La Libertà Non Sta Nello Scegliere Tra Bianco E Nero, Ma Nel Sottrarsi A Questa Scelta Prescritta. (Theodor W.Adorno)
venerdì 30 settembre 2022
Giovanotti, fatevi un goccio! - Francesco Gesualdi
La notizia ha fatto subito il giro del mondo perché contravviene a ogni regola di buonsenso sanitario e sociale. In Giappone, la National Tax Agency, il corrispettivo della nostra Agenzia delle Entrate, ha lanciato un concorso a premi riservato ai pubblicitari fra i 20 e i 39 anni, affinché elaborino proposte per promuovere il consumo di alcolici fra i giovani.
Il bando,
aperto dal 14 agosto al 9 settembre, chiede di elaborare non solo messaggi
promozionali accattivanti, ma anche di ideare contenitori e forme di
etichettatura ad alta capacità seducente.
In
particolare si sollecita la creazione di messaggi capaci di promuovere il
consumo di bevande alcoliche in ambito domestico, ricordando che si possono
sempre ricevere comodamente a casa propria tramite rider. E per ottenere
un’alta partecipazione al concorso, l’Agenzia ha fatto sapere che le
migliori proposte saranno premiate pubblicamente nel corso di una
cerimonia organizzata a Tokyo il prossimo 10 novembre.
In più sono previste forme di sostegno pubblico per la
realizzazione delle proposte più convincenti.
L’Agenzia
delle Entrate Nipponica sostiene di avere assunto un’iniziativa tanto bizzarra
per arrestare la perdita di entrate fiscali sulle vendite di alcolici che
da una decina di anni registrano un calo costante.
Per la
precisione in Giappone il consumo di bevande alcoliche, birra compresa, è
passato da 100 litri a persona nel 1995 a 75 nel 2020 con perdite significative
da parte dell’erario. Lo dimostra il fatto che mentre nel 2011 gli introiti
sugli alcolici rappresentavano il 3% delle entrate fiscali, nel 1980
addirittura il 5%, nel 2020 contribuivano appena per l’1,7%.
L’anno
horribilis è stato proprio il 2020 che ha fatto registrare una perdita di oltre
8 miliardi di dollari alle casse pubbliche. E gli esperti non hanno dubbi: la colpa è del
Covid che non solo ha impedito alla gente di frequentare i locali pubblici, ma
quel che è peggio l’ha costretta a lavorare da casa. In Giappone uno dei
momenti in cui si assumono alcolici è nel dopolavoro quando ci si intrattiene
per fare quattro chiacchiere con i colleghi.
Ma il lavoro
a distanza imposto dal Covid ha fatto venire meno quest’occasione e i consumi
di alcolici sono crollati. Il peggio per l’erario è che ragioni di tipo
energetico e climatico rischiano di fare del lavoro a distanza un fenomeno
permanente che trascina con se la cancellazione del tradizionale incontro fra
colleghi accompagnato da un bicchiere di birra.
Nessuno
saprà mai se dietro all’iniziativa della National Tax Agency c’è la mano lunga
delle lobby giapponese delle bevande alcoliche che sarà la prima a
beneficiare di una pubblicità più aggressiva. Ma anche se andasse a
beneficio esclusivo dell’erario, ci sarebbe ancora molto da discutere sulla
liceità dell’iniziativa.
Ciò che
proprio non torna è che pur di far cassa lo stato promuova il consumo di una
sostanza tossica, che può far perdere la padronanza di sé e può indurre
dipendenza. In Italia lo abbiamo già messo in evidenza quando abbiamo condotto
la nostra battaglia contro la pubblicità del gioco d’azzardo: non c’è ragione
finanziaria che possa giustificare la promozione di pratiche e sostanze che
danneggiano la salute delle persone, l’armonia delle famiglie, l’equilibrio
sociale.
Tanto più
che per lo Stato si tratta sempre di una vittoria di Pirro: quanto incassa sotto
forma di imposta sui consumi nocivi lo deve rispendere, forse moltiplicato,
sotto forma di spesa sanitaria, di spesa sociale e di spesa per ordine
pubblico, utile a rimediare i danni creati dalle dipendenze.
Oltre che
per motivazioni di rispetto umano e sociale, la scelta giapponese non può
essere approvata anche per una ragione politica che ha a che fare con la
funzione del prelievo fiscale.
Il fisco, e
la nostra Costituzione lo dice bene, non può essere visto solo come un mezzo
per garantire denaro alle casse pubbliche. Questa funzione deve sempre
conciliarsi almeno con altre due finalità: quella di solidarietà e quella di
redistribuzione della ricchezza in un’ottica di equità.
Non a caso
la nostra Costituzione indica come criterio principe la progressività, da
attuarsi non solo sulle forme di prelievo diretto, ma anche indiretto
riguardanti i consumi. Un criterio che in tempo di campagna elettorale tutte le forze
politiche farebbero bene a tenere presente invece di lasciarsi a dare a
promesse mirabolanti che oltre a essere fasulle sul piano della sostenibilità
finanziaria sono palesemente contro la Costituzione.
Ma oggi che
la crisi ambientale è evidente in tutta la sua gravità, è urgente attribuire al
fisco anche la funzione di orientamento dei comportamenti affinché famiglie e
imprese compiano scelte rispettose dell’ambiente.
Le imposte
sui consumi vanno modulate in modo da incoraggiare i comportamenti virtuosi e
scoraggiare quelli dannosi. In questo solco, ad esempio, si iscrive la tassa sul carbonio, più
nota come ETS, imposta alle imprese in ambito europeo per contenere le
emissioni di anidride carbonica. Ma molte altre varianti andrebbero introdotte
per scoraggiare i consumi superflui e incoraggiare, al contrario, la preferenza
per gli imballaggi leggeri e il riciclo dei materiali.
Alla fine la
grande decisione che dobbiamo prendere è sempre la stessa: dobbiamo scegliere
se privilegiare denaro e potere o persone e
creato. Una scelta che si impone soprattutto quando parliamo di
tasse e di spesa pubblica.
giovedì 29 settembre 2022
Sullo scandalo dell'antisemitismo nel Labour: "C'è stata una manipolazione politica" - David Hearst
Geoffrey Bindman è uno dei più illustri avvocati britannici nel campo dei
diritti umani; è egli stesso ebreo e ha vissuto in prima persona l'esperienza
dell'antisemitismo; è stato per tutta la vita membro del Partito Laburista ed è
amico dei due principali protagonisti di questa battaglia, l'ex leader Jeremy
Corbyn e il suo successore Keir Starmer, che tanto ha fatto per contrapporsi
all’ex leader.
La caccia alle streghe Le denunce di antisemitismo
contro militanti del partito si stanno ancora moltiplicando. Sebbene ciò
sia avvenuto già prima che Starmer assumesse la carica di leader, le accuse
sono rivolte ai militanti ebrei che criticano Israele, molti dei quali sono
membri di Jewish Voice for Labour (JVL), di cui Bindman stesso è membro. JVL è
a conoscenza di 54 militanti ebrei sottoposti a procedimenti disciplinari in
relazione ad accuse di antisemitismo. Di questi, 47 sono membri effettivi della
JVL. Tutti gli 11 membri del comitato esecutivo della JVL hanno dovuto
affrontare azioni disciplinari, nove delle quali in risposta ad accuse di
antisemitismo. Come ha osservato il cancelliere ombra di Corbyn, John
McDonnell, in una lettera a Starmer e a David Evans, segretario generale del
Labour, essere un membro della JVL significa avere 35 volte più probabilità di
essere accusato di antisemitismo rispetto a qualsiasi altro membro del partito.
Sette sono stati espulsi, uno reintegrato. Quattordici sono stati autoesclusi a
causa dell'appartenenza a "Labour Against the Witchhunt" (Laburisti
contro la caccia alle streghe), un'organizzazione che si batte contro quelle
che sostiene essere accuse di antisemitismo politicamente motivate e che è
stata proscritta dal partito l'anno scorso. Alcuni sono stati "sospesi in
modo punitivo" e altri hanno ricevuto un "richiamo alla
condotta".
Per Bindman, l'intero processo, in particolare il deferimento del partito
davanti alla Commissione per l'Uguaglianza e i Diritti Umani (EHRC=Equality and
Human Rights Commission), la quale ha poi riscontrato una
violazione della legge sull’Uguaglianza (1) da parte del Labour di Corbyn, è
stato gestito in modo tendenzioso.
"C'erano buone ragioni per mettere in discussione le procedure del
partito per la gestione delle denunce di discriminazione razziale, compreso
l'antisemitismo, e il partito ha giustamente provveduto a cambiarle. Ma
non c'erano prove concrete che il partito stesso avesse violato la Legge
sull'Uguaglianza", spiega a Middle East Eye. "La cosa
peggiore è che il partito ha preso tutto con filosofia. Violare la legge è una
cosa seria. Hanno accettato il giudizio quando avrebbero dovuto invece respingerlo".
Ma andiamo per ordine: che cos'è l'antisemitismo secondo
Bindman? La definizione di Bindman è come quella del dizionario
Oxford: "ostilità o pregiudizio contro gli ebrei in quanto
ebrei". "Per me è questo. Purtroppo, nella nozione di
antisemitismo si è insinuata l'idea di ostilità nei confronti dello Stato di
Israele, che credo sia stata introdotta in modo piuttosto cinico da persone che
sostengono fortemente Israele, compreso lo stesso governo israeliano, allo
scopo di reprimere le critiche alle politiche di Israele riguardo al
trattamento dei palestinesi".
Bindman non ha solo studiato l'antisemitismo per tutta la vita. Lo ha
sperimentato. Quando andava a scuola nel nord-est della Gran Bretagna,(anni
‘50, NdR) l'antisemitismo era moneta corrente. Si dava per scontato che gli
ebrei fossero una minoranza culturale, generalmente da disapprovare.
"Eravamo trattati con sospetto e con una certa dose di paura".
Durante la sua infanzia, Bindman fece parte della comunità ebraica: il nonno
era ministro della sinagoga e lui seguì una formazione intensiva per il suo Bar
Mitzvah. A scuola, nella Royal Grammar School di Newcastle, i ragazzi ebrei non
andavano a pregare, ma avevano una stanza separata per il loro culto.
La emarginazione Bindman la avvertì quando iniziò a muovere i primi passi
come avvocato, fine anni ‘50. Aveva conosciuto un socio anziano di un
importante studio legale di Newcastle, che accolse a braccia aperte il
promettente laureato di Oxford. Lo convinse a rinunciare al tirocinio presso
l'Ordine degli Avvocati per diventare subito avvocato nel suo studio. A
settembre, quando avrebbe dovuto iniziare, lo zio di Bindman, anch'egli
avvocato, gli chiese: "Lo sa che sei ebreo?". A Bindman, la cui
famiglia era molto conosciuta a livello locale, non era venuto in mente di pensarci.
“Così, mentre uscivo dall'ufficio dopo una chiacchierata preliminare con il mio
nuovo capo, gli ho detto: "Lei sa che sono ebreo, vero?". E lui
rispose, e ricordo le sue parole: 'Certo che lo sapevo. Ma visto che ne ha
parlato, forse dovrei mettere in chiaro una cosa: lei non potrà mai diventare
socio di questo studio". Me ne andai e non lo vidi mai più".
"Ho studiato molto l'antisemitismo. Oggi ne abbiamo pochissimo, se ci
atteniamo a come lo definisce la legge. Tutte le barriere, le restrizioni
formali, gli studi che escludevano del tutto gli ebrei, e ce n'erano diversi,
sono scomparsi. Da allora, nella mia vita quotidiana ho incontrato raramente
gravi episodi di antisemitismo. Ma sono molto sensibile ai segni sottili, come
le espressioni facciali di disapprovazione, che interpreto come
antisemiti".
Bindman ha avuto una storia lunga nel Partito Laburista, come consigliere,
vice leader del consiglio di Camden e presidente della Society of Labour
Lawyers (Associazione degli Avvocati Laburisti). Ha assistito diverse figure di
spicco del partito, anche se non Corbyn. "Ho avuto uno stretto
coinvolgimento con il Partito Laburista per molti anni e posso dire di non aver
mai avvertito l'antisemitismo tra i compagni di partito o nelle riunioni
laburiste". Non è il solo a esprimere questo giudizio.
L'idea che un ebreo sia antisemita è, nelle sue parole, "piuttosto
difficile da digerire". Bindman non nega che l'antisemitismo esista nel
partito, come ovunque, ma concorda con la valutazione di Corbyn in risposta al
rapporto dell'EHCR, e cioè che in tale rapporto il problema dell'antisemitismo
era stato esagerato - una valutazione che ha determinato l'espulsione di Corbyn
dal gruppo parlamentare laburista. "Egli riteneva che il problema fosse
stato ingigantito all'interno del Partito Laburista. Non ha detto che
l'antisemitismo in sé non fosse molto importante, ma ha detto che non era così
diffuso come era stato detto e su questo ha assolutamente ragione.
"Si possono esaminare tutte le statistiche e gli studi che sono stati
fatti. Se si guardano i fatti, non si può giustificare ciò che Keir
Starmer ha detto o fatto, a meno che non li abbia usati come pretesto. Una
strategia politica. Questo è tutto ciò che posso dire".
Jeremy non è antisemita Per quanto riguarda Corbyn, Bindman è
categorico nel suo giudizio: "Jeremy non è antisemita". Bindman
si rimette a Geoffrey Alderman, nel suo ricordo del sostegno di Corbyn alla
comunità ebraica nel suo collegio elettorale. "Nel 1987 la Sinagoga
di West London si rivolse al Consiglio di Islington con una proposta
sorprendente: vendere il suo cimitero originario a dei promotori immobiliari,
distruggendo le lapidi e scavando e seppellendo nuovamente i corpi che
giacevano sotto di esse", ha scritto Alderman sullo Spectator. Questo
cimitero (risalente al 1840) non era solo di grande interesse storico e
architettonico: secondo gli ebrei ortodossi, la distruzione deliberata di un
cimitero è sacrilega". Così, quando il Consiglio di Islington accolse la
domanda di costruzione, fu lanciata una campagna guidata dagli ebrei della
zona, che alla fine ebbe successo, per far revocare la decisione. Io partecipai
a questa campagna. E Jeremy Corbyn pure. "A quel tempo,
l'allora Presidente del Consiglio di Islington (1982-92), la cui decisione di
permettere la distruzione del cimitero fu alla fine annullata, era nientemeno
che Margaret Hodge (1) (anche se non è chiaro se fosse personalmente a favore
della proposta)".
Corbyn non ha mai usato questo e molti altri atti compiuti a favore della
comunità ebraica del suo collegio elettorale per difendersi, un errore per una
persona la cui posizione personale come leader è stata continuamente soggetta
dall'incessante accusa di tollerare il razzismo tra i suoi sostenitori.
I continui attacchi ai membri del Labour da parte di chi si autoproclamava
alfiere nella Campagna Contro l'Antisemitismo, sono diventati troppo anche per
Hodge, che pure aveva avuto un ruolo centrale in questa vicenda. Nel
2018, in una furiosa lite alla Camera dei Comuni, Hodge affrontò Corbyn dopo un
voto cruciale sulla Brexit. Risulta che gli abbia detto: "Sei un
fottuto antisemita e un razzista. Hai dimostrato di non volere persone come me
nel partito". Queste parole erano protette dalla riservatezza
parlamentare, ma lei ha poi ripetuto l'accusa di razzismo contro Corbyn in un
articolo per il Guardian. Corbyn non si è difeso né verbalmente né legalmente,
rifiutando il consiglio del suo avvocato personale di farlo.
Oggi Hodge cerca di mettere fine a questa campagna. Ne ha abbastanza dei
continui tentativi di denunciare i membri del suo partito per
antisemitismo. Dopo le critiche del gruppo
a Starmer per aver utilizzato il memoriale dell'Olocausto di Berlino in un
video politico, Hodge ha twittato: "Sono stufa che la CAA (Campaign Against
Antisemitism) usi l'antisemitismo per attaccare il Labour. È ora di chiamarli
per quello che sono e per chi sono veramente: più preoccupati di minare il
Labour che di sradicare l'antisemitismo".
Bindman afferma: "Jeremy mi piace moltissimo. È stato un ottimo
parlamentare. Nessuno lo mette in dubbio. Ma ha i suoi difetti. E parte del suo
problema è che è troppo onesto e troppo riservato per essere un leader ideale.
Non è tattico. Dice solo quello che pensa, il che lo mette nei guai. E non
si difende mai".
EHRC: un'indagine pasticciata Ma è la decisione
stessa dell'EHRC di condurre un'indagine che indigna Bindman.
Bindman, che aveva partecipato alla formulazione della legge
antidiscriminazione (2010)come consulente legale ai predecessori dell'EHRC, definisce
il rapporto stilato dell'organismo "un animale molto strano" e
afferma che le denunce iniziali sono "quasi tutte prive di fondamento,
come lo stesso EHRC ha riscontrato". Il principale tipo di
comportamento illegale ai sensi dell'Equality Act è la discriminazione, che può
essere diretta o indiretta, per motivi razziali o altri motivi che fanno parte
di un elenco. Bindman concorda sul fatto che i motivi razziali comprendono
chiaramente l'antisemitismo, a patto di definire cosa sia l'antisemitismo.
Esistono anche reati sussidiari, tra cui le molestie. "Le molestie
devono riguardare un motivo, in questo caso la razza o la religione. Le
denunce, che furono almeno 200, riguardavano quasi tutte critiche a Israele in
relazione alla Palestina. Tutte le accuse, tranne quattro, sono state
giustamente respinte,e così come avrebbero dovuto fare con le
altre".
L'EHRC richiese al Partito Laburista i documenti relativi a 20 persone,
tutte di sinistra. Corbyn collaborò. Avviò anche una propria inchiesta che avrebbe
dovuto aiutare l'indagine dell'EHRC i cui contenuti vennero fatti trapelare.
Martin Forde, l'avvocato a cui Starmer chiese di indagare sul rapporto
trapelato, fece passare la tesi, ampiamente riportata all'epoca, secondo cui
Corbyn sarebbe intervenuto nel processo disciplinare con la propria inchiesta
con lo scopo di proteggere gli amici.
Forde dichiarò che è "del tutto fuorviante" insinuare che le
indiscrezioni ed e-mail trapelate siano la prova che l'ufficio di Corbyn si sia
"inserito senza preavviso nel processo disciplinare per motivi di
fazione". Il rapporto promosso da Corbyn è stato l'indagine più
dettagliata mai condotta sul funzionamento interno di un partito politico, con
860 pagine e decine di migliaia di e-mail interne. Ma tale rapporto è stato
ignorato dall'EHCR. L'EHCR ha ammesso di averlo ricevuto, ma non ha chiesto
l'allegato, i documenti e tutte le e-mail.
L'EHCR ha fatto quattro constatazioni di atti illegali da parte del Partito
laburista. Due si riferivano a Ken Livingstone e a un consigliere locale.
Secondo l'EHCR, i due erano colpevoli di pressioni politiche illegali, ma che
anche il Partito laburista era responsabile in quanto essi agivano a nome del
partito.
Bindman definisce questa affermazione "un'assurdità
giuridica". "Se agivano per conto del partito,
significa che ogni iscritto agisce a nome del Partito laburista. Non ha senso.
Questi due risultati non hanno senso". Gli altri due rilievi
riguardavano pratiche discriminatorie indirette, come la presunta interferenza
dell'ufficio di Corbyn nella gestione delle denunce. Quel che sappiamo da Forde
è che l'organismo che conduceva l'indagine chiedeva aiuto all’ufficio di
Corbyn, e che quel che faceva l’ufficio era di dare aiuto molto più che
interferire. Nella misura in cui si può dire che abbiano interferito, è stato
soprattutto per aiutare a far accelerare denunce, non per influenzare il
risultato". L'altra denuncia accolta riguardava la formazione.
"Non c'era nulla che indicasse una discriminazione nella formazione. Forse
c'è stata una cattiva formazione, ma non ci sono prove che le denunce di antisemitismo
siano state trattate in modo discriminatorio".
Bindman non risparmia le sue conclusioni: "Penso che ci sia stata una
manipolazione politica e che le accuse fossero quasi del tutto false.
L'antisemitismo è presente ovunque, ma è stato sbagliato accusarne il Partito
Laburista, individuare Jeremy Corbyn, avviare un'indagine sul Partito
Laburista".
Persona non grata C'è un poscritto a questa triste storia,
e riguarda il rapporto di Bindman con Starmer. I due hanno lavorato insieme per
molti anni e si conoscono bene. Inoltre, Bindman non è un corbynista
senza riserve. Dal punto di vista politico, rifiuta una netta divisione tra
sinistra e destra e trova ancora difficile ritenere Starmer personalmente
responsabile di tutto ciò che è accaduto nel partito. Recentemente
Bindman e Starmer si sono incontrati e i due si sono scambiati delle e-mail.
"Mi ha mandato un'e-mail qualche mese fa dicendomi di prendere un caffè.
Gli ho risposto immediatamente dicendogli l'ora e il luogo e non l'ho più
sentito. Poi l'ho visto circa sei settimane fa. Gli ho detto: "Cosa è
successo al nostro caffè?". Lui si è scusato e mi ha detto: 'Non ho il
controllo della mia agenda'". Bindman non ha ancora sentito Starmer.
"Ho la sensazione di essere una persona non grata".
(1) La Legge sull'Uguaglianza (Equality Act) è una legge del 2010 che offre
protezione contro la discriminazione basata su nazionalità, cittadinanza,
religione o convinzioni personali, disabilità, età, sesso, orientamento
sessuale e genere
(2) Hodge è figlia del fondatore di Stemcor, acciaieria di cui
è tutt’ora azionista di riferimento
NdR: Corbyn, eletto segretario del Labour nel 2015, venne
subito osteggiato dall’apparato del Labour ereditato dal precedente
segretario Miliband. Su come
l’apparato, sostenuto dalla lobby filo-israeliana Jewish Labour Movement (JLM), abbia
boicottato i candidati di sinistra nella campagna elettorale del 2019, con il
pessimo risultato elettorale di cui fece poi le spese Corbyn, vedi:
Labour's Forde report is devastating on factional war against Corbyn, Peter Oborne https://www.middleeasteye.net/opinion/uk-labour-forde-inquiry-corbyn-factional-war-devastating
How the EHRC antisemitism report added fire to Labour's simmering civil
war, Jonathan Cook https://www.middleeasteye.net/opinion/ehrc-labour-antisemitism-civil-war-fire-added
Praying for defeat: Labour insiders accused of w
recking Corbyn campaign in leaked report, https://www.middleeasteye.net/news/labour-party-leaked-corbyn-antisemitism-hyper-factional
(Traduzione a cura di Claudio Lombardi di Associazione di Amicizia Italo Palestinese)
Disabilità in costante aumento? - Daniele Novara
Era ora che una rivista di grande prestigio e diffusione
come Tuttoscuola affrontasse uno dei nodi più critici e sconvolgenti
del panorama scolastico italiano degli ultimi vent’anni: l’aumento delle
neurodiagnosi di disabilità. Siamo su numeri davvero imbarazzanti: 277.840
nell’anno in corso (2021) su una popolazione di 7.407.312, ossia circa il
3,8 per cento degli alunni ha o avrebbe disabilità, finendo sotto il
cappello della Legge 104 e pertanto necessita dell’insegnante di sostegno e
dell’assistente educativo. Si tratta della legge generale sulla disabilità che
si usa anche per gli anziani, una legge che, in caso di basso reddito, dà
diritto a un assegno e, nel caso di lavoro dipendente, a tre giorni di assenza
dal posto di lavoro.
Chi sono questi alunni con disabilità? Questi 280 mila alunni/e che
vivono sotto l’ombrello scolastico della disabilità? L’immaginario va alla
carrozzina, l’immaginario va al bambino o ragazzo con grave deficit cognitivo;
l’immaginario va – infine – al bambino Down. Dimentichiamocene. Sono in
stragrande maggioranza disabilità su neurodiagnosi riguardanti stati emotivi o
psicoemotivi e stati comportamentali. Si tratta di sigle che cominciano a
entrare nell’immaginario collettivo: ADHD che la vulgata traduce in
ipercinetismo; DOP per il disturbo oppositivo provocatorio; specialmente, negli
ultimissimi anni, il boom dell’ASD, il cosiddetto spettro autistico, anch’esso
su base emotiva e comportamentale. In altre parole, sono bambini, ragazzi,
alunni che non si presentano in maniera molto dissimile da tutti gli altri, non
hanno subito traumi alla nascita, ma si comportano “male”. Le loro
emozioni sono eccessive, hanno reazioni parossistiche, il grado di adesione
alla vita scolastica è basso, a volte molto basso. Nel giro di un tempo
abbastanza rapido (dieci-quindici anni), nella scuola italiana è scomparso
l’alunno cosiddetto “difficile”. Tutti gli insegnanti che hanno lavorato negli
anni Settanta-Novanta ne avevano uno in classe: complicato da gestire, che
provocava, che non seguiva alla lettera le attività proposte, che disturbava i
compagni e che interveniva mentre l’insegnante stava spiegando, o tentava di
farlo. Insomma, un soggetto un po’ terribile, una specie di Lucignolo. A un
certo punto, questi monelli non sono più stati tollerati, non tanto sotto il
profilo disciplinare, ma sotto un altro profilo: il loro comportamento
“trasgressivo” non è più stato considerato un disturbo all’attività scolastica,
ma un disturbo in quanto tale, ossia una malattia, altrimenti detta “disturbo
neuropsichiatrico”. Ribaltando quindi la percezione del bambino da “alunno che
disturba” ad “alunno che ha un disturbo”.
Ed ecco che tanti genitori si sentono raggiungere dalla frase “Fatelo vedere…”. E
non si tratta di farlo vedere dal pediatra, bensì dal neuropsichiatra
infantile, ovvero da colui che studia, cerca e cura le malattie mentali.
Ritengo che sarebbe molto più utile indagare quale educazione
ricevono questi alunni. I genitori devono prendere in continuazione decisioni
educative: andrebbero preparati, andrebbero date loro informazioni al riguardo,
meglio se appena escono dai reparti di maternità. La mancanza di informazioni
pedagogiche attendibili sta compromettendo l’educazione dei nostri figli e la
situazione viene risolta stabilendo che sono malati.
Vediamo un caso in cui il problema psichiatrico e il problema educativo vengono
confusi: Filippo è un bambino di sei anni, ha iniziato la prima elementare da
un mese circa, i genitori ricevono dalle insegnanti un avviso sul diario per un
colloquio urgente. Filippo fa fatica, non ascolta, si muove in continuazione,
corre per la classe, fa dispetti ai compagni. Le maestre non ce la fanno da
sole e invitano i genitori a recarsi all’Asl di riferimento per una visita
neuropsichiatrica. Inizia così un iter che porterà Filippo sulla strada della
neurodiagnosi e dell’insegnante di sostegno. Nessuno si preoccupa del
tipo di educazione che Filippo sta ricevendo in casa.
Dorme regolarmente nel lettone con i genitori, la mamma lo veste il mattino
prima di andare a scuola perché il bambino ci mette troppo tempo e spesso gli
prepara un biberon di latte e biscotti che finisce di bere sulla macchina. Lo
pulisce anche in bagno perché lui non lo sa fare bene. Quando torna da scuola
passa almeno due ore (e nel weekend molto di più) davanti al tablet, che
possiede dall’età di tre anni. Usa liberamente il cellulare dei genitori per
cercare giochi o vedere video divertenti. In tutto dorme otto ore perché prima
delle 22,30 non vuole mai andare a dormire (perdendo in questo modo almeno
un’ora di sonno ogni notte). La mamma lo chiama «amore» e lo bacia spesso sulle
labbra. Al parco non ci vanno quasi mai perché il bambino si lamenta che gli
altri lo prendono in giro.[1]
Sono passati oltre quarant’anni da quando, nel 1977, l’Italia decise di
chiudere le classi differenziali per alunni con lievi ritardi o con
problemi di condotta o in situazioni di disagio sociale e famigliare e svuotare
le scuole speciali per sordi, ciechi e anormali psichici. Con questa legge, la
517/77 – che arrivò ancora prima della chiusura dei manicomi – furono abolite
quelle classi in cui venivano concentrati i bambini con disabilità, in genere
con ritardo cognitivo, e venne introdotto l’insegnante di sostegno nella
gestione della didattica. Nel frattempo, è cresciuto di anno in anno il
processo di medicalizzazione delle nuove generazioni.
Scambiare l’immaturià infantile, che è fisiologica e imprescindibile, con
un disturbo neuropsichiatrico è quanto mai un azzardo.
Se il bambino non è più un bambino in quanto tale, ma un paziente, la sua
natura e la sua energia infantile si spengono per adeguarsi a un eccesso di
definizione diagnostica.
Un intervento di rafforzamento pedagogico dedicato ai genitori e alla
famiglia sarebbe più efficace rispetto al porre una specie di marchio sui
bambini che finiscono per essere reputati “diversi” dai genitori stessi.
Va inoltre segnalato che tanti sistemi diagnostici non sono completamente
affidabili e andrebbero applicati con maggiore prudenza. Il rischio è che
l’alunno, invece di attingere alle proprie potenzialità, resti sempre in attesa
di un aiuto esterno che possa sostituirsi a lui, finendo addirittura per
indentificarsi non tanto con le risorse che ha in sé quanto con la loro
mancanza, riconoscendosi in uno status precario.
Come spiega Michele Zappella, tra i primi in Italia ad affrontare i
disturbi dell’autismo:
“In poco più di due decenni, l’epidemia di autismo ha moltiplicato le
diagnosi fino a quasi settanta volte, il tutto senza tenere presente che nei
primi anni di vita ci sono variazioni della norma, difficoltà transitorie nel
comportamento e vari disturbi del neuro-sviluppo. I disturbi specifici
del linguaggio e i disturbi d’ansia sociale vengono spesso scambiati per
disturbi autistici. Ci sono bambini normali che possono essere
chiamati in causa da implacabili cacciatori di autismo. È necessario avere ben
chiari quali sono gli aspetti centrali di ognuna di queste condizioni e
situazioni, comprese in primo luogo quelle in cui c’è un comportamento
autistico”.[2]
La rinuncia educativa sembra essere una sorta di profonda combinazione fra
la paura dei genitori rispetto alle proprie responsabilità e la stanchezza
della scuola nel momento in cui si dovrebbe impegnare in favore di quegli
alunni che più di altri hanno bisogno di aiuto. Invece di aumentare
le certificazioni neurodiagnostiche, è il caso di sostenere i genitori nelle
loro funzioni educative, dando informazioni adeguate, chiarendo dubbi e
favorendo il gioco di squadra, evitando così di trasformare l’ambiente
scolastico da comunità di apprendimento a luogo di terapia. Occorre sostenere
gli insegnanti e le scuole che sanno lavorare sul versante educativo piuttosto
che su quello diagnostico.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Novara, I bambini non sono malati, sono bambini. recuperare il
ruolo educativo adulto per evitare la patologizzazione dell’infanzia, in
“Minori e giustizia. Rivista interdisciplinare di studi giuridici, pedagogici e
sociali sulla relazione fra minorenni e giustizia”, n. 3/2019
2. Novara, L’immaturità infantile non può diventare una diagnosi, in
“Psicologia clinica dello sviluppo”, a. XXIV, n. 1 aprile 2020, pag. 91-96
3. Novara, Non è colpa dei bambini. Perché la scuola sta rinunciando a
educare i nostri figli e come dobbiamo rimediare. Subito., BUR-Rizzoli, Milano
2017
4. Zappella, Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici e iperattivi:
cattive diagnosi ed esclusione, Feltrinelli, Milano 2021
[1] D. Novara, I bambini sono sempre gli ultimi. Come le istituzioni
si stanno dimenticando del nostro futuro, BUR-Rizzoli, Milano 2020
[2] M. Zappella, Quando l’autismo è una falsa diagnosi, in
«Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica», n. 4,
2018, pp. 48-50.
mercoledì 28 settembre 2022
dopo le elezioni
scrive Luca Bravi
In quanto componente più anziana, toccherà a Liliana Segre aprire
i lavori del Senato, quello a larga maggioranza composto dal partito che, se
vai a ritroso (ma ce lo ricorda bene la fiamma sul simbolo), come minimo arrivi
al MSI che si dichiarava erede dei fascisti. È una consuetudine, per carità, ma
ci si aggiunge un simbolismo potente, un po' come la sconfitta di Fiano
(il figlio di Nedo) contro Rauti (la figlia di Pino). C'è chi legge il fatto
che sia Liliana Segre ad aprire i lavori, come il simbolo di valori che restano
a garantire il lavoro istituzionale democratico, forse pure sbattuto in faccia
alla nuova maggioranza (e alla sua storia ripudiata a giorni alterni), eppure
immaginarmelo mi crea un po' di pensieri negativi. Liliana Segre, come giusto
che sia, sarà accolta dagli applausi dell'aula, sarà doveroso, scontato e pure
giusto. A preoccuparmi è proprio questo: sarà l'ennesima occasione in cui,
attraverso facili simbolismi esposti in pubblico e mai nella pratica
quotidiana, l'estrema destra più forte di sempre in Italia potrà ancora una
volta dirci di essere lontana da quella storia di odio, di sterminio e di
razzismo del Novecento. Eppure restano gli stessi che, nel Ventunesimo secolo,
hanno concretamente promosso politiche d'odio e di allontanamento, anche dalle
scuole, perfino negando i pasti alla mensa ai bambini.
La Shoah non è la stessa cosa delle politiche razziste di oggi,
dal punto di vista storico è pure vero, ma attenzione ad usare la memoria della
Shoah allontanandola dalle domande sul presente, perché diventa un simbolo
vuoto, a quel punto utile solo come una fetta di prosciutto sugli occhi, per
far finta che tutto procederà tranquillamente (ci siamo talmente abituati che è
diventata un'abitudine bipartisan piangere per i crimini passati, ma
giustificare sempre quelli del presente). L'esposizione pubblica del simbolo
"Liliana Segre" in questa occasione, seppur azione dovuta per
consuetudine istituzionale, porta con sé anche questa seconda faccia della
medaglia, meno scontata e comunque presente. Mi pare piuttosto il segno
dei tempi.
Riflessione "a
tiepido" - Francesco Filippi
E se fosse meglio così?
Il prossimo governo, probabilmente, gestirà la migrazione come un
reato; chiuderà mille occhi sulle violenze ai confini della Festung Europa e
anzi le favorirà; affosserà i progetti sull'allargamento dei diritti a tuttə;
interverrà con leggi sul concepimento ma non sul fine vita; tratterà il diritto
di cittadinanza come un privilegio; smonterà coscientemente le tutele che
difendono i diritti del lavoro; negherà lo sviluppo democratico dell'apparato
di sicurezza dello stato, dai numeri sui caschi degli agenti alla protezione
degli individui dall'invasione delle multinazionali dei dati; favorirà il
privilegio di rendita rispetto al diritto al salario giusto; si occuperà di
opere cementizie strategiche concepite anni fa trascurando l'infrastruttura
sociale e culturale del paese di oggi; taglierà la sanità pubblica lasciando
campo libero alla privata, ecc. ecc...
Rimarrà, insomma, nel solco di TUTTI i governi degli ultimi dieci
anni.
Solo che almeno sarà "sincero": non racconterà favole sulle
necessità contingenti, sulle opzioni limitate di breve termine, sulle
difficoltà interne allo schieramento. Farà quel che ha sempre detto di voler
fare.
E questo costringerà ad essere noi pure sincerə nell'opporci, o
nell'accettare.
Ci costringerà a scegliere.
Finalmente.
Che fare dopo il voto? È ora di scelte radicali contro
gli apparenti “padroni della storia” - Lorenzo Guadagnucci
La fine, stavolta,
era nota. Chi ha corso per vincere (la destra) ha vinto, chi ha corso per non
vincere (Partito democratico e possibili alleati) ha perso. Tutto come
previsto, dunque, nelle elezioni politiche più scontate della storia recente,
in virtù di un sistema elettorale non proporzionale e delle scelte compiute
prima del voto (allearsi a destra, non allearsi nella non destra). Ora la
parola la prenderanno i politologi (che passeranno in rassegna i flussi
elettorali e i nuovi “colori” di città e Regioni) e gli editorialisti, che come
al solito consiglieranno la linea politica ai vari leader di
riferimento. Poi si insedierà il nuovo governo, che in Europa è già definito
-seguendo gli standard internazionali- di estrema destra,
invece del pudico e conciliante, nonché fuorviante, “centrodestra” in uso
sui media italiani.
Poi c’è tutto il
resto, ossia le cose più importanti, visto che queste surreali elezioni hanno
eluso i temi cruciali del momento e del futuro più prossimo. Si è votato nel
pieno di una guerra europea e nei giorni della sua escalation.
Nessuno, in campagna elettorale, ne ha fatto davvero menzione ma mentre
mettevamo le schede nelle urne, a Mosca, Kiev e Washington si discuteva e
tuttora si discute, con sconcertante leggerezza, del possibile -se non probabile-
uso di armi atomiche “tattiche” in Ucraina da parte di Vladimir Putin e del
tipo di risposta che l’Occidente (cioè gli Stati Uniti) eventualmente
sceglierà: una bomba “tattica” su una città russa o sulla capitale? Una bomba
non tattica, o altro ancora? E mentre fingevamo di partecipare a una
competizione (che, come detto, non c’è mai stata), tra cosiddetto centrodestra
e cosiddetto centrosinistra, si contavano ancora morti e dispersi
nell’alluvione delle Marche e scattavano in mezza Italia allarmi meteo sempre
più allarmanti. Senza che, ovviamente, si parlasse davvero e seriamente di
mitigazione degli effetti del disastro climatico in corso, del dissesto
idrogeologico del Paese, dell’urgenza di riorganizzare la vita collettiva in
modo da ridurre i consumi di energia, di suolo, di risorse scarse.
Possiamo dire,
insomma, che abbiamo avuto elezioni menzognere (per il falso dibattito su una
competizione che non c’è mai stata) e anche anacronistiche, poiché le questioni
più pressanti e cruciali del nostro tempo ne sono rimaste incredibilmente
fuori. Non c’è da sorprendersi, in questo quadro, se il numero degli
astensionisti ha superato un terzo degli elettori, e nemmeno del successo di
forze politiche che si rifanno al nazionalismo novecentesco, all’eterna fascinazione
per il fascismo, a una vocazione identitaria vicina al suprematismo bianco
statunitense: è il frutto, tutto ciò, del progressivo sgretolamento della
cultura democratica, socialista e antifascista, minata al suo interno -ormai da
un trentennio- dall’avvento dell’ideologia neoliberista. Nel rifiuto di
un’analisi onesta della crisi profonda di un intero modello di sviluppo e di
sistemi democratici che a quel modello hanno legato la propria sorte (vale
ancora per tutti il motto di Margaret Thatcher “There is no alternative”, non
ci sono alternative), la regressione verso una visione difensiva, suprematista
e conservatrice del mondo non può essere una sorpresa.
Alcuni politologi
già propongono una ridefinizione dello spazio politico istituzionale italiano
ed europeo, secondo la quale ci sarebbero ormai tre poli: una destra
neoliberista nazionalista con venature suprematiste (la destra al potere in
Ungheria, Polonia e ora in Italia; il partito di Marine Le Pen in Francia; i
neofranchisti di Vox in Spagna); un centro ugualmente neoliberista ma
europeista e con venature progressiste sui diritti individuali (il partito di
Emmanuel Macron in Francia; il binomio Spd-Verdi in Germania; il cosiddetto
centrosinistra in Italia); infine una sinistra erede delle idee socialiste e
aperta al nuovo vento ecologista, con venature populiste (qui si portano le
esperienze della France insoumise di Jean-Luc Mélenchon e degli spagnoli di
Podemos, mentre in Italia si attende una possibile evoluzione del Movimento 5
stelle o almeno del suo elettorato, con nuove organizzazioni da costruire).
Osservato sotto questa lente, l’esito elettorale del 25 settembre risulta in
effetti più chiaro e può far pensare a un astensionismo giovanile e di sinistra
dovuto alla sommatoria di una campagna elettorale fuori dal tempo presente e di
una proposta politica -quanto al polo di sinistra- ancora opaca e
insufficiente.
In un quadro così
bloccato, torna la domanda di sempre, l’assillo di chi vuole dare un senso al
proprio impegno civile e politico guardando a un orizzonte di giustizia sociale
e alle future generazione; la domanda è: che fare? La risposta è semplice a
ardua allo stesso tempo: quello che si è sempre fatto, ma con più forza, con
più lungimiranza, con l’urgenza imposta da avvenimenti sconvolgenti come la
minaccia nucleare, l’annunciata recessione globale, gli effetti sempre più
incombenti del disastro climatico: quindi studiare, organizzarsi, agire. È il
tempo, questo, delle scelte radicali; è l’ora di mettere in discussione il
modello di sviluppo e i sistemi politici che lo sostengono, avviati -lo abbiamo
visto- verso una regressione illiberale; è l’ora di pretendere dagli apparenti
padroni della storia -potenziali apprendisti stregoni- di indicare vie di
uscita dalla guerra in Ucraina prima che sia troppo tardi (c’è sempre una via
d’uscita ed è incredibile che le diplomazie e le istituzioni sovranazionali
siano state messe in un canto); è l’ora di mettere la giustizia climatica, che
è anche giustizia sociale globale, al centro delle scena, politicizzando
l’ondata ecologista, rimasta finora sulla superficie delle cose; è l’ora di
impegnarsi, di contestare e partecipare, è l’ora di organizzarsi avendo come
orizzonte una trasformazione profonda dei modi di produrre, di consumare, di
vivere, di stare insieme e una conseguente, altrettanto profonda trasformazione
di sistemi politici che si stanno rivelando obsoleti, incapaci di affrontare le
sfide del nostro tempo, se non proponendo illusorie scorciatoie destinate a
moltiplicare ingiustizie, sopraffazioni e guerre.
È una sfida
enorme, ma non deve spaventare: cambiare il corso apparentemente ineluttabile
della storia si può, è già successo e può accadere di nuovo.
Le prime considerazioni economiche sull’esito del
voto. E su quello che ci attende - Alessandro Volpi
Non è semplice
trarre considerazioni chiare, in termini economici, sugli esiti dell’ultima
tornata politica. Tuttavia tre mi sembrano più evidenti di altre. La prima ha a
che fare con le ragioni della sconfitta del centrosinistra nel suo insieme ed è
riconducibile alla fantomatica “agenda Draghi”. Provo a spiegare il perché
penso abbia influito, e molto.
L’agenda Draghi è
stata il paradigma della volontà di alcune forze politiche di trasformare le
elezioni in un plebiscito su Mario Draghi: volete ancora Mario Draghi? Votate
per noi. Questa semplificazione ha determinato la composizione degli
schieramenti nel centro sinistra e il loro programma, generando tuttavia, una serie
di paradossi a cominciare dal fatto che neppure le forze a favore di Draghi
hanno composto un’unica coalizione, rompendo subito l’alleanza in nome della
maggiore o minore “ortodossia” nei confronti dell’agenda. C’è stato poi il
paradosso che la coalizione di centrosinistra ha aperto subito ai cosiddetti
“avversari” dell’agenda Draghi, creando un “certo” disorientamento. Ma i limiti
veri dell’agenda Draghi erano altri.
Intanto, non
esisteva un’agenda Draghi in quanto tale ma esisteva solo Draghi come garante,
in pratica senza vincoli, del futuro italiano. In questo senso si configurava
un altro limite di quell’agenda: se si trattava di un mero artificio narrativo
per sostenere Draghi, allora diventava ben poco credibile che centrosinistra e
“terzo polo” non avessero avuto la capacità, anche separatamente, di esprimere
un proprio leader in grado di aspirare a ricoprire la carica di presidente del
Consiglio.
C’era poi un
ultimo, decisivo limite: un Paese piegato, con disuguaglianze sociali in
continua crescita, con una povertà dilagante resa drammatica dall’inflazione
non aveva bisogno di rigorosi custodi dell’equilibrio finanziario che si
traduceva inevitabilmente nella riproposizione di un modello adottato dal 2011
in avanti. L’inesistente agenda Draghi è stata percepita come un mantenimento
dello status quo sociale, con la conseguente ulteriore polarizzazione dei
redditi e con una fiducia davvero cieca nell’Europa in quanto tale, nel momento
in cui proprio l’Europa sta cambiando profondamente pelle. Come era possibile
pensare che reggesse i termini elettorali un ceto politico, impegnato
unicamente a ricandidarsi, limitandosi a ergere Mario Draghi a sola icona
politica e abbandonando ogni rappresentazione sociale e ogni capacità critica
verso la Nato, verso l’Unione europea e verso un liberalismo moderato da anni
Novanta? L’inesistente agenda Draghi, a mio parere, ha fatto perdere il senso
della complessità della democrazia popolare.
La seconda
considerazione guarda in prospettiva futura. La recente audizione di Christine
Lagarde, presidente della Banca centrale europea, presso la Commissione affari
economici del Parlamento europeo è la dimostrazione che in Europa è in corso
una pericolosa involuzione monetarista. In estrema sintesi la presidente della
Bce ha dichiarato, in sequenza, che l’inflazione durerà a lungo e che
l’economia europea sta per entrare in recessione. Di fronte a ciò -ha
continuato Lagarde- la ricetta è molto chiara: aumenti dei tassi d’interesse,
drastica riduzione degli acquisti di titoli del debito pubblico, contenimento
salariale e scudo anti-spread applicabile solo con onerose
condizionalità. Siamo tornati all’era Trichet, con la differenza non banale che
ora l’inflazione può davvero fare male in termini sociali e aggravarla con
soluzioni inefficaci e, al contempo, destinate a peggiorare le disuguaglianze
sarebbe devastante. Per l’Italia, il messaggio è chiaro: basta debito per
coprire la futura Legge di Stabilità. Si ha l’impressione, in tale ottica, che
il governo Draghi fosse comunque finito vista l’impossibilità di fare una
riforma fiscale e una certa diffidenza a mettere mano alle regole finanziarie.
La nuova stagione
della sinistra dovrebbe partire da un europeismo critico, da un filologico
appello all’articolo 53 della Costituzione, da una valorizzazione del risparmio
diffuso e dalla restituzione di un carattere politico alle strategie monetarie,
quantomeno per fronteggiare la politicissima Federal Reserve statunitense e per
difendere il welfare. Nel frattempo l’esecutivo Meloni dovrà trovare le tante
risorse che mancano -una quarantina di miliardi- non facendo troppo
affidamento al suo programma, dai chiari tratti prociclici: concepito cioè solo
per un’economia che va bene, dalla flat tax incrementale
allo stralcio fiscale fino alle tante, maggiori spese, non copribili solo con
l’auspicio di una ripresa.
La terza
considerazione individua il limite con cui il nuovo governo dovrà misurarsi.
L’inflazione ci sta riportando velocemente indietro, con pericoli antichi e
nuovi al tempo stesso. Il debito pubblico italiano è esploso a partire dagli
anni Ottanta, quando è diventato insostenibile il peso degli interessi da
pagare per collocarlo. In pochi anni si è passati da un rapporto debito-Pil del
50% a uno del 120%, sulla spinta del debito secondario. Tali interessi dovevano
essere pagati dal Tesoro italiano per reggere la concorrenza di altri titoli di
Stato, a cominciare da quelli americani che beneficiavano della copertura del
dollaro come moneta di scambio e di riserva internazionale. Oggi sta
riproponendosi una situazione in parte simile. I tassi di interesse delle
banche centrali sono saliti e i rendimenti dei titoli di Stato dei vari Paesi
sono cresciuti per far fronte al loro deprezzamento, in parte dettato
dall’inflazione. I Bund tedeschi hanno perso in pochi mesi il 18% del loro
valore, i Btp italiani il 20% e questo ha spinto i rendimenti al rialzo. In
tale ottica lo spread non cresce perché sia Italia sia
Germania sono costrette ad alzare i tassi e dunque non sarà lo spread a
determinare il quadro di riferimento, anche in termini politici.
Pesa invece, come
negli anni Ottanta, la concorrenza dei titoli di Stato americani che rendono,
sul decennale, il 4,5% e dunque sono molto appetibili. Ancora una volta, come
allora, il Tesoro degli Stati Uniti può permettersi una simile operazione
grazie alla forza del dollaro che sta schiacciando l’euro a 0,96 e sempre più
giù. In altre parole, la politica economica degli Stati Uniti viene costruita,
come in passato, scommettendo sulla debolezza degli altri Paesi e
sull’aspettativa che la Cina non abbia intenzione, almeno nel breve periodo, di
sganciarsi dal dollaro. Solo se l’Europa avesse una vera credibilità
internazionale questa pesante rendita di posizione si indebolirebbe, in caso
contrario ci troveremo a fare i conti con un nuovo decollo del debito soltanto
per gli interessi da pagare; e gli appelli alla nazione rischiano di ricordare
i famigerati “prestiti del littorio”.
ALLA LUPA, ALLA LUPA - Gian Luigi Deiana
la favola di esopo in quota rosa
tutti i bambini sanno che non è bene esagerare nel dire bugie: poi infatti
si finisce per non essere creduti nemmeno quando si dice la verità, soprattutto
se le situazioni sono davvero serie; la favola antica del greco esopo, che
narra di un pastore che lanciava per scherzo l'allarme sul lupo, insegna ai
bambini esattamente questo: quando il lupo comparve davvero, nessuno più
credette all'allarme, e il lupo ebbe campo libero sugli agnelli;
gli antichi romani ebbero la genialità di redimere in quota rosa il temuto
animale: inventarono la lupa e ne fecero la mammina pagana della romanità; mito
per mito, in tempi a noi più vicini se ne è fatta la mammina dell'italianità,
per di più cristiana; a parte il discutibile gusto di dichiarazioni simili,
gusto peraltro generalmente pessimo in tutto il linguaggio pubblico attualmente
in voga tra i leader politici, sta di fatto che l'allarme sull'arrivo del lupo,
immancabile da trent'anni in qua, si è man mano rivelato come stupida
furbetteria, e alla fine la simpatica bestiola è sopraggiunta davvero: in
variante romana, italiana, e cristiana; per un poco, quindi, ecco i figli della
lupa;
le questioni che a questo punto si aprono sono molte e sono complesse, ma
soprattutto sono indecidibili da parte del popolo elettore; sono invece
decidibilissime, quanto al giudizio politico, le questioni che si chiudono: ma
chiuderle bene, con un giudizio ponderato, è fondamentale per non ricascarci di
nuovo;
le principali questioni oggi in chiusura sono due: primo, se il pd sia un
partito di sinistra, e con ciò un baluardo della democrazia; secondo, se fdl
sia un partito semifascista, e con ciò un pericolo per la democrazia;
il primo interrogativo deve trovare la risposta interpretando
l'orientamento che il pd ha seguito da quando ha assunto questo nome di
battesimo, partito democratico, ad oggi; cioè dal dopo prodi al naufragio
draghi; rafforzando l'inchinamento totale alla dogmatica neoliberista, ai suoi
culti e ai suoi sacerdoti, il pd è diventato un partito di chierici
dell'ignavia; per vent'anni si è mascherato su verbosità vuote: il richiamo ai
diritti e l'allarme sul lupo; verbosità vuote, che nel tempo hanno danneggiato
la ragion d'essere di quei serissimi valori, in quanto troppo gratuitamente
essi sono stati evocati nelle campagne elettorali, a corredo di liturgie
sostanzialmente bugiarde; quindi, il pd, a ragion veduta, non è un partito di
sinistra;
quanto poi questo ex partito di sinistra sia un baluardo della democrazia e
dei diritti che la sostanziano, va misurato su dati fattuali grandi e piccoli,
e non su stupidaggini come "scegli" , "o noi o loro", e via
declamando; i dati fattuali sono per esempio l'oltranzismo atlantista, quindi
l'esposizione alle ritorsioni nella vanteria delle sanzioni; le conseguenze
delle privatizzazioni sui prezzi dell'energia, quindi extraprofitti selvaggi di
grandi monopoli e crisi occupazionali nelle piccole aziende; l'emergenza ospedaliera,
e l'insistenza sul numero chiuso a medicina; i peana sulla giustizia, e il
silenzio atroce sui suicidi nelle carceri; la legge elettorale, più di tutto, è
la corona di questo tripudio, e il chiodo più profondo inferto sulla
costituzione della repubblica; insomma non sembrano buone credenziali per un
baluardo della democrazia;
il secondo interrogativo, se il partito della lupa sia un partito
semifascista, o al contrario una plausibile espressione politica di destra, è
tutto da vedere; prima che si possa verificare nei fatti, l'allarme sul lupo
fascista è peggio che vano; tra vedere e non vedere, la gente che è andata a
votare, e più ancora quella che non vi è andata, è stata motivata non dal
desiderio messianico del lupo, ma proprio dall'esaurimento della bugia sul suo
terribile avvento, e dalla triste presa d'atto che dietro il lupo fasullo ci
sarebbe stato invece di nuovo il drago vero; il popolo elettore ha dato la
chance alla lupa non per una condizione di incoscienza, ma in obbedienza a una
logica che non poteva più essere ingannata; l'ignavia è sempre vuota, e il
vuoto viene inevitabilmente colmato per altra via, anche negli ordinamenti
democratici;
per chi si troverà, probabilmente o necessariamente, a dover contrastare il
governo di destra che si accinge a governare l'italia, sarà davvero dura;
infatti dovrà produrre l'opposizione in una condizione nella quale non esiste
quasi più l'organizzabilità del dissenso; ma questo black out, cioè
l'insabbiamento del dissenso da parte del ceto politico, non può essere
attribuito propriamente alla destra secondo la sua prerogativa consueta: il pd
infatti, nell' illusione suicida di potersi rafforzare liquidando il dissenso
organizzato a sinistra (e persino quello organizzato nel movimento cinque
stelle), ha finito per dissolvere anche l'organizzabilità del consenso, persino
il consenso su cui si basa esso stesso; la legge elettorale stessa testè
sperimentata consiste in questo capolavoro: per liquidare gli altri, il pd,
riducendosi in modo irreversibile a ceto politico autoreferenziato, ha
suicidato se stesso;
è storicamente normale che il dissenso radicale venga contrastato e che i
modi della sua organizzazione siano difficili; ma qui, col naufragio di questo
partito di lunga storia e di larga base sociale, è l'organizzazione del
consenso che è stata buttata alle ortiche: questo, e non la lupa, è ora per la
sinistra il vero problema
martedì 27 settembre 2022
Come il capitale finanziario ha annullato lo stato: bilancio amaro di 30 anni di "centrosinistra" - Pasquale Cicalese
Il centrosinistra degli ultimi 30 anni. Comunisti, ex, e democristiani che si unirono in nome della deflazione, sconfessando il loro passato, con il passaggio di testimone delle nuove leve. In particolare, i "comunisti", salvati da Mani Pulite per volere di Washington e Londra, si vergognavano del loro passato e cambiarono chiesa, questa volta City, Wall Street, Pentagono, Nato, Francoforte e Bruxelles.
Sul piano interno si costruì un blocco sociale fatto di alti dirigenti di
Stato, loro sottoposti, capitani di azienda, industriali, ma soprattutto
finanzieri e banchieri.
Il capitale finanziario, nel frattempo privatizzato dagli ex comunisti,
prendeva le leve del potere statuale: d'ora in poi i creditori valevano più dei
debitori, questi ultimi favoriti negli anni settanta dall'inflazione.
Per far questo occorreva abbattere l'inflazione mediante la deflazione
salariale, di salari e pensioni e tagli alla spesa pubblica.
I creditori videro i loro valori salire sempre più, smisero di fare banca e si
dedicarono a polizze, risparmio gestito e gestione patrimoniale. Chi aveva a
che fare con le banche si vedeva costretto ad accettare tassi altissimi,
malgrado tassi di interesse bassi, e soprattutto offrire sempre più garanzie.
Il credito smise di operare, il capitale fittizio aumentò a dismisura.
Per 30 anni la deflazione salariale, le crisi finanziaarie internazionali
ricorrenti, fecero sì che si creasse un blocco di 20% di popolazione italiana
che viveva di rendita, gli investimenti fermi, e di fin anza. Questo blocco è
stato rappresentato dal centro-sinistra, in particolare dagli ex comunisti, che
furono feroci nella loro lotta al proletariato italiano, lotta celata da media
e da propaganda a favore dei "poveri".
Ora i proletari non erano più proletari, ma "poveri" a cui si
dedicavano lacrime di coccodrillo. Nel frattempo quel che era rimasta della
classe operaia votò prima lega e oggi Meloni. Sesto San Giovanni è lì. La
periferia conquista il centro con la destra, avendo il centrosinistra come
riferimenti le zone ztl. Bilancio del paese: se fai politiche di destra, poi,la
destra, quella vera, prende il potere. Ma entrambi sono fascisti,
antiproletari, anticomunisti.
Bilancio amaro degli ultimi 30 anni a cui non siamo stati capaci di rispondere
con teoria e prassi adeguate.
la morte a scuola
L'abominio Alternanza scuola-lavoro: sui stupefacenti cordogli del PD - Paolo Desogus
L’alternanza scuola-lavoro è tra le riforme più reazionarie e stupide che
siano mai state approvate dal parlamento italiano. Sottrae tempo allo studio,
offre un’immagine distorta del lavoro, dell’istruzione e del loro rapporto. Si
tratta di una riforma figlia di un’ideologia utilitaristica che pezzi
importanti dell’establishment hanno sponsorizzato tramite le sue fondazioni con
l’intento di smantellare la scuola pubblica. Inoltre è tremendamente classista:
difficilmente gli studenti del liceo finiscono per fare il loro stage in
fabbrica.
A questo si aggiunge un ulteriore dato. L’alternanza scuola-lavoro mette a rischio la vita dei ragazzi che invece di studiare sono costretti a passare per questa finta attività formativa.
Trovo allora stupefacente che Enrico Letta si rammarichi o che altri esponenti
del PD esprimano cordoglio o altro. Questi insulsi della politica, fanatici
liberisti mal travestiti da moderati, votabili solo da un elettorato di
rimbambiti, hanno elaborato e approvato in Parlamento questa legge infame. Il
Pd e gli esponenti che se ne sono distaccati con Renzi hanno le mani sporche di
sangue dei ragazzi rimasti uccisi durante l’alternanza scuola-lavoro.
Dovrebbero avere la decenza di stare zitti e di nascondersi per sempre.
Alle cinque della sera Lamento
per Giuliano De Seta – Gianni Giovannelli
Son cussì
disgrazià che pianzo tanto,
Né so se gò
dirito ai sfoghi e al pianto,
Giacomo Ca’
Zorzi Noventa
(Versi e
poesie, pag. 173)
Milano,
Edizioni di Comunità, 1956
Alle cinque
della sera, in un reparto della piccola fabbrica metalmeccanica BC Service, nel
cuore del laborioso nord-est, a Noventa di Piave, è morto Giuliano De Seta,
diciotto anni appena compiuti, ultimo anno all’Istituto Tecnico Leonardo
Da Vinci (Portogruaro). Per poter conseguire il diploma il giovane
studente doveva, necessariamente, documentare qualche centinaio di ore di
prestazione gratuita nell’ambito del programma di alternanza scuola-lavoro; e
così, alle cinque della sera, mentre stava eseguendo le tassative disposizioni
ministeriali, Giuliano De Seta ha perso la vita, schiacciato da una lastra
d’acciaio, solo, senza scampo. Lo demas era muerte y solo muerte a las
cinco de la tarde.
La
cosiddetta alternanza fu introdotta con una legge chiamata “buona
scuola”, la 107/2015, commi da 33 a 45, quando ministro in carica era Stefania
Giannini, in quota “tecnica” legata al gruppo parlamentare del senatore
Monti, durante il governo Renzi. Il comma 36 escludeva qualsiasi onere per la
finanza pubblica e assegnava al dirigente scolastico la responsabilità di
individuare le imprese presso le quali il lavoro gratuito obbligatorio si
sarebbe in concreto materializzato, anche con riferimento ai problemi della
sicurezza. Le linee guida attualmente in vigore sono quelle contenute nel
decreto ministeriale n. 774 del 4.9.2019, a firma di Marco Bussetti,
indipendente di area leghista, quando era in carica il governo gialloverde
guidato da Conte e Salvini; si applica altresì la Carta dei diritti e dei
doveri degli studenti varata con il decreto interministeriale 3.11.2017 n. 195.
Non è stato reso noto, nell’immediatezza, con chiarezza e trasparenza, il testo
della convenzione fra scuola e impresa che si riferisce all’assegnazione di
Giuliano De Seta presso B.C. Service s.r.l.; sappiamo solo – lo ha riferito la
dirigente scolastica Anna Maria Zago – che questa società collaborava da tempo
con l’ITIS Leonardo Da Vinci. Ancora ignote sono invece le generalità del tutor
interno e del tutor esterno, soggetti che secondo l’articolo 4 delle linee
guida avrebbero dovuto interagire costantemente fra loro e tenere sotto
controllo l’attività svolta. Ma alle cinque della sera, in quel drammatico
venerdì 16 settembre, non c’erano, mentre la muerte puso huevos en la
herida. Ci pare davvero difficile rinchiudere questo terribile
accaduto nel recinto della fatalità, della semplice disgrazia imprevista e
imprevedibile. Il quadro che caratterizza la vicenda è quello di responsabilità
plurime, di comportamenti tollerati dalle istituzioni dello stato, concretando
quella che con suggestiva immagine venne qualificata complicità
ambientale. Da molti anni, troppi ormai, l’impunità sostanziale
accompagna ogni morte sul lavoro, sia per esposizione all’amianto, sia per
consapevole rimozione dei dispositivi di sicurezza, sia, come in questo caso,
per una mal concepita, e mal eseguita, alternanza di studi e lavoro. Chi ha
imposto l’alternanza come obbligatoria al fine di conseguire il diploma ha
costruito una fitta ragnatela di regole ben difficilmente applicabili (anche,
ma non solo, per mancanza di fondi), volutamente dimenticando un idoneo
conseguente apparato di sanzioni. Non è questione di invocare un giustizialismo
inutile e insensato, come presumibilmente suggerirà la critica interessata dei
giuristi ingaggiati dalle associazioni datoriali o da pseudo-sindacalisti
foraggiati; è piuttosto la constatazione di come si sia consolidata nel tempo
una cultura giuridica e legislativa di appoggio a chi reprime le lotte dei
precari nella logistica o le proteste contro il TAV in Val di Susa, ma al tempo
stesso reticente nel contrasto di inquinamenti, omicidi sul lavoro, riciclaggi,
bancarotte. Per i primi compare sempre più frequentemente l’addebito di
associazione per delinquere, per gli altri la conclusione, per una ragione o
per l’altra, è l’impunità.
Noventa di
Piave era il borgo in cui era nato uno dei più importanti poeti dialettali del
secolo scorso, Giacomo Ca’ Zorzi. Amava la sua terra e per questo volle
firmarsi “Noventa”. Era un convinto cattolico liberale, antifascista nel
ventennio, legato a Croce e a Gobetti; non certo un comunista, ma ugualmente
sensibile e attento a quel che avveniva nei ceti popolari. Giuliano, nato in
una famiglia di lavoratori emigrati dalla Calabria, viveva a Ceggia, un paese
in cui negli anni Sessanta aveva messo radici Potere Operaio. Questa morte,
alle cinque della sera, in un piccolo triangolo di territorio veneto capace di
lotte sociali e sottomissioni, pronto sempre a lavorare senza risparmio nella
speranza di migliorare il destino della collettività, ci deve far riflettere.
Magari potrebbe diventare un grimaldello per superare questa bonaccia di
apatica rassegnazione in cui siamo caduti, per riaprire una porta sul futuro.
Giovanni
Cagnassi, cronista per La Nuova di Venezia e Mestre, il 17
settembre, commentando l’incidente ha così descritto B.C. Service s.r.l.:
“una di quelle aziende specializzate e poco sindacalizzate che sono la spina
dorsale dell’economia del territorio e di una zona industriale molto attiva”.
L’articolo rende bene il contesto, ci fa comprendere le ragioni profonde della
complicità ambientale in cui si radica il consenso e non trova ostacoli una
organizzazione neoliberista che in poco conto tiene la vita umana. I genitori
della vittima vanno rispettati, nella loro identità e nel loro dolore; e anche
nel loro procedere prudentemente, senza proclami. Al tempo stesso vanno
sostenuti, evitando ogni strumentalizzazione, quando dicono: “Non ce la
sentiamo di esprimerci finché la magistratura non avrà accertato l’esatta
dinamica dei fatti. Però, è ovvio, vogliamo sapere la verità su come sia stato
possibile che la vita di nostro figlio finisse in questo modo”.
Non credo
sia possibile condividere tanta fiducia negli accertamenti della magistratura,
a fronte di una inaccettabile incapacità, nella gran parte dei casi, di
pervenire rapidamente all’individuazione dei responsabili. E penso sia bene
invece esprimersi subito, qui e ora, incalzando senza sosta,
perché la “verità”, in casi come questo, è per sua natura ribelle, se non anche
rivoluzionaria. E allora potremmo procedere alla redazione di un testo in cui
si chiede, ora, che sia reso di pubblica conoscenza il testo della
convenzione (deve farlo Anna Maria Zago che dirige l’ITIS Da Vinci di
Portogruaro) e che diano subito la loro versione, previa
identificazione, i due tutor. I genitori hanno riferito al giornalista
del Corriere Andrea Priante (18 settembre, pagina 23) che
Giuliano aveva lavorato come operaio presso la B.C. Service s.r.l. nei mesi di
luglio e agosto con un regolare contratto di apprendistato. Lascia
perplessi un contratto di apprendistato di due soli mesi, fra l’altro risolto
proprio quando ebbe poi inizio lo stage di alternanza. Che senso abbia poi un
breve stage di alternanza dopo due mesi di lavoro è un bel mistero; certamente
va acquisita anche tutta la documentazione relativa a questo contratto
(dall’aria assai poco regolare se la descrizione risultasse
esatta) e la direttrice Anna Maria Zago (con i due tutor) dovrebbe
sentirsi tenuta a spiegare come le due prestazioni siano state ritenute
compatibili. L’assegnazione ad un’impresa metalmeccanica rientra fra quelle a
rischio elevato secondo le norme che regolano l’alternanza; dunque era
necessario un congruo periodo formazione in presenza, con una idonea
informazione sui rischi. Lo svolgimento dell’attività lavorativa gratuita
prima dell’inizio dell’anno scolastico induce qualche perplessità.
Vogliamo
provare ad intervenire con appelli e proteste? Questo Lamento per
Giuliano De Seta, archiviata la malinconica campagna elettorale, potrebbe
essere un modo per ritrovarci.
lunedì 26 settembre 2022
domenica 25 settembre 2022
Guerre: il pastore cerca sempre di convincere il gregge che gli interessi del bestiame e i suoi sono gli stessi
articoli e video di Markus Andersson, Fulvio Scaglione, Alberto Negri, J. Measheimeir, Tonio Dell’Olio, generale Bartolini,Guido Salerno Aletta, Gianandrea Gaiani, Evgenij Maslov, Vittorio Rangeloni, Davide Malacaria, Giulio Chinappi, Manlio Dinucci, Stefano Orsi, Angelo Baracca, Dario Lo Scalzo, Marco Ludovico, Roberto Mazzoni, Francesco Masala, Totò
Io non sono Pasquale – Francesco Masala
…In una civiltà morente, il prestigio politico è la ricompensa non del diagnostico più sagace, ma di chi si comporta con più tatto al capezzale. È la decorazione conferita alla mediocrità dall’ignoranza…
da La maschera di Dimitrios, di Eric Ambler, 1937 (pag. 57, edizione 2004)
Il caso del rapporto della Rand corporation è interessante.
Se pure non fosse vero è verosimile, e quello che descriverebbe ex-ante è la sintesi di quello che sta succedendo ed è successo, cioè qualcuno ha scritto quello che è successo con una data di qualche mese fa.
Le classi dirigenti dei paesi europei della Nato non capivano che dal 2014, per otto anni, la politica della Nato, attuata dall’Ucraina, è stata quella di costringere la Russia ad intervenire?
Ci sono riusciti, e dopo tanti anni sono stati felici di combattere un invasore diverso da loro stessi.
A me viene in mente Totò:
I Paesi europei sono come Totò, entrano in una recessione pluriennale ridendo, loro non sono Pasquale, noi non siamo Pasquale.
Quando capiranno che tutte le armi che mandano in Ucraina contro i russi servono solo per sparare contro i paesi europei, che sono in un gioco più grande di loro, sarà troppo tardi.
E quando il mantra dell’integrità territoriale diventerà carta straccia, venerato solo dal 24 febbraio dai paesi della Nato, verranno rimpianti con copiose lacrime, un fiume di lacrime, gli accordi di Minsk, tutti vogliono la pace, ma gli accordi di Minsk erano un accordo di pace, mai rispettato.
Il punto gravissimo è che le classi dirigenti europee hanno scelto senza obiezioni la guerra per procura (la chiamiano così gli irresponsabili, che credono di avere le mani pulite) contro la Russia, come se non ci fosse un passato e un futuro, e tutti noi cittadini lo subiremo sulla nostra pelle per molti anni.
Trattare così il proprio paese e i propri cittadini è proprio alto tradimento.
Ma niente fucilazioni, per carità, l’Europa ha radici cristiane, ci dicono ogni giorno.
Cosa c’è di meglio di una crocefissione in prima serata in tv, è una bellissima idea di George Carlin, mutatis mutandis, quella della crocefissione.
Una ventina di politici, europei e italiani, una volta alla settimana, per un anno, che pena esemplare e istruttiva!
L’Impero scrive a Zelensky
Evitando tutte le formalità, vogliamo ricordarti i termini del nostro accordo.
Tu fai quello che diciamo noi, ti abbiamo dato tutto quello che volevi, hai ville milionarie in molte parti del mondo, non devi dimenticarti mai che noi siamo il produttore e il regista, tu un mediocre attore, il più pagato del mondo.
Ricordi quando volevi fare la pace con Putin, ad aprile? Ti abbiamo mandato con urgenza Boris, che ti ha rimesso sulla retta via.
Avrai letto il nostro piano, quello della Rand, l’abbiamo reso pubblico solo adesso, non potevamo prima, come capisci benissimo.
Otto anni di provocazioni contro i russi, ce ne hanno messo per intervenire, il nostro piano è quello di distruggere la Russia, come piace a voi stati dell’Est e rubare tutto il possibile, siamo i migliori in questo, lo sanno tutti. Quello che non si sapeva pubblicamente e che il rapporto della Rand ha reso chiaro, per chi non l’aveva capito, il nostro piano ancora più importante, è quello di rovinare la Germania (e quindi l’Europa), mors tua vita mea, è la legge dei vampiri.
Chissà se capisci di economia, stavamo per crollare economicamente quando qualcuno (non diremo mai chi) ha pensato a una cosa impossibile da pensare prima, agli attentati dell’undici settembre. Da lì siamo rinati, ma non può durare per sempre, l’economia e il dollaro erano di nuovo in una crisi crescente e irreversibile.
E abbiamo “scoperto” l’Ucraina, un perfetto shithole country (come vi chiama il nostro presidente Trump), da sfruttare e poi gettare nel cesso.
Ora, strapagato Zelensky, non ci rompere le palle con i 60 o 70 mila soldati ucraini morti, poverino, non capivi che le bombe atomiche russe cadranno sull’Ucraina, noi continueremo a provocare, in questa bellissima guerra per procura, nessun soldato dei nostri è tornato in un sacco nero di plastica, la Russia sarà la pecora nera, la Germania è fottuta (e i paesi europei con lei), se l’Ucraina sparirà dalle carte geografiche a noi non interessa.
Tu continua a fare il chiagne e fotte in tutto il mondo, sapevi che il tuo è un numero senza rete, o continuerai con le standing ovations, o finirai ammazzato, tutto può succedere.
Per questo ti invitiamo, Zelensky, a non prendere iniziative che l’Impero non voglia.
...continua qui