· intervista esclusiva allo scrittore-attivista Paco
Ignacio Taibo II, di Geraldina Colotti
In merito alla rivoluzione bolivariana, ha le idee ben chiare lo
scrittore-attivista Paco Ignacio Taibo II, che abbiamo raggiunto in Messico per
questa intervista esclusiva. “Contro il Venezuela – dice - si è esercitato un
terrorismo brutale e una messa al bando mediatica senza precedenti”. Francisco
Ignacio Taibo Mahojo, classe 1949, noto come Paco Ignacio Taibo II, è un autore
pluripremiato di origine ispano-messicana.
Appassionato del genere poliziesco, ha scritto fortunate novelas negras che
hanno come protagonista il detective Héctor Belascoarán Shayne, la prima delle
quali, Días de combate, è stata pubblicata nel 1976. La sua passione per il
genere lo ha spinto a fondare, nel 1986, la Asociación Internacional de
Escritores Policíacos (Aiep), insieme al messicano Rafael Ramíres Heredia, ai cubani
Rodolfo Pérez Valero e Alberto Molina, all’uruguaiano Daniel Chavarría, al
russo Yulián Semiónov e al ceco Jiri Prochazka. Nel 1988, ha ideato il
festival multiculturale Semana Negra de Gijón, nel quale sono passati migliaia
di scrittori di romanzi polizieschi, storici, di fantasy e di fantascienza.
La sua opera letteraria non si è però limitata al genere poliziesco. Ha
scritto anche romanzi storici, racconti, fumetti, reportage e
saggi, tradotti in molte lingue. Libri che rimangono sempreverdi nel catalogo
editoriale di vari paesi, dall’Europa, all’America Latina. Fra questi, la Biografia
del Che, la più venduta fra tutte quelle pubblicate sulla vita del
rivoluzionario argentino-cubano, o la trilogia Patria, sul passato
del Messico, che ne illumina il presente.
Dal 2019, dirige il Fondo de Cultura Económica, una delle case editrici più
importanti del Messico e dell’Iberoamérica, e lavora nel governo di Manuel
Lopez Obrador (Amlo).
Che paese è oggi il Messico di Amlo?
È in corso un cambiamento politico profondo, dal piano economico a quello
sociale e culturale. Oggi c’è un governo chiaramente di sinistra che vuole fare
gli interessi della maggioranza dei messicani, ma che deve fare i conti con un
apparato legale, burocratico e viziato, ereditato dal passato. Noi facciamo
parte dell’ala più radicale della coalizione. Il Fondo de Cultura
Económica mi permette di essere quel che sono e continuare a fare le cose che
faccio. Per indicazione di Manuel, abbiamo sprigionato tutta la forza insita
nel nuovo stato per fare cose sorprendenti nel mondo del libro, per consentire
al maggior numero possibile di cittadini di aver accesso alla lettura, rompendo
i tradizionali schemi della distribuzione e portando il libro direttamente nelle
mani del lettore, senza lasciarlo negli scaffali delle istituzioni. Abbiamo
distribuito gratuitamente oltre 5 milioni di libri. Per questo, abbiamo creato
una rete di librerie, abbassato il prezzo dei volumi, inventato nuove collane e
soluzioni originali come le moto-librerie o le librerie itineranti. E abbiamo
aperto oltre 10.000 sale di lettura, nelle quali si organizzano ogni giorno
attività, si discute. Uno sforzo titanico. Uno degli strumenti più potenti sono
i laboratori sui libri di storia. Nonostante l’infrastruttura molto corrotta,
ereditata dall’epoca priista, per noi, in Messico, è stato facile
disegnare una prospettiva latinoamericana per la lettura, che si va
consolidando. Abbiamo aperto librerie praticamente in tutti i paesi
dell’America latina, dal Cile al Venezuela, con la catena delle Librerie del
Sur. Adesso ne stiamo aprendo una a Cuba, altre tre in Colombia, in Honduras,
Ecuador, Bolivia, Guatemala... Latinoamerizzando il dibattito, rompiamo il
monopolio editoriale della Spagna, che ha preteso di decidere quel che si deve
leggere nel nostro continente.
Uno sforzo che ricorda quello iniziato da Chávez
con la rivoluzione bolivariana, e continuato oggi da Nicolas Maduro, sull’onda
di quel che diceva José Marti: essere colti per essere liberi. Nel solco di
Cuba, il Venezuela è un laboratorio di cultura popolare, guidato dalla
democrazia partecipata e protagonista. Eppure, viene considerato lo spauracchio
da cui prendere distanza, dentro e fuori dall’America Latina. Qual è la tua
opinione?
Contro il Venezuela, si è esercitato un terrorismo brutale e una messa al
bando informativa senza precedenti. Si vuole ignorare che sia l’unico paese in
cui il chavismo vince elezioni a ogni piè sospinto, elezioni trasparenti e
verificabili. Eppure, mediante l’asfissia economica, se sanzioni, le accuse di
narco-terrorismo lo si è voluto trasformare in uno spettro da cui deve
guardarsi tutta l’America Latina. Si è persino inventata una nuova etichetta
per squalificare il socialismo bolivariano e i governi popolari: populismo.
Quando in Europa mi chiedono se sono populista, io ribatto: andate alla radice
del concetto. Se io sono populista, voi cosa siete, antipopolari? Si possono
muovere critiche nei confronti di qualunque governo, io penso che i paesi progressisti
abbiano bisogno anche di una critica da sinistra, non solo da destra, ma resta
il fatto che il Venezuela ha un ruolo fondamentale per il continente e per la
politica latinoamericana. Tantopiù ora che comincia a spezzare l’assedio, dopo
aver resistito a condizioni terribili, e che potrà trarre beneficio dalla
importantissima vittoria di Petro in Colombia, oltreché dal ruolo di Amlo in
Messico.
Amlo, però, sembra avere un’idea
dell’integrazione latinoamericana un po’ diversa da quella ideata da Fidel e
Chávez. Si è riferito a un organismo più simile all’Unione europea delle
origini, che potrebbe includere anche il Nordamerica. È così?
La geopolitica è complicata. Per andare avanti, il Messico ha bisogno di
ottenere una relazione di non aggressione da parte degli Stati Uniti, per
questo deve negoziare e rinegoziare, dicendo costantemente ai nordamericani:
non immischiatevi, per tenere a bada le multinazionali che ne sono la punta di
lancia. L’impero non si riduce all’ambasciata Usa, ma è costituito dalle
imprese minerarie che vogliono il controllo dell’energia elettrica, del litio,
della produzione di gas. Dalla prospettiva messicana, si tratta del modo in cui
Andrés Manuel fa fronte alla vicinanza del mostro. C’è una tradizione
antimperialista un po’ schematica che considera gli Stati uniti come un blocco.
Invece, no, sono un coacervo di contraddizioni su cui occorre far leva. È così
dappertutto. Per esempio, se mi si dice: occorre combattere i talebani, io sono
d’accordo. Si tratta di un progetto pericolosissimo di regressione storica che
arriva fino a forme di barbarie maschilista, tribale di fondamentalismo
religioso. Però non possiamo farlo alla maniera nordamericana, bombardando, ma
cercando un’alleanza con i codici progressisti locali. Si potrebbe, invece,
“bombardarli” con vecchi film noir come Gilda, interpretato da Rita Hayworth,
per deliziare il talibanismo…
Con la vittoria di Petro in Colombia, sembra
tornata una seconda ondata progressista in America Latina, che resta un
continente in disputa non solo sul piano elettorale, ma anche sul piano del
potere popolare. Quali spazi ci sono per rendere irreversibile questa seconda
ondata?
Il piano elettorale è diventato un elemento di lotta molto importante, ha
cambiato i rapporti di forza in America Latina. Dieci anni fa sarebbe stato
impensabile che ci fossero dieci governi di sinistra o di centro-sinistra a
tendere ponti fra loro. Non bisogna, però, ignorare che questi trionfi
elettorali molte volte ti portano al governo ma non ti danno il potere, impedendoti
di convertire in programmi politici i successi elettorali. Ci vuole
un’organizzazione sociale trans-statale che accompagni i governi, senza farsi
assorbire dalle funzioni statali, ma coniugandole con l’organizzazione
popolare. Per questo, anche l’elemento simbolico, e la battaglia delle idee
hanno una grande importanza unificante.
Come la spada di Bolivar, che ha infiammato il
dibattito dopo il gesto arrogante compiuto dal re di Spagna all’assunzione
d’incarico di Petro in Colombia?
È venuta di nuovo fuori l’assoluta ignoranza della élite spagnola
nell’intendere i temi dell’America Latina. Il concetto di una Patria Grande
legata da un destino comune libertador è un obiettivo antimperialista
unificante dalla Patagonia fino ai Grandi Laghi degli Stati Uniti, dove le
comunità ispano-parlanti sono già la maggioranza. Occorre portare il dibattito
anche su piano etico, morale, non solo sul piano economico: la rivoluzione è
necessaria, i cambiamenti sono improcrastinabili, i poveri sono la maggioranza,
ma ci sono anche poveri di destra, conservatori, il pensiero conservatore si è
introdotto anche nella nostra gente e ha prodotto conseguenze sorprendenti…
Portare la riflessione sul terreno simbolico è fondamentale. In questo senso,
benvenuta la spada di Bolivar.
Il tuo ultimo libro, pubblicato da Editorial
Planeta Mexicana, s’intitola La libertad, trece historias para la historia. Tra
i personaggi descritti, vi sono un generale sovietico, un impavido
sindacalista, un giornalista-simbolo, e un rivoluzionario di professione
venezuelano, Carlos Aponte. Vi sono, però, anche figure che hanno contrastato
il cammino verso la libertà, situandosi nel campo opposto. Di quale libertà si
parla in questo libro?
I miei libri sono frutto di una rigorosa ricerca storica ad ampio spettro,
un lavoro di anni che svolgo da solo, per evitare filtri, censure o
interferenze. Su Carlos Aponte, più conosciuto a Cuba che in Venezuela, non
c’era quasi nulla, ho dovuto compiere un enorme lavoro di ricerca per
restituire questa splendida figura di rivoluzionario professionale: il
migliore, capace di andare in un pantano e di organizzare una rivoluzione,
spendendosi fino all’ultimo respiro. Man mano che vado avanti, entrano in scena
sempre più personaggi, che chiedono di venire alla luce, perché sono pronti per
essere raccontati, mentre altri rimangono incompiuti. È accaduto così anche per
questo libro. Nei primi mesi della pandemia, ho scoperto che il tempo per me si
era dilatato, viaggiavo meno dentro e fuori il paese, avevo tutta la notte a
disposizione. Mi sono concentrato, ho visto che il libro era maturo. Al momento
di riordinare il materiale, avevo di fronte 15 storie di personaggi provenienti
da diverse correnti della sinistra che, in diversi contesti e in svariate
circostanze, si sono giocati la vita per la libertà. Alcune le ho messe da
parte, ritenendole ancora incomplete, e ne ho selezionate 13. Mi sono, però,
reso conto che accanto a figure che apparivano nel loro lato luminoso, ve
n’erano altre che mostravano un lato oscuro, focoso o delirante, anche in
contrasto aperto con chi si è giocato la vita per la libertà: un libro a due
facce, insomma. Mi sono chiesto: concentro il libro sulla libertà oppure
incorporo le storie che mi piacciono? Ho scelto di incrociare due libri, uno
secondo l’asse della libertà, l’altro in base alla battaglia per narrare bene
la storia. La nostra sfida, oggi, è quella di convincere gli adolescenti che la
storia può essere appassionante. A questo punto della vita, la libertà riguarda
il mio rapporto con il lettore, il modo in cui rendo conto al lettore.
E cosa chiedono i giovani lettori nell’epoca del
digitale?
Quello fra il libro stampato e il formato digitale è un falso dibattito. A
noi, in Messico, il digitale ci serve per entrare con un’offerta gratuita nelle
biblioteche, fondamentalmente con saggi formativi, per quella piccola parte di
lettori che legge in tablet o su computer. Su un cellulare, un adolescente
difficilmente legge un romanzo, al massimo una poesia o una nota, dobbiamo
raggiungerlo con un libro stampato. Per il resto, non ci sono due giovani
uguali. Quando firmo un libro, che sia in una libreria o durante uno sciopero,
mi incontro con molti giovani come con i lettori più anziani, che mi seguono da
anni. La sfida è come aiutarli a rompere il cerchio della facilità, della
comunicazione digitale rapida che ha sicuramente delle grandi virtù, fra le
quali gli strumenti per contrastare le fake-news diffuse dalla destra
conservatrice che invadono la nostra vita, ma che può andare a scapito della profondità.
Non si deve rinunciare alla velocità, ma ingaggiare un dibattito quotidiano con
i giovani e con gli adulti per la profondità.
Come appassionare i lettori alla storia?
Se vuoi trarre lezioni dalla storia, che sempre ci sono, devi
spogliarti del passato immediato per evitare il rischio di una letteratura di
stampo pedagogico, di letture semplicistiche o messaggi politici diretti, dei
luoghi comuni e degli schemi. Occorre rigore e profondità nella storia narrata,
ma anche consentire al lettore di recuperare la parte di storia che più gli
aggrada, fornire proprie interpretazioni anche se non coincidono con le
intenzioni del narratore. In questo libro, l’elemento-cardine è quello della
curiosità, che consente di coniugare i personaggi alla storia in generale,
evitando la trappola delle porte laterali, che porterebbero a dover affrontare
problemi storici giganteschi, che si affacciano all’improvviso nel corso della
ricerca e cercano di attirarti.
La libertad racconta anche le vicende del Sindacato degli Inquilini, che si
sono svolte negli anni Venti del secolo scorso nello Stato di Veracruz. Una
zona oggi considerata una fossa comune a cielo aperto, dove la realtà supera la
fiction, in un intreccio perverso tra interessi politici e affari criminali.
Come attivista e scrittore di novelas negras come legge questa realtà oggi?
Quando entrai nella retta finale di questo lavoro, l’editore e i lettori
premevano affinché scrivessi un’altra storia messicana, dopo il successo di
Patria, il libro dedicato al liberalismo messicano, che continua a vendersi
moltissimo, ma io ho scelto la libertà di raccontare senza regole personaggi
che sorgono da diversi contesti, compreso quello messicano, ma non solo. A
volte, bisogna rinunciare ai grandi temi per narrarli attraverso il dettaglio.
Quello della violenza in Messico, è problema complesso, che va indagato a fondo
nelle pieghe del passato. Come giornalista e narratore, negli anni scorsi ho
trattato molto, anche con due documentari, la vicenda dei 43 studenti di
Ayotzinapa, scomparsi nel 2014. Oggi, Andrés Manuel è riuscito a superare il
muro della disinformazione che era stato costruito intorno al caso, confermando
le ipotesi che avevamo avanzato, e indicando che il tempo dell’impunità per gli
assassinii di Stato è finito. Non è sicuro che la realtà superi la fiction,
molte volte la fiction rivela il lato occulto dell’iceberg.
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