Immigrazione e propaganda elettorale a venti anni della legge Bossi Fini - Fulvio Vassallo Paleologo
Immigrazione: propaganda, disinformazione e attività
del legislatore
A partire
dal Decreto Dini del 1995, e poi durante la faticosa
elaborazione della legge 40 del 1998 (Turco-Napolitano),
le politiche migratorie sono sempre state oggetto di campagne di
disinformazione di massa e di palesi strumentalizzazioni, che si intensificano
in occasione di ogni tornata elettorale. Anziché affrontare le questioni dell’immigrazione
e dell’asilo con risposte efficaci e conformi al diritto internazionale e al
riconoscimento dei diritti fondamentali della persona, sanciti nella
Costituzione italiana e nelle norme europee, si è ricercato un facile consenso
individuando negli immigrati potenziali pericoli per la sicurezza ed il
benessere collettivo. Anche contro l’evidenza dei fatti, che a ogni crisi
economica rendevano evidenti ben altre responsabilità, il senso comune è
progressivamente scivolato verso posizioni discriminatorie e xenofobe, se non
razziste. Una questione che non riguarda solo gl’immigrati ma che intacca il
principio di uguaglianza e costituisce, per tutti, un grave rischio per la
democrazia.
La legge Bossi-Fini e le misure restrittive della
libertà personale
Con la legge Bossi-Fini n.189 del 2002 questo processo
degenerativo conduceva all’adozione di una normativa che corrispondeva più a un
manifesto elettorale che non ad un tentativo di soluzione dei problemi concreti
a fronte dei quali si era allora costretti a periodiche regolarizzazioni di
massa (anche attraverso l’estensione dei decreti flussi annuali). La legge
modificava il Testo unico n.286 del 1998 nel
quale era confluita la precedente legge 40 dello
stesso anno, rendendo sempre più precaria la condizione degli immigrati
residenti in Italia, introducendo, dopo l’abrogazione dell’istituto dello
sponsor, condizioni di maggiore rigore per il loro ingresso legale e sanzioni
penali rafforzate in materia di agevolazione dell’ingresso irregolare. Venivano
previsti nuovi centri di detenzione e si prolungava la durata del trattenimento
amministrativo. Si deve ricordare peraltro come già la legge Turco-Napolitano prevedesse ii centri di
detenzione, allora chiamati Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA)
per facilitare il meccanismo delle espulsioni, senza rispettare il sistema di
garanzie imposto dalla nostra Costituzione. E infatti nel 2001 doveva
intervenire la Corte costituzionale, con la fondamentale sentenza n.105, per
affermare, in base all’art.13 della Costituzione, il principio della necessaria
convalida giurisdizionale in qualunque ipotesi di allontanamento forzato dello
straniero irregolare dal territorio dello Stato. Con specifico riferimento alla
tormentata attuazione della Bossi-Fini non si possono dimenticare i numerosi
interventi della Corte Costituzionale, in particolare con le sentenze n. 222 e
224 del 2004 in materia di limitazioni della libertà personale e di mancata
convalida giurisdizionale prima dell’accompagnamento forzato in frontiera.
La legge Bossi- Fini e la esternalizzazione dei
controlli di frontiera
La legge Bossi Fini semplificava il regime degli
allontanamenti forzati e avviava i processi di esternalizzazione dei controlli
di frontiera con previsioni che rinviavano ad accordi di riammissione, ma anche
di respingimento, con paesi terzi, anche quando questi paesi non rispettavano i
diritti fondamentali della persona, come nel caso dell’Egitto e della Libia.
E infatti già nel 2004 venivano operati numerosi respingimenti collettivi da
Lampedusa direttamente verso la Libia, prima con aerei militari italiani, poi
con aerei civili di compagnie private. Con la breve interruzione del governo di
centro-sinistra tra il 2006 è il 2008, appena insediato Maroni al ministero
dell’interno, riprendeva una politica di intensa cooperazione operativa con le
autorità libiche, fino al respingimento collettivo operato dalla motovedetta
Bovienzo della Guardia di finanza, il 6 maggio del 2009, con la riconsegna
diretta, nel porto di Tripoli, dei migranti intercettati in acque
internazionali. A seguito di un ricorso alla Corte europea dei diritti
dell’uomo (caso Hirsi Jamaa e altri), arrivava nel 2012 la condanna del nostro
paese. Dopo quella condanna, i diversi governi che si sono avvicendati nel
tempo hanno cercato di aggirare la decisione della Corte europea, concludendo
accordi che di fatto hanno delegato alle autorità libiche e tunisine quei
respingimenti collettivi che le autorità italiane non potevano più operare.
I tentativi falliti di riforma: dalla legge Bossi-Fini
ai decreti sicurezza di Salvini
I tentativi
di tornare ad una legislazione maggiormente equilibrata nella direzione di una
salvaguardia dei diritti fondamentali della persona si infrangevano contro
l’impossibilità di completare il percorso parlamentare in conseguenza del
sistematico ostruzionismo da parte delle destre, ma anche per gravi
contraddizioni interne, come avveniva nel 2007 con la legge di riforma Amato -Ferrero che, dopo
essere stata approvata da un ramo delle Camere, decadeva per la scioglimento
anticipato della legislatura, che ne impediva l’approvazione definitiva.
Il Testo unico n.286 del 1998 veniva poi modificato
con i pacchetti sicurezza Maroni del 2008 del 2009 e poi
ancora negli anni più recenti con i decreti sicurezza di Salvini,
nel 2018 e nel 2019. Il punto di attacco dei diversi provvedimenti si spostava
progressivamente dalle misure di trattenimento amministrativo, in vista
dell’allontanamento con accompagnamento forzato, verso l’abolizione della
protezione umanitaria e gli accordi con i paesi terzi per collaborare contro
l’immigrazione “illegale”. Si moltiplicavano le norme penali per i casi di
ingresso o soggiorno irregolare con un aumento esponenziale delle persone
immigrate internate nelle carceri ed escluse per sempre da qualunque
regolarizzazione. Ed adesso, di fronte al fallimento dei decreti sicurezza ed
alla bocciatura della politica dei porti chiusi da parte della Corte di
Cassazione, il candidato Salvini, ancora sotto processo a Palermo per il caso Open
Arms, rilancia quei decreti e si ripropone come futuro ministro dell’interno.
Il ruolo dell’Unione Europea ed il legislatore
nazionale
Mentre in
tema di immigrazione la potestà normativa è esercitata quasi esclusivamente dal
legislatore nazionale, per quanto riguarda la materia dell’asilo l’attività del
Parlamento è scandita delle Direttive dell’Unione Europea, alle quali occorre
dare attuazione. Nel corso degli anni le capacità di intervento normativo da
parte dell’Unione Europea si sono progressivamente svuotate, salvo un impegno
crescente nella direzione dei respingimenti e delle attività di contrasto
dell’immigrazione illegale, affidate all’Agenzia Frontex. Con i risultati che
abbiamo visto in Egeo ed a sud di Lampedusa, e con le violazioni dei diritti
umani che hanno portato alle dimissioni del suo Direttore Fabrice Legeri. La
mancata riforma del Regolamento di Dublino sui criteri di distribuzione delle
persone che fanno richieste di asilo dopo avere raggiunto le frontiere europee,
non ha permesso di superare il principio del primo paese di ingresso come paese
competente per la trattazione delle richieste di protezione. La
conseguente clandestinizzazione dei cd.
“movimenti secondari” ha incrementato il numero delle espulsioni e dei
respingimenti alle frontiere interne dell’Unione Europea, anche a danno dei
minori non accompagnati. Di fronte alle nuove emergenze climatiche ed
energetiche, dopo essersi dimostrata incapace ad affrontare la crisi tra Russia
ed Ucraina, l’Unione Europea appare oggi sostanzialmente paralizzata sul fronte
delle politiche migratorie.
La guerra contro i soccorsi umanitari
La guerra “mediatica” e le campagne
giudiziarie contro i soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale hanno spesso oscurato le
questioni legate alla riforma delle leggi in materia di immigrazione ed
asilo. A partire dal 2016 nelle acque internazionali del Mediterraneo
centrale sì verificava sempre più frequentemente l’intervento di navi di
soccorso delle organizzazioni non governative per salvare i naufraghi che
partivano dalle coste libiche o tunisine. Di fronte a questa nuova “emergenza”,
dopo una prima fase di leale collaborazione, a partire dall’estate del 2017,
si interveniva con provvedimenti, prima di “soft law”, come
il Codice di condotta Minniti per le ONG, quindi con
decreti-legge, come i decreti “sicurezza” Salvini, che ponevano del mirino non
soltanto l’immigrazione “clandestina” ma anche le attività di salvataggio
svolte dalle organizzazioni non governative. Come si verificava soprattutto
dopo la firma del Memorandum d’Intesa Gentiloni stipulato
nel febbraio del 2017 con il governo di Tripoli e la conseguente creazione di
una zona SAR (ricerca e salvataggio) “libica”. Ai provvedimenti amministrativi
(direttive) di diniego di sbarco ed ai decreti sicurezza, che criminalizzavano
le attività di soccorso in mare, seguivano procedimenti penali, utilizzati dai
media per rafforzare nell’opinione pubblica la stigmatizzazione delle attività
di soccorso in acque internazionali, attività peraltro imposte dalle
Convenzioni internazionali. Si può rilevare però come nel corso degli anni la
maggior parte di questi procedimenti penali sia stata archiviata, salvo due
processi ancora aperti a Ragusa (Mare Jonio) ed a Trapani (caso Iuventa).
Come ricorda l’ANSA, per il ministro
Lamorgese, “la scommessa, riguardo quest’ultimo punto, è varare una sorta di
Codice per le ong: le navi dovranno avere dotazioni adeguate ed equipaggi
formati, gli interventi devono essere coordinati dal Centro marittimo
competente, nel caso anche quello libico; gli Stati di bandiera dovranno
indicare il porto sicuro ed impegnarsi ad accogliere i migranti che sbarcano in
un altri Paesi”
Gli eventi
di soccorso in mare, normati dalle Convenzioni internazionali, come la
Convenzione di Amburgo del 1979 sulla ricerca ed il soccorso in mare (SAR),
vengono così considerati come “eventi migratori”, come si legge nei comunicati
della Centrale operativa della guardia costiera italiana (IMRCC). Le finalità
di difesa dei confini nazionali sembrano prevalere sulla salvaguardia della
vita umana in mare e della dignità della persona, ovunque essa si trovi e
qualunque sia il suo stato giuridico. Per rendere esplicito questo
capovolgimento di prospettiva, relativamente recente, se si pensa alle missioni
di soccorso in acque internazionali seguite alle stragi del 3 e dell’11 ottobre
2013 tra Lampedusa e Malta, si fa ricorso alla esternalizzazione delle frontiere,
definizione riassuntiva che rappresenta il coinvolgimento degli stati terzi
(rispetto all’Unione Europea) nelle attività di blocco e di respingimento dei
migranti che cercano di raggiungere le frontiere europee. Ma le politiche di
esternalzzazione non possono arrivare alla negazione del diritto alla vita.
Il salvataggio delle vite in mare costituisce un dovere degli Stati e prevale sulle norme e
sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare.
Le Convenzioni internazionali di diritto del mare cui l’Italia ha aderito
costituiscono infatti un limite alla potestà legislativa dello Stato ai sensi
degli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione e non possono pertanto
costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali
dell’autorità politica e dei conseguenti indirizzi delle autorità
amministrative e militari. Come ricorda anche la Corte di cassazione con la
sentenza n. 112, 16 gennaio 2020, “è utile richiamare la risoluzione n. 1821
del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio
in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione
irregolare), secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata
alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il
rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte
diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del
concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”. Nessuno stato, avvertito di un evento di soccorso di persone in
situazione di pericolo in alto mare, può dunque rifiutare il coordinamento
delle prime fasi delle attività SAR, o attendere dopo i primi soccorsi l’esito
di trattative con altri stati, ad esempio con lo stato di bandiera della nave
soccorritrice, allo scopo di “scaricare” su quest’ultimo
l’onere dello sbarco a terra dei naufraghi, come in diverse occasioni è stato
affermato dal ministro dell’interno Lamorgese. Sono queste le posizioni che hanno
spianato la strada alle folli proposte di un blocco navale, davanti alle coste
libiche, con accordi con le milizie a terra, lanciate dalla Meloni.
Ritenere che
la Libia possa costituire un “luogo sicuro”, e che questa circostanza possa
essere percepita dai migranti già prima dell’imbarco, o ancora in caso di
respingimento o di ritorno su mezzi della sedicente Guardia costiera libica,
contrasta ancora oggi, come contrastava già nel 2018, con la realtà dei fatti e
con il combinato disposto delle Convenzioni internazionali di diritto del mare
e della Convenzione di Ginevra sui rifugiati.
Prospettive di riforma e campagna elettorale
In tempi in cui la pandemia da Covid-19 e la guerra in
Ucraina hanno ridefinito il concetto di frontiera e di mobilità umana su scala
globale, si continua a ragionare, ed a praticare scelte politiche e giuridiche,
come se non fosse cambiato nulla, come se le attività di controllo o di
limitazione della libertà personale e di circolazione, le prassi di
respingimento, o di espulsione, fossero praticabili con le stesse modalità
adottate negli anni passati. La collaborazione con i paesi terzi rimane ancora
basata sul contrasto dell’immigrazione irregolare, che altri definiscono ancora
come “clandestina”, piuttosto che sulla riduzione di quel divario sempre più
ampio tra paesi ricchi e paesi poveri, sul sostegno nelle campagne sanitarie,
sulla lotta alla corruzione e sul ripristino di condizioni minime di rispetto
dei diritti umani. Sarebbe il tempo per un riconoscimento effettivo dei diritti
fondamentali delle persone, ma sembra invece che la cd. “ripartenza”, dopo
il lockdown imposto dal COVID-19, ed il clima di
“guerra permanente”, siano caratterizzati da un accresciuto disvalore della
vita e della dignità di chi è costretto a mettersi in viaggio senza avere
risorse e documenti regolari.
La campagna elettorale in corso sta riproponendo le peggiori
politiche che hanno strumentalizzato le grandi questioni dell’immigrazione e
dell’asilo. Da una parte si insiste su nuovi decreti sicurezza e su “blocchi
navali” che in passato hanno fatto anche troppe vittime. Basti pensare
all’affondamento della Kater Y Rades, nel 1997 ai tempi del primo governo Prodi
ed al processo che ne è scaturito, durato ben diciassette anni fino alla
condanna in Cassazione per naufragio colposo di un comandante della Marina
militare italiana.
I partiti del governo uscente, peraltro, non si discostano dalla politica degli
accordi bilaterali con paesi che non garantiscono i diritti umani, come è
emerso dal più recente incontro tra Erdogan e Draghi e nel rinnovo delle
missioni militari all’estero. Appare ancora lontana una vera svolta rispetto al
passato, in direzione della regolarizzazione permanente, dell’apertura di
realistici canali legali di ingresso per lavoro, e magari di vie di fuga da
paesi nei quali, come in Libia, le persone migranti sono quotidianamente
sottoposte a torture di ogni genere. Si continua a guardare l’immigrazione come
una questione di sicurezza, senza una visione progettuale nella direzione di
relazioni internazionali basate sulla pace e sul rispetto dei diritti umani,
per una società più giusta e solidale che sia capace di includere gli immigrati
senza fornire pretesti per fare esplodere lo guerra tra le componenti più
deboli del corpo sociale.
Navi bianche e navi di nessuno - Mauro Armanino
La nave Vulcania impiegata per il rimpatrio dei profughi italiani nel 1942
“… Tra il 1941 e il 1943 quattro transatlantici della Marina
mercantile italiana – Saturnia, Vulcania, Giulio Cesare e Caio Duilio – furono
appositamente trasformati nelle cosiddette Navi Bianche per riportare in patria
dall’Africa Orientale Italiana 30.000 civili prelevati dalle loro case
dopo l’occupazione del 1941 e rinchiusi nei campi di concentramento britannici:
donne, anziani, invalidi e tantissimi bambini…” (Massimo Camorani, Dalle
navi bianche alla linea Gotica 1941- 1944).
Dovevo tornare dal
Niger per imbattermi con questo pezzo di storia per me sconosciuta e
particolarmente eloquente. Mi ha particolarmente incuriosito la vicenda delle
‘Navi Bianche’, che furono chiamate tali perché colorate di bianco con una
grande croce rossa. Ciò per essere meglio identificate e dunque evitare di
essere un facile bersaglio di guerra. Si trattava di bastimenti che riportarono
migliaia di connazionali in patria in seguito alla rapida dissoluzione
dell’impero coloniale italiano in Africa Orientale ad opera degli inglesi.
E fu così che, sempre
secondo il diario del citato Massimo Camorani “… dopo mesi nei campi di
prigionia trascorsi in proibitive condizioni climatiche, igieniche, alimentari
e sanitarie, i rimpatriandi si trovarono ad affrontare un percorso lunghissimo
e difficile di circumnavigazione dell’Africa, poiché il governo britannico non
aveva concesso il passaggio dal Canale di Suez…tre viaggi, ognuno dei quali,
tra andata e ritorno, durava tre mesi, su una distanza di oltre 23.000 miglia…”
Le navi di nessuno,
invece, sono quelle che oggi, in circostanze analoghe, imbarcano persone che
fuggono dalle prigioni libiche, ivi internate per tentare di fuggire da altri
‘inferni’ meno noti ma ugualmente mortali. Piuttosto che navi si usano gommoni
e non devono circumnavigare l’Africa. Sfidano quel Mediterraneo che, invece di
essere un ‘mare di mezzo’, viene camuffato in cimitero marino incustodito… “I
sopravvissuti ancora a bordo sono 460 e le condizioni di molti di loro non sono
buone. Soccorsi dopo 3 giorni sotto il sole, senza cibo né acqua,
sono disidratati, presentano ustioni da carburante, gravi ferite e infezioni
non curate e segni fisici e psicologici delle violenze e delle torture subite
nei campi di detenzione libici’. (Messaggio di S.O.S. Mediterranée del 30 agosto
2022)
Un popolo che
smarrisce la memoria rischia di smarrirsi a sua volta nel mare
dell’indifferente ipocrisia del tornaconto economico ed elettorale.
Casarza Ligure, 4 settembre 2022
https://comune-info.net/navi-bianche-e-navi-di-nessuno/
Blocco Navale, naufragio morale - Domenico Gallo
Nel riproporre il suo obiettivo del
blocco navale dei barconi in partenza dalla Libia l’on. Meloni ha fatto
riferimento ad un precedente, il blocco navale operato dall’Italia nei
confronti delle imbarcazioni di profughi/migranti che partivano dalle coste
dell’Albania nella primavera del 1997 (primo Governo Prodi), indicandolo come un
modello da seguire. Peccato che nel riproporre il modello Albania la Meloni
abbia sorvolato su un piccolo inconveniente la morte di 81 persone.
Tutti i partiti stanno pubblicando i
loro programmi elettorali sulla base dei quali si confronteranno nella competizione
elettorale. Poiché il programma serve e catturare il consenso degli elettori,
si sprecano le promesse di benefici miracolosi che questo o quel partito
assicurerà agli italiani in caso di vittoria. Così si promettono meno tasse per
tutti e più soldi in busta paga, pensioni più alte e più facili da raggiungere,
incentivi e bonus di ogni sorta. Si sorvola su alcune palesi incongruenze come
l’incompatibilità fra la riduzione delle entrate fiscali, la crescita della
spesa militare e l’incremento della spesa sociale. In realtà i programmi dei
partiti più che a proporre, servono ad occultare i problemi reali e le
intenzioni dei decisori politici, gettando fumo negli occhi degli elettori.
Il programma della destra, però, ha un
suo profilo di originalità che lo distingue da quello di altre forze politiche.
C’è una sezione dedicata alle promesse (ai cittadini italiani), ma c’è anche
una sezione dedicata alle minacce (ai non cittadini). Il tema è quello
dell’immigrazione, cioè della pressione alle frontiere di profughi e rifugiati
che cercano di sbarcare in Italia. La pretesa di bloccare il flusso di profughi
che provengono in maggioranza dalle coste della Libia è sempre stata oggetto di
una politica muscolare che ha esibito come un titolo di merito condotte di
palese violazione degli obblighi del diritto internazionale, sfociate in alcuni
casi in atti di rilevanza penale, come dimostra il processo a carico di Salvini
per sequestro di persona in corso a Palermo.
A questa particolare vocazione della
Lega, la leader di FdI, ha aggiunto un peso da novanta proponendo il “blocco
navale” intorno alla coste della Libia. I Fratelli d’Italia si sono preoccupati
per tempo di sdoganare la parola “blocco navale”, al punto di votare, nel marzo
dell’anno scorso contro la ratifica degli emendamenti allo Statuto istitutivo
della Corte penale internazionale adottati a Kampala il 10 e 11 giugno 2010
dalla Conferenza dei paesi membri. Gli emendamenti mirano a risolvere un vuoto
normativo dello Statuto procedendo alla definizione del crimine di aggressione.
Fra gli atti che integrano il crimine di aggressione rientra: “il
blocco dei porti o delle coste di uno Stato da parte delle forze armate di un
altro Stato.” Sul piano del diritto internazionale non v’è dubbio che il
blocco dei porti o delle coste, se attuato al di fuori dell’art. 51 della Carta
dell’ONU, costituisce un atto di guerra.
Se il blocco non è attuato nei confronti
di uno Stato ma nei confronti di una flottiglia di profughi, non è un vero e
proprio atto di guerra, ma costituisce pur sempre un atto illecito perché in
violazione di un principio antichissimo del diritto internazionale, quello
della libertà dell’alto mare, ribadito dall’art. 87 della Convenzione ONU sul
diritto del mare. Nell’opporsi alla ratifica e nel riproporre il suo obiettivo
del blocco navale dei barconi in partenza dalla Libia l’on. Meloni ha fatto
riferimento ad un precedente, il blocco navale operato dall’Italia nei
confronti delle imbarcazioni di profughi/migranti che partivano dalle coste
dell’Albania nella primavera del 1997 (primo Governo Prodi), indicandolo come
un modello da seguire.
Peccato che nel riproporre il modello
Albania la Meloni abbia sorvolato su un piccolo inconveniente. Il 28 marzo 1997
(venerdi di Pasqua) la corvetta Sibilla della Marina militare italiana
intervenne per costringere una imbarcazione albanese, la Kater I Rades, carica
di profughi e diretta in Italia, ad invertire la rotta, finendo per speronarla.
La nave colò a picco trascinando con sé il suo carico umano. 81 furono i corpi
recuperati nel relitto (fra cui decine di bambini con le loro madri), 34 furono
i sopravvissuti che furono portati in Italia. Nel corso di una audizione tenuta
dinanzi alle Commissioni Esteri e Difesa del Senato, il 1° aprile 1997, il
Ministro della Difesa dell’epoca, on. Andreatta, ammise: “Le unità del
nostro dispositivo hanno ricevuto direttive di adottare regole di
pattugliamento volte a dissuadere il naviglio clandestino dal raggiungere il
nostro paese (..) Le norme di comportamento prevedevano anche la possibilità,
da parte delle nostre unità di manovrare in modo da scoraggiare il
proseguimento della navigazione dei natanti verso le coste italiane”.
Quindi nel 1997 il primo Governo Prodi
cercò di attuare, senza dichiararlo, una sorta di blocco navale delle coste
albanesi, salvo poi rimangiarselo dopo il disastro della Kater I Rades. Poiché
provocare un naufragio e la morte per annegamento dei profughi è comunque un
crimine sanzionato dalle leggi penali, il comandante della Sibilla, Fabrizio
Laudadio, fu condannato alla pena di tre anni di reclusione del Tribunale di
Brindisi (poi ridotta ad anni due in Cassazione), ed il Ministero della Difesa
a risarcire le vittime. Del resto quando si pretende di arrestare la
navigazione di natanti stracarichi ed in condizioni di sicurezza precarie, il
naufragio è una conseguenza del tutto scontata. Ma altrettanto criminoso
sarebbe la cattura in alto mare dei profughi per ricondurli con la forza nei
lager libici da cui sono fuggiti.
Quello che colpisce è che un programma
così palesemente criminoso e criminogeno, e così atrocemente disumano, venga
promesso al popolo italiano per ottenere più consenso dagli elettori.
Promettere in campagna elettorale di fare strage dei diritti (e dei corpi) di
determinate categorie di persone, non è quello che accadeva in Germania negli
anni trenta del secolo scorso? Ricordate come è andata a finire?
Articolo pubblicato da
Micromega.net
Nell’immagine un
murale in una scuola di Bari curato dall’artista Giuseppe D’Asta. Una sirena
azzurra che mette in salvo una barca con bimbi migranti. Il progetto è
sostenuto da Bosch. Gli attivisti di Retake Bari hanno ripulito il muro dalle
scritte vandaliche, prima di realizzare il murale con colori acrilici delebili.
https://www.manifestosardo.org/blocco-navale-naufragio-morale/
I morti che
invece non piange nessuno - Giulio Cavalli
Nel 2022 sono scomparse oltre mille persone
nel Mediterraneo centrale cercando di raggiungere l’Europa. Da poco la Guardia
nazionale tunisina ha recuperato altri tre corpi al largo della costa
meridionale di Gabes
Il numero di vite rivendicate dal Mediterraneo
continua ad aumentare. Mercoledì 7 settembre la Guardia nazionale tunisina ha
riferito che le sue navi avevano recuperato altri tre corpi al largo della costa meridionale di Gabes. Le
vittime erano state su una barca che trasportava altri quindici migranti quando
è stata “intercettata” e riportata in Tunisia.
Dall’inizio di quest’anno, oltre mille persone sono morte o scomparse nel Mediterraneo centrale
cercando di raggiungere l’Europa, secondo i dati dell’Organizzazione
internazionale per le migrazioni.
Lo stesso giorno in cui le autorità tunisine
hanno recuperato i tre corpi, più a sud nella città di Zarzis, le madri dei
migranti scomparsi si sono riunite per chiedere la verità sui loro figli che
sono scomparsi ormai da anni, in alcuni casi anche un decennio.
Decine di donne, alcune con i volti dei loro
figli stampati sulle loro magliette, agitavano le foto dei loro amori
scomparsi. Tra la folla c’erano anche cartelli che dicevano: “Stop alla
violenza contro i migranti” e cartelli e magliette con lo slogan “Ferries, not
Frontex”.
Per le madri quella marcia in città (che è
luogo di partenza per il Mediterraneo) è il solo modo per mantenere viva la
memoria dei loro figli e per chiedere risposte.
«Stiamo lottando per ottenere la verità sui
nostri figli», ha detto Fatma Kasroui, una madre tunisina in lutto che non ha
avuto notizie di suo figlio dal 2011. «Abbiamo bussato alle porte del ministero
degli Interni e del ministero degli Affari esteri. Abbiamo organizzato sit-in.
Ma non abbiamo avuto risultati. Come possono le autorità tunisine dirci che i
nostri figli sono semplicemente scomparsi?».
Il raduno si è svolto 10 anni dopo la tragedia
di una barca partita da Sfax con 130 migranti a bordo, diretti in Italia. Solo
56 sono sopravvissuti a quel viaggio. Un decennio dopo, rimangono molti dubbi
su quanti siano effettivamente i morti.
L’Ue fornisce aiuti economici alla Tunisia,
che è paralizzata dal debito. In cambio, il Paese si impegna a fermare i
migranti che partono dalle sue coste, provando a impedire gli arrivi in Europa.
Nonostante ciò, il numero di tentativi di attraversamento dei migranti – e
delle sparizioni – dalla Tunisia continua ad aumentare.
Il numero di disastri causati da questi
tentativi disperati è talmente alto che la Tunisia è a malapena in grado di
seppellire i cadaveri. Ci sono due cimiteri di migranti in città, con quasi
1.000 corpi sepolti. Ormai non c’è più spazio.
Troppo facile usare l’immigrazione solo quando
sarà un’utile arma d’opposizione contro il prossimo governo di destra. Troppo
ipocrita essere “umanitari” a fasi alterna, nei momenti in cui torna utile per
la propria battaglia politica. C’è in corso un guerra feroce da anni in cui
l’Europa ha il triste ruolo del mandante.
https://left.it/2022/09/09/i-morti-che-invece-non-piange-nessuno/
Se per il consenso si truccano anche
i numeri dei migranti - Francesca Paci
E poi a un certo punto, sincronizzata puntualmente col
disagio economico, salta fuori l’invasione dei migranti. Salta fuori nella
retorica sicuritaria dei partiti di centro-destra, ma torna anche, sempre più
spesso, nel discorso degli altri, i progressisti, i teorici della società
aperta, quelli che, più o meno loro malgrado, finiscono, per accodarsi alla
narrativa mainstream. Succede così che in questi giorni di
previsioni funeste per l’autunno in agguato due quotidiani illuminati come il
francese Le Monde e lo spagnolo El Pais dedichino
il titolo di apertura e le pagine a seguire alla quintessenza della paura
sociale, “L’Europe face à un retour massif des migrants” e “La
migración irregular a Europa crece al mayor ritmo desde 2016”. D’impatto,
non c’è che dire, tanto le foto quanto la grafica dei flussi a tenaglia tra la
Sicilia e Trieste. Peccato che, ancora una volta, i conti non tornino.
Non tornavano neppure all’inizio di luglio, quando
l’ancora in sella premier Mario Draghi confidava al “dittatore necessario”
Recep Tayyip Erdogan come l’Italia, “paese aperto”, avesse raggiunto il limite
dell’accoglienza. E oggi, al termine di quella bella stagione che tanto si
presta all’attraversamento del Mediterraneo, tornano ancora meno. Dati
ufficiali alla mano infatti, a quattro mesi dalla fine del 2022 risultano
sbarcate sulle nostre coste 56.210 persone, meno di un terzo delle 181.436 del
2016 e la metà esatta rispetto al 2017. Poi certo, c’è in mezzo il 2019 di
quota 11.471, ma, con buona pace dell’allora ministro dell’interno Matteo
Salvini, quel risultato dipese assai più dalla tragica guerra in Libia e
dall’impossibilità di fuggire via mare superando i mille check point dei
miliziani che dai pur durissimi decreti sicurezza varati dal suo Viminale.
Non c’è insomma “nessuna emergenza numerica”, come ripete
il portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Flavio
Di Giacomo, rimarcando quanto «oltre l’80% dei migranti africani resti in
Africa». Non c’è in Europa, dove e per fortuna all’indomani dell’invasione
russa sono stati accolti senza colpo ferire oltre 9 milioni di profughi
ucraini, né tantomeno in Italia, dove esiste invece, concretissima, una grave
emergenza umanitaria nell’hotspot di Lampedusa, angusto collo di
bottiglia organizzativo che, nel Mediterraneo precluso ormai quasi del tutto al
soccorso delle ONG, ha assorbito finora il 40% degli sbarchi, al netto di
14.157 migranti intercettati in sei mesi dalla guardia costiera libica e
riportati a terra.
Eppure, con la guerra del gas a minacciare la tenuta
dell’economia europea ma anche dei suoi valori fondanti, salta fuori, capro
espiatori senza eguali, l’invasione dei migranti. La presunta invasione dei
migranti. Salta fuori in Italia, dove i sondaggi di una campagna elettorale
molto polarizzata gonfiano il vento in poppa alla destra, e salta fuori in
Francia, in Spagna, in quelle democrazie del vecchio continente in cui la
politica non riesce più a governare i processi sociali con ricette nazionali e
cede alla retorica semplicistica dei populismi, lasciando loro l’iniziativa e
riconoscendone di fatto la nuova egemonia culturale.
C’è una sola vera teoria pseudo-matematica nell’intero
corpus delle scienze sociologiche e si chiama “il teorema di Thomas”, dice che
«se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse saranno reali
nelle loro conseguenze», dice cioè che la percezione di un pericolo produce
conseguenze reali indipendentemente da quanto reale sia quel pericolo. Ecco
perché l’invasione dei migranti salta fuori regolarmente allo scoccare di ogni
crisi economica e all’approssimarsi di un voto. Una squadra butta la palla in
tribuna e detta i tempi all’altra. Anche se i conti non tornano.
L’articolo è tratto da La Stampa del
5 settembre 2022
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