20 anni di decrescita. Serge Latouche
Vent’anni fa intorno al concetto/slogan decrescita
cominciavano a nascere iniziative, movimenti, ricerche. Quel concetto/slogan ha
motivato coloro che si interessavano ai temi della critica allo sviluppo e
tante e tanti ecologisti, ma ha poco a poco interessato, in diversi angoli del
mondo, anche la politica istituzionale, quasi sempre per rigettarlo e renderlo
ridicolo. Di certo coloro che sono in alto non vogliono cambiare la logica
produttivistica, non vogliono smettere di creare il capitalismo, e fanno di
tutto per opporsi (a cominciare dallo svuotare di senso espressioni come
“transizione ecologica”, “resilienza”, “economia circolare”…). Oggi quale
scenario hanno di fronte i diversi movimenti della decrescita? Come possono
difendersi dalle aggressioni del greenwashing o dell’ecofascismo? A questi temi
è dedicato l’intervento di Serge Latuche (raccolto da Mauro Bonaiuti dell’Ass.
per la decrescita) con cui è stata aperta a Venezia la Conferenza internazionale della decrescita.
https://comune-info.net/ventanni-di-decrescita/
La crescita si fermerà, per un motivo o
per l'altro
Cinquant'anni dalla pubblicazione di The Limits of Growth (I
limiti dello sviluppo): un'intervista di Juan Bordera e Ferran Puig Vilar
a Dennis Meadows, coautore del Rapporto.
Questo è un anno speciale. Ricorre il
50° anniversario della pubblicazione di una delle opere più importanti del XX
secolo: The Limits of Growth [I limiti dello sviluppo
(nell'edizione italiana) N.d.R.]. Quell’opera che, già nel 1972,
dava un chiaro avvertimento che il pianeta aveva dei limiti e poco tempo per
affrontarli. Per questo motivo, uno dei principali autori, Dennis Meadows, ha rilasciato interviste ad
alcuni dei più importanti media del mondo, come Le Monde o
la Suddeutsche Zeitung.
Inflazione galoppante. Guerra. Problemi energetici sempre più gravi. Ondate di
calore precoci e più potenti. Arresti di scienziati. Mattanze alle frontiere.
Battute d'arresto sui diritti delle donne che ci riportano indietro di 50 anni
... Esattamente 50 anni. Tutto questo ha qualche collegamento?
In realtà lo ha.
Juan Bodera: Sono passati 50 anni dalla pubblicazione del vostro libro e il
vostro scenario standard del modello World3 è
molto simile alla realtà; avevate previsto che la crescita si sarebbe fermata
intorno al 2020. È quello che stiamo iniziando a vedere ora?
Dennis Meadows: Non avevamo fatto previsioni, avevamo detto che è
impossibile "prevedere" con precisione qualsiasi cosa in cui il
comportamento umano sia un fattore; quello che avevamo fatto è stato modellare
12 scenari coerenti con le regole fisiche e sociali: 12 possibili futuri. Uno
di questi, lo "standard", come sapete, mostrava che la crescita si
sarebbe fermata intorno al 2020. Poi tutte le variabili (produzione industriale,
produzione alimentare, ecc.) avrebbero raggiunto il picco e in circa 15 anni
avrebbero iniziato a diminuire inesorabilmente.
Questo assomiglia a ciò che stiamo vivendo? Direi di sì. Il mondo sta mostrando
sempre di più le conseguenze di uno schianto contro i limiti.
Ciò che avevamo fatto con molta attenzione, già nel 1972, è stato chiarire che
dopo il picco di qualsiasi variabile, tutto diventa ancora più imprevedibile,
poiché entrano in gioco fattori che non potevano essere rappresentati nel
nostro modello. A questo punto è ovvio che saremo guidati più da fattori
psicologici, sociali e politici, che da vincoli fisici.
JB: L'ho sentita definire il cambiamento climatico come "un
sintomo"; di cosa sarebbe esattamente un sintomo?
DM: È essenziale riconoscere che il cambiamento climatico, l'inflazione
e la carenza di cibo a volte sono visti come problemi, ma in realtà sono
sintomi di un problema più grande.
Proprio come un mal di testa persistente può talvolta essere sintomo di un
cancro, molte difficoltà attuali sono sintomi di livelli di consumo materiale
cresciuti oltre i limiti del pianeta. Naturalmente i sintomi sono importanti.
Un mal di testa merita una risposta. Tuttavia, un'aspirina può far sentire
temporaneamente meglio il paziente, ma non risolve il problema di fondo. La
crescita incontrollata delle cellule cancerose nel corpo deve essere trattata.
Non si può sostenere la crescita affrontando i problemi uno per uno. Anche se
riuscissimo a risolvere il cambiamento climatico, continuando a crescere
andremmo incontro al problema successivo, che sia una carenza di acqua, di cibo
o di altre risorse cruciali. La crescita si fermerà, per un motivo o per
l'altro.
JB: Il mito del progresso, secondo cui la tecnologia verrà sempre in
soccorso [idrogeno, cattura e stoccaggio del carbonio ...], è una delle idee
più paralizzanti per affrontare il vero problema: la decrescita è inevitabile,
poiché non si tratta di un problema tecnico. Forse ciò di cui abbiamo bisogno è
un cambiamento culturale, morale ed etico?
DM: Sì, sono d'accordo, quello era uno dei punti cruciali del nostro
lavoro già 50 anni fa. In condizioni ideali la tecnologia può darti più tempo,
però non risolve il problema. Può darti l'opportunità di apportare i
cambiamenti politici e sociali necessari. Ma finché si avrà un sistema che si
basa sulla crescita per risolvere ogni problema, la tecnologia non potrà
evitare che si superino molti limiti cruciali, come stiamo già vedendo.
JB: Nonostante l'importanza e l'enorme utilità del vostro lavoro, lei e i
suoi colleghi siete stati molto criticati. Questo continua ad accadere a
chiunque esca dal discorso dominante dell’Happycrazia. C'è un'impossibilità
sociale a parlare di certi temi perché la trasformano in un catastrofista, in
un amaro pessimista?
DM: Ero molto ingenuo negli anni '70, quando abbiamo pubblicato il
libro. Ero stato formato come scienziato e avevo l'impressione che, utilizzando
il metodo scientifico, avremmo prodotto dati indiscutibili e che, se li
avessimo mostrati alla gente, questo sarebbe stato sufficente per portare un
cambiamento nella visione e nelle azioni delle persone. Questo è a dir poco
ingenuo.
Ci sono due modi di affrontare queste situazioni: in uno raccogli i dati e poi
decidi quali conclusioni sono coerenti con i dati: il modo scientifico.
Nell'altro, molto comune, si decide quali conclusioni sono importanti e cerchi
dati che si adattino e supportino le tue "conclusioni". Questo è ciò
che accade, ad esempio, con i negazionisti del clima.
Non ho cercato di vincere quei dibattiti [tra pessimisti e ottimisti] con
questo tipo di persone. Quando qualcuno viene da me con rabbia e mi accusa di
quasiasi cosa, mi limito a dirgli: “Spero che tu abbia ragione”. E vado avanti.
JB: Esiste una tendenza nei sistemi, nelle aziende, nelle persone, a
combattere per la propria autoconservazione, spesso sulla base di visioni a
breve termine, che non consentono di andare avanti a lungo. Come combattere
queste inerzie e abitudini?
DM: L'unico modo per gestire la situazione è ampliare l'orizzonte temporale
e spaziale. E quindi vedere i potenziali costi e benefici in prospettiva. Un
esempio: la pandemia e la sua gestione nel mio Paese [gli Stati Uniti] sono
state dolorose, molto miopi. Se non si estendono i vaccini a tutto il mondo,
non sono così utili.
Come prolungare quel lasso di tempo? Con le future generazioni. La maggior
parte delle persone ha preoccupazioni legittime e genuine per il futuro dei
propri figli, nipoti e pronipoti.
JB: In Spagna, ultimamente, ci sono buone notizie per quanto riguarda la
decrescita: la prima assemblea dei cittadini per il clima ha scelto tra le sue
172 misure, la necessità di educare alla decrescita, diversi partiti politici -
tra cui il ministro della Sanità, del Consumo e del Benessere Sociale – hanno
fatto dichiarazioni a favore dell'apertura di questo inevitabile dibattito e
l'IPCC sta inserendo sempre più spesso questa parola nei suoi rapporti..
Siamo più vicini a un Tipping Point [punto
di svolta] sociale - come dice Timothy Lenton - o dovremo aspettare che le
crisi diventino ancora più evidenti per reagire?
DM: La risposta a entrambe le domande è: sì. Siamo più vicini a un punto
di svolta sociale positivo, ma d'altra parte temo che dovremo aspettare che le
crisi diventino ancora più evidenti per reagire. Ed è ancora peggio: se la
nostra situazione attuale ci fosse stata descritta, diciamo, nel 2000, avremmo
pensato che questa fosse già una crisi catastrofica. Siamo la rana, cucinata a fuoco
lento, che non salta fuori dalla pentola. Purtroppo credo che questa sia la
nostra situazione.
JB: Secondo il modello HANDY, un
parametro fondamentale per causare i collassi è la disuguaglianza, che aumenta
parallelamente alla mancanza di fiducia tra simili, altro motivo di collasso.
La struttura del nostro sistema economico fa sì che entrambi aumentino ogni
anno. E rende impossibile adattarsi ai limiti, perché l'élite - che di solito è
distaccata dalla realtà e quindi non rileva gli allarmi - è quella che funge da
modello. Come districarsi in questo pasticcio?
DM: La verità non si trova in poche equazioni, ovviamente. Si trova
nella storia. E la nostra storia millenaria dimostra che i potenti cercano più
potere e lo trovano più facilmente grazie alla loro situazione: è un ciclo di
feedback positivo. Nella dinamica dei sistemi questo fenomeno si chiama
"successo per chi ha già successo". Raramente ci discostiamo da
questo fenomeno.
Nessuno può districare questo groviglio. Non credo che esista un'azione o una
legge in grado di farlo. In alcune culture, tuttavia, si sono visti meccanismi
di ridistribuzione evoluti. Nel nord-ovest degli Stati Uniti ci sono alcune
tribù che hanno un'usanza chiamata "Potlatch", una cerimonia
in cui i capi della tribù, i più ricchi, regalano parte dei loro beni - sto
semplificando, certo. Anche nel buddismo esiste una tradizione di distacco
materiale in molti dei suoi praticanti. Ma si tratta di rare eccezioni. Nel
nostro mondo la tendenza è quella di accumulare potere e, come lei dice, questo
aiuta a distaccarsi dalla realtà. Poi si può finire con un collasso, anche del
proprio potere, e tutto ricomincia da capo. È un processo che avviene in
risposta ai limiti. E la disuguaglianza sta crescendo in tutti i Paesi.
JB: In che misura le élite stanno anticipando la necessità matematica di
ridurre la disuguaglianza? Oppure stanno solo preoccupandosi per la propria
sopravvivenza?
DM: Beh, non si può parlare propriamente di "élite". Alcune
élite sono preoccupate e stanno facendo tutto il possibile per ridurre la
disuguaglianza, altre non ci pensano nemmeno - probabilmente la maggioranza - e
altre ancora lavorano per renderla sempre più grande. Di certo non c'è alcuna
tendenza a ridurre la disuguaglianza. E a volte si dice che la crescita fa sì
che la ricchezza raggiunga tutti; il che, visto che i tassi di crescita e di
disuguaglianza sono aumentati contemporaneamente, è chiaramente e palesemente
falso.
JB: Vede oggi una maggiore preoccupazione per il collasso della civiltà nei
circoli del potere, economico e politico? O continuano a fare business
as usual come al solito?
DM: Non sono nei circoli del potere, quindi non posso rispondere. Sono
un insegnante di 80 anni in pensione. È il 50° anniversario di I limiti
dello sviluppo e, a parte le interviste che vengono fatte su un libro
che suscita ancora interesse, non c'è così tanta attenzione come potrebbe
sembrare.
JB: Tenendo conto dell’attuale miopia spaziale e temporale rispetto ai
limiti, non pensa che la visione moderna del mondo sia obsoleta? Potrebbe
suggerire alcuni spunti filosofici per passare a una nuova cosmologia?
DM: Grazie per aver immaginato che io possa avere la capacità di fare
queste cose. Che l'attuale visione del mondo sia obsoleta è evidente anche solo
guardando le notizie. Quasi nessuno può essere contento dello stato del mondo.
Su una nuova cosmologia: esiste un'enorme varietà di filosofie e pratiche
spirituali, molte delle quali sono coerenti con il funzionamento del mondo.
Quelle che funzionano devono riconoscere l'interazione e la dipendenza che
abbiamo con il mondo naturale. Abbiamo già discusso del mito diffuso secondo
cui la tecnologia ci porterà a superare qualsiasi ostacolo. Lo vediamo con la
sfida del clima: c'è questa cosa chiamata cattura e sequestro del carbonio (CCS).
Nonostante il fatto inconfutabile che sia più economico, rapido e semplice
ridurre il consumo di energia, si tende a cercare la soluzione tecnologica che
ci permetta di fare ciò che non possiamo più fare senza causare gravi danni. È
una fantasia totale. Il meglio che possiamo dire della CCS è che è un'idea che
farà guadagnare un mucchio di soldi a poche persone.
Siamo come su un tapis roulant che sta accelerando
rapidamente. Sa, quei tapis roulant su cui corri ma non vai da
nessuna parte. È quello che stiamo facendo. Quando prendiamo decisioni
sbagliate, questo ci porta a crisi che, per forza di cose, accorciano la nostra
prospettiva temporale, tutto diventa reattivo mentre acceleriamo. Questo a sua
volta ci aiuta a prendere altre decisioni sbagliate, perché restringiamo sempre
di più il nostro orizzonte temporale. È un circolo vizioso.
Penso che nei prossimi 20 anni assisteremo a più cambiamenti di quanti ne
abbiamo visti negli ultimi 100. Non voglio che accada quello che sto per dirle,
ma credo che sia molto probabile: ci saranno disastri significativi dovuti al
caos climatico e all'esaurimento dei combustibili fossili, che riporteranno
l'umanità a stati più decentralizzati e disconnessi. Lentamente, si evolveranno
culture più preparate alla situazione. Solo allora, credo, potrà emergere una
"nuova cosmologia" appropriata.
JB: Crede che una coalizione di élite dotate potrebbe cambiare il corso
degli eventi?
DM: Élite dotate? Mi sembra un ossimoro.
Traduzione a cura della Redazione di Antropocene.org
Fonte: Monthly Review 10.08.2022
Nessun commento:
Posta un commento