si presentano in maniera molto dissimile da tutti gli altri, non hanno subito traumi alla nascita, ma si comportano “male”. Le loro emozioni sono eccessive, hanno reazioni parossistiche, il grado di adesione alla vita scolastica è basso, a volte molto basso. Nel giro di un tempo abbastanza rapido (dieci-quindici anni), nella scuola italiana è scomparso l’alunno cosiddetto “difficile”. Tutti gli insegnanti che hanno lavorato negli anni Settanta-Novanta ne avevano uno in classe: complicato da gestire, che provocava, che non seguiva alla lettera le attività proposte, che disturbava i compagni e che interveniva mentre l’insegnante stava spiegando, o tentava di farlo. Insomma, un soggetto un po’ terribile, una specie di Lucignolo. A un certo punto, questi monelli non sono più stati tollerati, non tanto sotto il profilo disciplinare, ma sotto un altro profilo: il loro comportamento “trasgressivo” non è più stato considerato un disturbo all’attività scolastica, ma un disturbo in quanto tale, ossia una malattia, altrimenti detta “disturbo neuropsichiatrico”. Ribaltando quindi la percezione del bambino da “alunno che disturba” ad “alunno che ha un disturbo”.

Ed ecco che tanti genitori si sentono raggiungere dalla frase “Fatelo vedere…”. E non si tratta di farlo vedere dal pediatra, bensì dal neuropsichiatra infantile, ovvero da colui che studia, cerca e cura le malattie mentali.

Ritengo che sarebbe molto più utile indagare quale educazione ricevono questi alunni. I genitori devono prendere in continuazione decisioni educative: andrebbero preparati, andrebbero date loro informazioni al riguardo, meglio se appena escono dai reparti di maternità. La mancanza di informazioni pedagogiche attendibili sta compromettendo l’educazione dei nostri figli e la situazione viene risolta stabilendo che sono malati.

 

Vediamo un caso in cui il problema psichiatrico e il problema educativo vengono confusi: Filippo è un bambino di sei anni, ha iniziato la prima elementare da un mese circa, i genitori ricevono dalle insegnanti un avviso sul diario per un colloquio urgente. Filippo fa fatica, non ascolta, si muove in continuazione, corre per la classe, fa dispetti ai compagni. Le maestre non ce la fanno da sole e invitano i genitori a recarsi all’Asl di riferimento per una visita neuropsichiatrica. Inizia così un iter che porterà Filippo sulla strada della neurodiagnosi e dell’insegnante di sostegno. Nessuno si preoccupa del tipo di educazione che Filippo sta ricevendo in casa.

Dorme regolarmente nel lettone con i genitori, la mamma lo veste il mattino prima di andare a scuola perché il bambino ci mette troppo tempo e spesso gli prepara un biberon di latte e biscotti che finisce di bere sulla macchina. Lo pulisce anche in bagno perché lui non lo sa fare bene. Quando torna da scuola passa almeno due ore (e nel weekend molto di più) davanti al tablet, che possiede dall’età di tre anni. Usa liberamente il cellulare dei genitori per cercare giochi o vedere video divertenti. In tutto dorme otto ore perché prima delle 22,30 non vuole mai andare a dormire (perdendo in questo modo almeno un’ora di sonno ogni notte). La mamma lo chiama «amore» e lo bacia spesso sulle labbra. Al parco non ci vanno quasi mai perché il bambino si lamenta che gli altri lo prendono in giro.[1]

Sono passati oltre quarant’anni da quando, nel 1977, l’Italia decise di chiudere le classi differenziali per alunni con lievi ritardi o con problemi di condotta o in situazioni di disagio sociale e famigliare e svuotare le scuole speciali per sordi, ciechi e anormali psichici. Con questa legge, la 517/77 – che arrivò ancora prima della chiusura dei manicomi – furono abolite quelle classi in cui venivano concentrati i bambini con disabilità, in genere con ritardo cognitivo, e venne introdotto l’insegnante di sostegno nella gestione della didattica. Nel frattempo, è cresciuto di anno in anno il processo di medicalizzazione delle nuove generazioni.

Scambiare l’immaturià infantile, che è fisiologica e imprescindibile, con un disturbo neuropsichiatrico è quanto mai un azzardo.

Se il bambino non è più un bambino in quanto tale, ma un paziente, la sua natura e la sua energia infantile si spengono per adeguarsi a un eccesso di definizione diagnostica.

Un intervento di rafforzamento pedagogico dedicato ai genitori e alla famiglia sarebbe più efficace rispetto al porre una specie di marchio sui bambini che finiscono per essere reputati “diversi” dai genitori stessi.

Va inoltre segnalato che tanti sistemi diagnostici non sono completamente affidabili e andrebbero applicati con maggiore prudenza. Il rischio è che l’alunno, invece di attingere alle proprie potenzialità, resti sempre in attesa di un aiuto esterno che possa sostituirsi a lui, finendo addirittura per indentificarsi non tanto con le risorse che ha in sé quanto con la loro mancanza, riconoscendosi in uno status precario.

Come spiega Michele Zappella, tra i primi in Italia ad affrontare i disturbi dell’autismo:

“In poco più di due decenni, l’epidemia di autismo ha moltiplicato le diagnosi fino a quasi settanta volte, il tutto senza tenere presente che nei primi anni di vita ci sono variazioni della norma, difficoltà transitorie nel comportamento e vari disturbi del neuro-sviluppo. I disturbi specifici del linguaggio e i disturbi d’ansia sociale vengono spesso scambiati per disturbi autistici. Ci sono bambini normali che possono essere chiamati in causa da implacabili cacciatori di autismo. È necessario avere ben chiari quali sono gli aspetti centrali di ognuna di queste condizioni e situazioni, comprese in primo luogo quelle in cui c’è un comportamento autistico”.[2]

La rinuncia educativa sembra essere una sorta di profonda combinazione fra la paura dei genitori rispetto alle proprie responsabilità e la stanchezza della scuola nel momento in cui si dovrebbe impegnare in favore di quegli alunni che più di altri hanno bisogno di aiuto. Invece di aumentare le certificazioni neurodiagnostiche, è il caso di sostenere i genitori nelle loro funzioni educative, dando informazioni adeguate, chiarendo dubbi e favorendo il gioco di squadra, evitando così di trasformare l’ambiente scolastico da comunità di apprendimento a luogo di terapia. Occorre sostenere gli insegnanti e le scuole che sanno lavorare sul versante educativo piuttosto che su quello diagnostico.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1. Novara, I bambini non sono malati, sono bambini. recuperare il ruolo educativo adulto per evitare la patologizzazione dell’infanzia, in “Minori e giustizia. Rivista interdisciplinare di studi giuridici, pedagogici e sociali sulla relazione fra minorenni e giustizia”, n. 3/2019
2. Novara, L’immaturità infantile non può diventare una diagnosi, in “Psicologia clinica dello sviluppo”, a. XXIV, n. 1 aprile 2020, pag. 91-96
3. Novara, Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare. Subito., BUR-Rizzoli, Milano 2017
4. Zappella, Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici e iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione, Feltrinelli, Milano 2021
[1] D. Novara, I bambini sono sempre gli ultimi. Come le istituzioni si stanno dimenticando del nostro futuro, BUR-Rizzoli, Milano 2020
[2] M. Zappella, Quando l’autismo è una falsa diagnosi, in «Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica», n. 4, 2018, pp. 48-50.

da qui

mercoledì 28 settembre 2022

dopo le elezioni

scrive Luca Bravi

In quanto componente più anziana, toccherà a Liliana Segre aprire i lavori del Senato, quello a larga maggioranza composto dal partito che, se vai a ritroso (ma ce lo ricorda bene la fiamma sul simbolo), come minimo arrivi al MSI che si dichiarava erede dei fascisti. È una consuetudine, per carità, ma ci si aggiunge  un simbolismo potente, un po' come la sconfitta di Fiano (il figlio di Nedo) contro Rauti (la figlia di Pino). C'è chi legge il fatto che sia Liliana Segre ad aprire i lavori, come il simbolo di valori che restano a garantire il lavoro istituzionale democratico, forse pure sbattuto in faccia alla nuova maggioranza (e alla sua storia ripudiata a giorni alterni), eppure immaginarmelo mi crea un po' di pensieri negativi. Liliana Segre, come giusto che sia, sarà accolta dagli applausi dell'aula, sarà doveroso, scontato e pure giusto. A preoccuparmi è proprio questo: sarà l'ennesima occasione in cui, attraverso facili simbolismi esposti in pubblico e mai nella pratica quotidiana, l'estrema destra più forte di sempre in Italia potrà ancora una volta dirci di essere lontana da quella storia di odio, di sterminio e di razzismo del Novecento. Eppure restano gli stessi che, nel Ventunesimo secolo, hanno concretamente promosso politiche d'odio e di allontanamento, anche dalle scuole, perfino negando i pasti alla mensa ai bambini. 

La Shoah non è la stessa cosa delle politiche razziste di oggi, dal punto di vista storico è pure vero, ma attenzione ad usare la memoria della Shoah allontanandola dalle domande sul presente, perché diventa un simbolo vuoto, a quel punto utile solo come una fetta di prosciutto sugli occhi, per far finta che tutto procederà tranquillamente (ci siamo talmente abituati che è diventata un'abitudine bipartisan piangere per i crimini passati, ma giustificare sempre quelli del presente). L'esposizione pubblica del simbolo "Liliana Segre" in questa occasione, seppur azione dovuta per consuetudine istituzionale, porta con sé anche questa seconda faccia della medaglia, meno scontata e comunque presente.  Mi pare piuttosto il segno dei tempi.

 

 

Riflessione "a tiepido" - Francesco Filippi

E se fosse meglio così?

Il prossimo governo, probabilmente, gestirà la migrazione come un reato; chiuderà mille occhi sulle violenze ai confini della Festung Europa e anzi le favorirà; affosserà i progetti sull'allargamento dei diritti a tuttə; interverrà con leggi sul concepimento ma non sul fine vita; tratterà il diritto di  cittadinanza come un privilegio; smonterà coscientemente le tutele che difendono i diritti del lavoro; negherà lo sviluppo democratico dell'apparato di sicurezza dello stato, dai numeri sui caschi degli agenti alla protezione degli individui dall'invasione delle multinazionali dei dati; favorirà il privilegio di rendita rispetto al diritto al salario giusto; si occuperà di opere cementizie strategiche concepite anni fa trascurando l'infrastruttura sociale e culturale del paese di oggi; taglierà la sanità pubblica lasciando campo libero alla privata, ecc. ecc...

 

Rimarrà, insomma, nel solco di TUTTI i governi degli ultimi dieci anni.

Solo che almeno sarà "sincero": non racconterà favole sulle necessità contingenti, sulle opzioni limitate di breve termine, sulle difficoltà interne allo schieramento. Farà quel che ha sempre detto di voler fare.

E questo costringerà ad essere noi pure sincerə nell'opporci, o nell'accettare.

Ci costringerà a scegliere.

Finalmente.

 

 

Che fare dopo il voto? È ora di scelte radicali contro gli apparenti “padroni della storia” - Lorenzo Guadagnucci

La fine, stavolta, era nota. Chi ha corso per vincere (la destra) ha vinto, chi ha corso per non vincere (Partito democratico e possibili alleati) ha perso. Tutto come previsto, dunque, nelle elezioni politiche più scontate della storia recente, in virtù di un sistema elettorale non proporzionale e delle scelte compiute prima del voto (allearsi a destra, non allearsi nella non destra). Ora la parola la prenderanno i politologi (che passeranno in rassegna i flussi elettorali e i nuovi “colori” di città e Regioni) e gli editorialisti, che come al solito consiglieranno la linea politica ai vari leader di riferimento. Poi si insedierà il nuovo governo, che in Europa è già definito -seguendo gli standard internazionali- di estrema destra, invece del pudico e conciliante, nonché fuorviante, “centrodestra” in uso sui media italiani.

Poi c’è tutto il resto, ossia le cose più importanti, visto che queste surreali elezioni hanno eluso i temi cruciali del momento e del futuro più prossimo. Si è votato nel pieno di una guerra europea e nei giorni della sua escalation. Nessuno, in campagna elettorale, ne ha fatto davvero menzione ma mentre mettevamo le schede nelle urne, a Mosca, Kiev e Washington si discuteva e tuttora si discute, con sconcertante leggerezza, del possibile -se non probabile- uso di armi atomiche “tattiche” in Ucraina da parte di Vladimir Putin e del tipo di risposta che l’Occidente (cioè gli Stati Uniti) eventualmente sceglierà: una bomba “tattica” su una città russa o sulla capitale? Una bomba non tattica, o altro ancora? E mentre fingevamo di partecipare a una competizione (che, come detto, non c’è mai stata), tra cosiddetto centrodestra e cosiddetto centrosinistra, si contavano ancora morti e dispersi nell’alluvione delle Marche e scattavano in mezza Italia allarmi meteo sempre più allarmanti. Senza che, ovviamente, si parlasse davvero e seriamente di mitigazione degli effetti del disastro climatico in corso, del dissesto idrogeologico del Paese, dell’urgenza di riorganizzare la vita collettiva in modo da ridurre i consumi di energia, di suolo, di risorse scarse.

Possiamo dire, insomma, che abbiamo avuto elezioni menzognere (per il falso dibattito su una competizione che non c’è mai stata) e anche anacronistiche, poiché le questioni più pressanti e cruciali del nostro tempo ne sono rimaste incredibilmente fuori. Non c’è da sorprendersi, in questo quadro, se il numero degli astensionisti ha superato un terzo degli elettori, e nemmeno del successo di forze politiche che si rifanno al nazionalismo novecentesco, all’eterna fascinazione per il fascismo, a una vocazione identitaria vicina al suprematismo bianco statunitense: è il frutto, tutto ciò, del progressivo sgretolamento della cultura democratica, socialista e antifascista, minata al suo interno -ormai da un trentennio- dall’avvento dell’ideologia neoliberista. Nel rifiuto di un’analisi onesta della crisi profonda di un intero modello di sviluppo e di sistemi democratici che a quel modello hanno legato la propria sorte (vale ancora per tutti il motto di Margaret Thatcher “There is no alternative”, non ci sono alternative), la regressione verso una visione difensiva, suprematista e conservatrice del mondo non può essere una sorpresa.

Alcuni politologi già propongono una ridefinizione dello spazio politico istituzionale italiano ed europeo, secondo la quale ci sarebbero ormai tre poli: una destra neoliberista nazionalista con venature suprematiste (la destra al potere in Ungheria, Polonia e ora in Italia; il partito di Marine Le Pen in Francia; i neofranchisti di Vox in Spagna); un centro ugualmente neoliberista ma europeista e con venature progressiste sui diritti individuali (il partito di Emmanuel Macron in Francia; il binomio Spd-Verdi in Germania; il cosiddetto centrosinistra in Italia); infine una sinistra erede delle idee socialiste e aperta al nuovo vento ecologista, con venature populiste (qui si portano le esperienze della France insoumise di Jean-Luc Mélenchon e degli spagnoli di Podemos, mentre in Italia si attende una possibile evoluzione del Movimento 5 stelle o almeno del suo elettorato, con nuove organizzazioni da costruire). Osservato sotto questa lente, l’esito elettorale del 25 settembre risulta in effetti più chiaro e può far pensare a un astensionismo giovanile e di sinistra dovuto alla sommatoria di una campagna elettorale fuori dal tempo presente e di una proposta politica -quanto al polo di sinistra- ancora opaca e insufficiente.

In un quadro così bloccato, torna la domanda di sempre, l’assillo di chi vuole dare un senso al proprio impegno civile e politico guardando a un orizzonte di giustizia sociale e alle future generazione; la domanda è: che fare? La risposta è semplice a ardua allo stesso tempo: quello che si è sempre fatto, ma con più forza, con più lungimiranza, con l’urgenza imposta da avvenimenti sconvolgenti come la minaccia nucleare, l’annunciata recessione globale, gli effetti sempre più incombenti del disastro climatico: quindi studiare, organizzarsi, agire. È il tempo, questo, delle scelte radicali; è l’ora di mettere in discussione il modello di sviluppo e i sistemi politici che lo sostengono, avviati -lo abbiamo visto- verso una regressione illiberale; è l’ora di pretendere dagli apparenti padroni della storia -potenziali apprendisti stregoni- di indicare vie di uscita dalla guerra in Ucraina prima che sia troppo tardi (c’è sempre una via d’uscita ed è incredibile che le diplomazie e le istituzioni sovranazionali siano state messe in un canto); è l’ora di mettere la giustizia climatica, che è anche giustizia sociale globale, al centro delle scena, politicizzando l’ondata ecologista, rimasta finora sulla superficie delle cose; è l’ora di impegnarsi, di contestare e partecipare, è l’ora di organizzarsi avendo come orizzonte una trasformazione profonda dei modi di produrre, di consumare, di vivere, di stare insieme e una conseguente, altrettanto profonda trasformazione di sistemi politici che si stanno rivelando obsoleti, incapaci di affrontare le sfide del nostro tempo, se non proponendo illusorie scorciatoie destinate a moltiplicare ingiustizie, sopraffazioni e guerre.

È una sfida enorme, ma non deve spaventare: cambiare il corso apparentemente ineluttabile della storia si può, è già successo e può accadere di nuovo.

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Le prime considerazioni economiche sull’esito del voto. E su quello che ci attende - Alessandro Volpi


Non è semplice trarre considerazioni chiare, in termini economici, sugli esiti dell’ultima tornata politica. Tuttavia tre mi sembrano più evidenti di altre. La prima ha a che fare con le ragioni della sconfitta del centrosinistra nel suo insieme ed è riconducibile alla fantomatica “agenda Draghi”. Provo a spiegare il perché penso abbia influito, e molto.

L’agenda Draghi è stata il paradigma della volontà di alcune forze politiche di trasformare le elezioni in un plebiscito su Mario Draghi: volete ancora Mario Draghi? Votate per noi. Questa semplificazione ha determinato la composizione degli schieramenti nel centro sinistra e il loro programma, generando tuttavia, una serie di paradossi a cominciare dal fatto che neppure le forze a favore di Draghi hanno composto un’unica coalizione, rompendo subito l’alleanza in nome della maggiore o minore “ortodossia” nei confronti dell’agenda. C’è stato poi il paradosso che la coalizione di centrosinistra ha aperto subito ai cosiddetti “avversari” dell’agenda Draghi, creando un “certo” disorientamento. Ma i limiti veri dell’agenda Draghi erano altri.

Intanto, non esisteva un’agenda Draghi in quanto tale ma esisteva solo Draghi come garante, in pratica senza vincoli, del futuro italiano. In questo senso si configurava un altro limite di quell’agenda: se si trattava di un mero artificio narrativo per sostenere Draghi, allora diventava ben poco credibile che centrosinistra e “terzo polo” non avessero avuto la capacità, anche separatamente, di esprimere un proprio leader in grado di aspirare a ricoprire la carica di presidente del Consiglio.

C’era poi un ultimo, decisivo limite: un Paese piegato, con disuguaglianze sociali in continua crescita, con una povertà dilagante resa drammatica dall’inflazione non aveva bisogno di rigorosi custodi dell’equilibrio finanziario che si traduceva inevitabilmente nella riproposizione di un modello adottato dal 2011 in avanti. L’inesistente agenda Draghi è stata percepita come un mantenimento dello status quo sociale, con la conseguente ulteriore polarizzazione dei redditi e con una fiducia davvero cieca nell’Europa in quanto tale, nel momento in cui proprio l’Europa sta cambiando profondamente pelle. Come era possibile pensare che reggesse i termini elettorali un ceto politico, impegnato unicamente a ricandidarsi, limitandosi a ergere Mario Draghi a sola icona politica e abbandonando ogni rappresentazione sociale e ogni capacità critica verso la Nato, verso l’Unione europea e verso un liberalismo moderato da anni Novanta? L’inesistente agenda Draghi, a mio parere, ha fatto perdere il senso della complessità della democrazia popolare.

La seconda considerazione guarda in prospettiva futura. La recente audizione di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, presso la Commissione affari economici del Parlamento europeo è la dimostrazione che in Europa è in corso una pericolosa involuzione monetarista. In estrema sintesi la presidente della Bce ha dichiarato, in sequenza, che l’inflazione durerà a lungo e che l’economia europea sta per entrare in recessione. Di fronte a ciò -ha continuato Lagarde- la ricetta è molto chiara: aumenti dei tassi d’interesse, drastica riduzione degli acquisti di titoli del debito pubblico, contenimento salariale e scudo anti-spread applicabile solo con onerose condizionalità. Siamo tornati all’era Trichet, con la differenza non banale che ora l’inflazione può davvero fare male in termini sociali e aggravarla con soluzioni inefficaci e, al contempo, destinate a peggiorare le disuguaglianze sarebbe devastante. Per l’Italia, il messaggio è chiaro: basta debito per coprire la futura Legge di Stabilità. Si ha l’impressione, in tale ottica, che il governo Draghi fosse comunque finito vista l’impossibilità di fare una riforma fiscale e una certa diffidenza a mettere mano alle regole finanziarie.

La nuova stagione della sinistra dovrebbe partire da un europeismo critico, da un filologico appello all’articolo 53 della Costituzione, da una valorizzazione del risparmio diffuso e dalla restituzione di un carattere politico alle strategie monetarie, quantomeno per fronteggiare la politicissima Federal Reserve statunitense e per difendere il welfare. Nel frattempo l’esecutivo Meloni dovrà trovare le tante risorse che mancano  -una quarantina di miliardi- non facendo troppo affidamento al suo programma, dai chiari tratti prociclici: concepito cioè solo per un’economia che va bene, dalla flat tax incrementale allo stralcio fiscale fino alle tante, maggiori spese, non copribili solo con l’auspicio di una ripresa.

La terza considerazione individua il limite con cui il nuovo governo dovrà misurarsi. L’inflazione ci sta riportando velocemente indietro, con pericoli antichi e nuovi al tempo stesso. Il debito pubblico italiano è esploso a partire dagli anni Ottanta, quando è diventato insostenibile il peso degli interessi da pagare per collocarlo. In pochi anni si è passati da un rapporto debito-Pil del 50% a uno del 120%, sulla spinta del debito secondario. Tali interessi dovevano essere pagati dal Tesoro italiano per reggere la concorrenza di altri titoli di Stato, a cominciare da quelli americani che beneficiavano della copertura del dollaro come moneta di scambio e di riserva internazionale. Oggi sta riproponendosi una situazione in parte simile. I tassi di interesse delle banche centrali sono saliti e i rendimenti dei titoli di Stato dei vari Paesi sono cresciuti per far fronte al loro deprezzamento, in parte dettato dall’inflazione. I Bund tedeschi hanno perso in pochi mesi il 18% del loro valore, i Btp italiani il 20% e questo ha spinto i rendimenti al rialzo. In tale ottica lo spread non cresce perché sia Italia sia Germania sono costrette ad alzare i tassi e dunque non sarà lo spread a determinare il quadro di riferimento, anche in termini politici.

Pesa invece, come negli anni Ottanta, la concorrenza dei titoli di Stato americani che rendono, sul decennale, il 4,5% e dunque sono molto appetibili. Ancora una volta, come allora, il Tesoro degli Stati Uniti può permettersi una simile operazione grazie alla forza del dollaro che sta schiacciando l’euro a 0,96 e sempre più giù. In altre parole, la politica economica degli Stati Uniti viene costruita, come in passato, scommettendo sulla debolezza degli altri Paesi e sull’aspettativa che la Cina non abbia intenzione, almeno nel breve periodo, di sganciarsi dal dollaro. Solo se l’Europa avesse una vera credibilità internazionale questa pesante rendita di posizione si indebolirebbe, in caso contrario ci troveremo a fare i conti con un nuovo decollo del debito soltanto per gli interessi da pagare; e gli appelli alla nazione rischiano di ricordare i famigerati “prestiti del littorio”.

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ALLA LUPA, ALLA LUPA - Gian Luigi Deiana

la favola di esopo in quota rosa

tutti i bambini sanno che non è bene esagerare nel dire bugie: poi infatti si finisce per non essere creduti nemmeno quando si dice la verità, soprattutto se le situazioni sono davvero serie; la favola antica del greco esopo, che narra di un pastore che lanciava per scherzo l'allarme sul lupo, insegna ai bambini esattamente questo: quando il lupo comparve davvero, nessuno più credette all'allarme, e il lupo ebbe campo libero sugli agnelli;

gli antichi romani ebbero la genialità di redimere in quota rosa il temuto animale: inventarono la lupa e ne fecero la mammina pagana della romanità; mito per mito, in tempi a noi più vicini se ne è fatta la mammina dell'italianità, per di più cristiana; a parte il discutibile gusto di dichiarazioni simili, gusto peraltro generalmente pessimo in tutto il linguaggio pubblico attualmente in voga tra i leader politici, sta di fatto che l'allarme sull'arrivo del lupo, immancabile da trent'anni in qua, si è man mano rivelato come stupida furbetteria, e alla fine la simpatica bestiola è sopraggiunta davvero: in variante romana, italiana, e cristiana; per un poco, quindi, ecco i figli della lupa;

le questioni che a questo punto si aprono sono molte e sono complesse, ma soprattutto sono indecidibili da parte del popolo elettore; sono invece decidibilissime, quanto al giudizio politico, le questioni che si chiudono: ma chiuderle bene, con un giudizio ponderato, è fondamentale per non ricascarci di nuovo;

le principali questioni oggi in chiusura sono due: primo, se il pd sia un partito di sinistra, e con ciò un baluardo della democrazia; secondo, se fdl sia un partito semifascista, e con ciò un pericolo per la democrazia;

il primo interrogativo deve trovare la risposta interpretando l'orientamento che il pd ha seguito da quando ha assunto questo nome di battesimo, partito democratico, ad oggi; cioè dal dopo prodi al naufragio draghi; rafforzando l'inchinamento totale alla dogmatica neoliberista, ai suoi culti e ai suoi sacerdoti, il pd è diventato un partito di chierici dell'ignavia; per vent'anni si è mascherato su verbosità vuote: il richiamo ai diritti e l'allarme sul lupo; verbosità vuote, che nel tempo hanno danneggiato la ragion d'essere di quei serissimi valori, in quanto troppo gratuitamente essi sono stati evocati nelle campagne elettorali, a corredo di liturgie sostanzialmente bugiarde; quindi, il pd, a ragion veduta, non è un partito di sinistra;

quanto poi questo ex partito di sinistra sia un baluardo della democrazia e dei diritti che la sostanziano, va misurato su dati fattuali grandi e piccoli, e non su stupidaggini come "scegli" , "o noi o loro", e via declamando; i dati fattuali sono per esempio l'oltranzismo atlantista, quindi l'esposizione alle ritorsioni nella vanteria delle sanzioni; le conseguenze delle privatizzazioni sui prezzi dell'energia, quindi extraprofitti selvaggi di grandi monopoli e crisi occupazionali nelle piccole aziende; l'emergenza ospedaliera, e l'insistenza sul numero chiuso a medicina; i peana sulla giustizia, e il silenzio atroce sui suicidi nelle carceri; la legge elettorale, più di tutto, è la corona di questo tripudio, e il chiodo più profondo inferto sulla costituzione della repubblica; insomma non sembrano buone credenziali per un baluardo della democrazia;

il secondo interrogativo, se il partito della lupa sia un partito semifascista, o al contrario una plausibile espressione politica di destra, è tutto da vedere; prima che si possa verificare nei fatti, l'allarme sul lupo fascista è peggio che vano; tra vedere e non vedere, la gente che è andata a votare, e più ancora quella che non vi è andata, è stata motivata non dal desiderio messianico del lupo, ma proprio dall'esaurimento della bugia sul suo terribile avvento, e dalla triste presa d'atto che dietro il lupo fasullo ci sarebbe stato invece di nuovo il drago vero; il popolo elettore ha dato la chance alla lupa non per una condizione di incoscienza, ma in obbedienza a una logica che non poteva più essere ingannata; l'ignavia è sempre vuota, e il vuoto viene inevitabilmente colmato per altra via, anche negli ordinamenti democratici;

per chi si troverà, probabilmente o necessariamente, a dover contrastare il governo di destra che si accinge a governare l'italia, sarà davvero dura; infatti dovrà produrre l'opposizione in una condizione nella quale non esiste quasi più l'organizzabilità del dissenso; ma questo black out, cioè l'insabbiamento del dissenso da parte del ceto politico, non può essere attribuito propriamente alla destra secondo la sua prerogativa consueta: il pd infatti, nell' illusione suicida di potersi rafforzare liquidando il dissenso organizzato a sinistra (e persino quello organizzato nel movimento cinque stelle), ha finito per dissolvere anche l'organizzabilità del consenso, persino il consenso su cui si basa esso stesso; la legge elettorale stessa testè sperimentata consiste in questo capolavoro: per liquidare gli altri, il pd, riducendosi in modo irreversibile a ceto politico autoreferenziato, ha suicidato se stesso;

è storicamente normale che il dissenso radicale venga contrastato e che i modi della sua organizzazione siano difficili; ma qui, col naufragio di questo partito di lunga storia e di larga base sociale, è l'organizzazione del consenso che è stata buttata alle ortiche: questo, e non la lupa, è ora per la sinistra il vero problema

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martedì 27 settembre 2022

Come il capitale finanziario ha annullato lo stato: bilancio amaro di 30 anni di "centrosinistra" - Pasquale Cicalese

 

Il centrosinistra degli ultimi 30 anni. Comunisti, ex, e democristiani che si unirono in nome della deflazione, sconfessando il loro passato, con il passaggio di testimone delle nuove leve. In particolare, i "comunisti", salvati da Mani Pulite per volere di Washington e Londra, si vergognavano del loro passato e cambiarono chiesa, questa volta City, Wall Street, Pentagono, Nato, Francoforte e Bruxelles.


Sul piano interno si costruì un blocco sociale fatto di alti dirigenti di Stato, loro sottoposti, capitani di azienda, industriali, ma soprattutto finanzieri e banchieri.

Il capitale finanziario, nel frattempo privatizzato dagli ex comunisti, prendeva le leve del potere statuale: d'ora in poi i creditori valevano più dei debitori, questi ultimi favoriti negli anni settanta dall'inflazione.

Per far questo occorreva abbattere l'inflazione mediante la deflazione salariale, di salari e pensioni e tagli alla spesa pubblica.

I creditori videro i loro valori salire sempre più, smisero di fare banca e si dedicarono a polizze, risparmio gestito e gestione patrimoniale. Chi aveva a che fare con le banche si vedeva costretto ad accettare tassi altissimi, malgrado tassi di interesse bassi, e soprattutto offrire sempre più garanzie. Il credito smise di operare, il capitale fittizio aumentò a dismisura.

Per 30 anni la deflazione salariale, le crisi finanziaarie internazionali ricorrenti, fecero sì che si creasse un blocco di 20% di popolazione italiana che viveva di rendita, gli investimenti fermi, e di fin anza. Questo blocco è stato rappresentato dal centro-sinistra, in particolare dagli ex comunisti, che furono feroci nella loro lotta al proletariato italiano, lotta celata da media e da propaganda a favore dei "poveri".

Ora i proletari non erano più proletari, ma "poveri" a cui si dedicavano lacrime di coccodrillo. Nel frattempo quel che era rimasta della classe operaia votò prima lega e oggi Meloni. Sesto San Giovanni è lì. La periferia conquista il centro con la destra, avendo il centrosinistra come riferimenti le zone ztl. Bilancio del paese: se fai politiche di destra, poi,la destra, quella vera, prende il potere. Ma entrambi sono fascisti, antiproletari, anticomunisti.

Bilancio amaro degli ultimi 30 anni a cui non siamo stati capaci di rispondere con teoria e prassi adeguate.

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la morte a scuola

L'abominio Alternanza scuola-lavoro: sui stupefacenti cordogli del PD - Paolo Desogus

L’alternanza scuola-lavoro è tra le riforme più reazionarie e stupide che siano mai state approvate dal parlamento italiano. Sottrae tempo allo studio, offre un’immagine distorta del lavoro, dell’istruzione e del loro rapporto. Si tratta di una riforma figlia di un’ideologia utilitaristica che pezzi importanti dell’establishment hanno sponsorizzato tramite le sue fondazioni con l’intento di smantellare la scuola pubblica. Inoltre è tremendamente classista: difficilmente gli studenti del liceo finiscono per fare il loro stage in fabbrica.

A questo si aggiunge un ulteriore dato. L’alternanza scuola-lavoro mette a rischio la vita dei ragazzi che invece di studiare sono costretti a passare per questa finta attività formativa.

Trovo allora stupefacente che Enrico Letta si rammarichi o che altri esponenti del PD esprimano cordoglio o altro. Questi insulsi della politica, fanatici liberisti mal travestiti da moderati, votabili solo da un elettorato di rimbambiti, hanno elaborato e approvato in Parlamento questa legge infame. Il Pd e gli esponenti che se ne sono distaccati con Renzi hanno le mani sporche di sangue dei ragazzi rimasti uccisi durante l’alternanza scuola-lavoro. Dovrebbero avere la decenza di stare zitti e di nascondersi per sempre.

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Alle cinque della sera Lamento per Giuliano De Seta – Gianni Giovannelli

Son cussì disgrazià che pianzo tanto,

Né so se gò dirito ai sfoghi e al pianto,

Giacomo Ca’ Zorzi Noventa

(Versi e poesie, pag. 173)

Milano, Edizioni di Comunità, 1956

Alle cinque della sera, in un reparto della piccola fabbrica metalmeccanica BC Service, nel cuore del laborioso nord-est, a Noventa di Piave, è morto Giuliano De Seta, diciotto anni appena compiuti, ultimo anno all’Istituto Tecnico Leonardo Da Vinci (Portogruaro). Per poter conseguire il diploma il giovane studente doveva, necessariamente, documentare qualche centinaio di ore di prestazione gratuita nell’ambito del programma di alternanza scuola-lavoro; e così, alle cinque della sera, mentre stava eseguendo le tassative disposizioni ministeriali, Giuliano De Seta ha perso la vita, schiacciato da una lastra d’acciaio, solo, senza scampo. Lo demas era muerte y solo muerte a las cinco de la tarde.

La cosiddetta alternanza fu introdotta con una legge chiamata “buona scuola”, la 107/2015, commi da 33 a 45, quando ministro in carica era Stefania Giannini, in quota “tecnica” legata al gruppo parlamentare  del senatore Monti, durante il governo Renzi. Il comma 36 escludeva qualsiasi onere per la finanza pubblica e assegnava al dirigente scolastico la responsabilità di individuare le imprese presso le quali il lavoro gratuito obbligatorio si sarebbe in concreto materializzato, anche con riferimento ai problemi della sicurezza.  Le linee guida attualmente in vigore sono quelle contenute nel decreto ministeriale n. 774 del 4.9.2019, a firma di Marco Bussetti, indipendente di area leghista, quando era in carica il governo gialloverde guidato da Conte e Salvini; si applica altresì la Carta dei diritti e dei doveri degli studenti varata con il decreto interministeriale 3.11.2017 n. 195. Non è stato reso noto, nell’immediatezza, con chiarezza e trasparenza, il testo della convenzione fra scuola e impresa che si riferisce all’assegnazione di Giuliano De Seta presso B.C. Service s.r.l.; sappiamo solo – lo ha riferito la dirigente scolastica Anna Maria Zago – che questa società collaborava da tempo con l’ITIS Leonardo Da Vinci. Ancora ignote sono invece le generalità del tutor interno e del tutor esterno, soggetti che secondo l’articolo 4 delle linee guida avrebbero dovuto interagire costantemente fra loro e tenere sotto controllo l’attività svolta. Ma alle cinque della sera, in quel drammatico venerdì 16 settembre, non c’erano, mentre la muerte puso huevos en la herida. Ci pare davvero difficile rinchiudere questo terribile accaduto nel recinto della fatalità, della semplice disgrazia imprevista e imprevedibile. Il quadro che caratterizza la vicenda è quello di responsabilità plurime, di comportamenti tollerati dalle istituzioni dello stato, concretando quella che con suggestiva immagine venne qualificata complicità ambientale. Da molti anni, troppi ormai, l’impunità sostanziale accompagna ogni morte sul lavoro, sia per esposizione all’amianto, sia per consapevole rimozione dei dispositivi di sicurezza, sia, come in questo caso, per una mal concepita, e mal eseguita, alternanza di studi e lavoro. Chi ha imposto l’alternanza come obbligatoria al fine di conseguire il diploma ha costruito una fitta ragnatela di regole ben difficilmente applicabili (anche, ma non solo, per mancanza di fondi), volutamente dimenticando un idoneo conseguente apparato di sanzioni. Non è questione di invocare un giustizialismo inutile e insensato, come presumibilmente suggerirà la critica interessata dei giuristi ingaggiati dalle associazioni datoriali o da pseudo-sindacalisti foraggiati; è piuttosto la constatazione di come si sia consolidata nel tempo una cultura giuridica e legislativa di appoggio a chi reprime le lotte dei precari nella logistica o le proteste contro il TAV in Val di Susa, ma al tempo stesso reticente nel contrasto di inquinamenti, omicidi sul lavoro, riciclaggi, bancarotte. Per i primi compare sempre più frequentemente l’addebito di associazione per delinquere, per gli altri la conclusione, per una ragione o per l’altra, è l’impunità.

Noventa di Piave era il borgo in cui era nato uno dei più importanti poeti dialettali del secolo scorso, Giacomo Ca’ Zorzi. Amava la sua terra e per questo volle firmarsi “Noventa”. Era un convinto cattolico liberale, antifascista nel ventennio, legato a Croce e a Gobetti; non certo un comunista, ma ugualmente sensibile e attento a quel che avveniva nei ceti popolari. Giuliano, nato in una famiglia di lavoratori emigrati dalla Calabria, viveva a Ceggia, un paese in cui negli anni Sessanta aveva messo radici Potere Operaio. Questa morte, alle cinque della sera, in un piccolo triangolo di territorio veneto capace di lotte sociali e sottomissioni, pronto sempre a lavorare senza risparmio nella speranza di migliorare il destino della collettività, ci deve far riflettere. Magari potrebbe diventare un grimaldello per superare questa bonaccia di apatica rassegnazione in cui siamo caduti, per riaprire una porta sul futuro.

Giovanni Cagnassi, cronista per La Nuova di Venezia e Mestre, il 17 settembre, commentando l’incidente ha così descritto  B.C. Service s.r.l.: “una di quelle aziende specializzate e poco sindacalizzate che sono la spina dorsale dell’economia del territorio e di una zona industriale molto attiva”. L’articolo rende bene il contesto, ci fa comprendere le ragioni profonde della complicità ambientale in cui si radica il consenso e non trova ostacoli una organizzazione neoliberista che in poco conto tiene la vita umana. I genitori della vittima vanno rispettati, nella loro identità e nel loro dolore; e anche nel loro procedere prudentemente, senza proclami. Al tempo stesso vanno sostenuti, evitando ogni strumentalizzazione, quando dicono: “Non ce la sentiamo di esprimerci finché la magistratura non avrà accertato l’esatta dinamica dei fatti. Però, è ovvio, vogliamo sapere la verità su come sia stato possibile che la vita di nostro figlio finisse in questo modo”.

Non credo sia possibile condividere tanta fiducia negli accertamenti della magistratura, a fronte di una inaccettabile incapacità, nella gran parte dei casi, di pervenire rapidamente all’individuazione dei responsabili. E penso sia bene invece esprimersi subito, qui e ora, incalzando senza sosta, perché la “verità”, in casi come questo, è per sua natura ribelle, se non anche rivoluzionaria. E allora potremmo procedere alla redazione di un testo in cui si chiede, ora, che sia reso di pubblica conoscenza il testo della convenzione (deve farlo Anna Maria Zago che dirige l’ITIS Da Vinci di Portogruaro) e che diano subito la loro versione, previa identificazione, i due tutor. I genitori hanno riferito al giornalista del Corriere Andrea Priante (18 settembre, pagina 23) che Giuliano aveva lavorato come operaio presso la B.C. Service s.r.l. nei mesi di luglio e agosto con un regolare contratto di apprendistato. Lascia perplessi un contratto di apprendistato di due soli mesi, fra l’altro risolto proprio quando ebbe poi inizio lo stage di alternanza. Che senso abbia poi un breve stage di alternanza dopo due mesi di lavoro è un bel mistero; certamente va acquisita anche tutta la documentazione relativa a questo contratto (dall’aria assai poco regolare se la descrizione risultasse esatta)  e la direttrice Anna Maria Zago (con i due tutor) dovrebbe sentirsi tenuta a spiegare come le due prestazioni siano state ritenute compatibili. L’assegnazione ad un’impresa metalmeccanica rientra fra quelle a rischio elevato secondo le norme che regolano l’alternanza; dunque era necessario un congruo periodo formazione in presenza, con una idonea informazione sui rischi. Lo svolgimento dell’attività  lavorativa gratuita prima dell’inizio dell’anno scolastico induce qualche perplessità.

Vogliamo provare ad intervenire con appelli e proteste? Questo Lamento per Giuliano De Seta, archiviata la malinconica campagna elettorale, potrebbe essere  un modo per ritrovarci.

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domenica 25 settembre 2022

Guerre: il pastore cerca sempre di convincere il gregge che gli interessi del bestiame e i suoi sono gli stessi

articoli e video di Markus Andersson, Fulvio Scaglione, Alberto Negri, J. Measheimeir, Tonio Dell’Olio, generale Bartolini,Guido Salerno Aletta, Gianandrea Gaiani, Evgenij Maslov, Vittorio Rangeloni, Davide Malacaria, Giulio Chinappi, Manlio Dinucci, Stefano Orsi, Angelo Baracca, Dario Lo Scalzo, Marco Ludovico, Roberto Mazzoni, Francesco Masala, Totò


Io non sono Pasquale – Francesco Masala

…In una civiltà morente, il prestigio politico è la ricompensa non del diagnostico più sagace, ma di chi si comporta con più tatto al capezzale. È la decorazione conferita alla mediocrità dall’ignoranza…

da La maschera di Dimitrios, di Eric Ambler, 1937 (pag. 57, edizione 2004)

Il caso del rapporto della Rand corporation è interessante.

Se pure non fosse vero è verosimile, e quello che descriverebbe ex-ante è la sintesi di quello che sta succedendo ed è successo, cioè qualcuno ha scritto quello che è successo con una data di qualche mese fa.

Le classi dirigenti dei paesi europei della Nato non capivano che dal 2014, per otto anni, la politica della Nato, attuata dall’Ucraina, è stata quella di costringere la Russia ad intervenire?

Ci sono riusciti, e dopo tanti anni sono stati felici di combattere un invasore diverso da loro stessi.

A me viene in mente Totò:



I Paesi europei sono come Totò, entrano in una recessione pluriennale ridendo, loro non sono Pasquale, noi non siamo Pasquale.

Quando capiranno che tutte le armi che mandano in Ucraina contro i russi servono solo per sparare contro i paesi europei, che sono in un gioco più grande di loro, sarà troppo tardi.

E quando il mantra dell’integrità territoriale diventerà carta straccia, venerato solo dal 24 febbraio dai paesi della Nato, verranno rimpianti con copiose lacrime, un fiume di lacrime,  gli accordi di Minsk, tutti vogliono la pace, ma gli accordi di Minsk erano un accordo di pace, mai rispettato.

Il punto gravissimo è che le classi dirigenti europee hanno scelto senza obiezioni la guerra per procura (la chiamiano così gli irresponsabili, che credono di avere le mani pulite) contro la Russia, come se non ci fosse un passato e un futuro, e tutti noi cittadini lo subiremo sulla nostra pelle per molti anni.

Trattare così il proprio paese e i propri cittadini è proprio alto tradimento.

Ma niente fucilazioni, per carità, l’Europa ha radici cristiane, ci dicono ogni giorno.

Cosa c’è di meglio di una crocefissione in prima serata in tv, è una bellissima idea di George Carlin, mutatis mutandis, quella della crocefissione.

Una ventina di politici, europei e italiani, una volta alla settimana, per un anno, che pena esemplare e istruttiva!

 

siamo entrati in possesso di una lettera, che riproponiamo:

L’Impero scrive a Zelensky

Evitando tutte le formalità, vogliamo ricordarti i termini del nostro accordo.

Tu fai quello che diciamo noi, ti abbiamo dato tutto quello che volevi, hai ville milionarie in molte parti del mondo, non devi dimenticarti mai che noi siamo il produttore e il regista, tu un mediocre attore, il più pagato del mondo.

Ricordi quando volevi fare la pace con Putin, ad aprile? Ti abbiamo mandato con urgenza Boris, che ti ha rimesso sulla retta via.

Avrai letto il nostro piano, quello della Rand, l’abbiamo reso pubblico solo adesso, non potevamo prima, come capisci benissimo.

Otto anni di provocazioni contro i russi, ce ne hanno messo per intervenire, il nostro piano è quello di distruggere la Russia, come piace a voi stati dell’Est e rubare tutto il possibile, siamo i migliori in questo, lo sanno tutti. Quello che non si sapeva pubblicamente e che il rapporto della Rand ha reso chiaro, per chi non l’aveva capito, il nostro piano ancora più importante, è quello di rovinare la Germania (e quindi l’Europa), mors tua vita mea, è la legge dei vampiri.

Chissà se capisci di economia, stavamo per crollare economicamente quando qualcuno (non diremo mai chi) ha pensato a una cosa impossibile da pensare prima, agli attentati dell’undici settembre. Da lì siamo rinati, ma non può durare per sempre, l’economia e il dollaro erano di nuovo in una crisi crescente e irreversibile.

E abbiamo “scoperto” l’Ucraina, un perfetto shithole country (come vi chiama il nostro presidente Trump), da sfruttare e poi gettare nel cesso.

Ora, strapagato Zelensky, non ci rompere le palle con i 60 o 70 mila soldati ucraini morti, poverino, non capivi che le bombe atomiche russe cadranno sull’Ucraina, noi continueremo a provocare, in questa bellissima guerra per procura, nessun soldato dei nostri è tornato in un sacco nero di plastica, la Russia sarà la pecora nera, la Germania è fottuta (e i paesi europei con lei), se l’Ucraina sparirà dalle carte geografiche a noi non interessa.

Tu continua a fare il chiagne e fotte in tutto il mondo, sapevi che il tuo è un numero senza rete, o continuerai con le standing ovations, o finirai ammazzato, tutto può succedere.

Per questo ti invitiamo, Zelensky, a non prendere iniziative che l’Impero non voglia.

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