Pubblichiamo la traduzione in italiano dello speciale curato da Serge Quadruppani su lundimatin#348, uscito il 23 agosto 2022. Quadruppani presenta le introduzioni di due testi importanti dedicati al tema dei profitti delle lobby che interagiscono con chi è al potere, si sostituiscono agli stati e gestiscono affari speculando su problemi drammatici e urgenti come le pandemie, le emergenze sanitarie, le malattie croniche, oppure modificando e sfruttando la produzione delle risorse alimentari con effetti catastrofici per la salute pubblica (si veda l’agroindustria). I libri proposti sono due, il secondo dei quali, come spiega Quadruppani, è “passato troppo inosservato ai tempi della sua pubblicazione, nel 2020”. Abbiamo dunque un estratto tratto dal volume di Daniel Benamouzig e Joan Cortinas Muñoz, Des Lobbys au menu. Les entreprises agro-alimentaires contre la santé publique, Raison d’Agir, 2022; a seguire, Olivier Maguet, La santé hors de prix: l’affaire Sovaldi, Raison d’Agir, 2020. Traduzione di Salvatore Palidda
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Basta una
conversazione con un vicino di quartiere o un tuffo nella poltiglia dei social
network per convincerti di ciò che tutta la scienza sociologica e investigativa
non potrà che confermare: mai la consapevolezza della catastrofe in atto è
stata così onnipresente e così intensa, e mai è stata accompagnata da un così
profondo sentimento di impotenza. Tutti sanno che il Covid-19 è stata solo la
prima e non certo la peggiore delle nuove pandemie generate
dall’industrializzazione della biosfera, che il cambiamento climatico è appena
iniziato e che avrà sempre una svolta più catastrofica, che le guerre, comprese
quelli nucleari, sono davanti a noi. Tutti sanno che, di fronte a ciò, la
stessa necessità di occuparsi dei problemi più urgenti, cioè di curare e
prendersi cura dei più deboli, diventerà sempre più difficile. Tutti lo sanno e
tutti pensano che non si possa fare a meno. Probabilmente mai nella storia
l’umanità è stata così consapevole di quale fosse la causa principale delle sue
disgrazie e di quelle della Terra, e mai è stata così impotente a
fermarle [lundimatin]
Se c’è un
piccolo buco di topo attraverso il quale sfuggire allo scivolo mortale
universale, ci arriveremo solo iniziando a capire cosa ha creato questa
impotenza e cosa ancora la fabbrica. Identificare, nelle istituzioni e
nell’economia, le pratiche e i circuiti che portano a espropriare la stragrande
maggioranza della popolazione di qualsiasi potere per intervenire nel disastro
in corso, richiede una riflessione sul ruolo delle lobby. I cospiratori,
dall’abate Barruel a Louis Fouché e ai suoi compagni di viaggio di estrema
sinistra, giocano instancabilmente lo stesso brutto scherzo che consiste nel
sostituire la lotta tra sfruttatori e sfruttati, che è il motore della storia,
con una lotta contro le lobby. Ma non capire attraverso quali attori precisi, quali
pratiche e quali reti si incarna la mortale dinamica capitalista significa
condannarsi a generalità vuote.
Inauguriamo
qui una serie di buone schede di lettura che documentano l’azione delle lobby
più dannose e potenti, quelle che interagiscono costantemente con chi è al
potere, e che determinano le loro azioni tanto per motivi di interessi
individuali e di classe quanto per una fondamentale prossimità. L’incredibile
arroganza di queste persone non è solo arroganza di classe, è anche la
traduzione di questa convinzione che i loro media, i loro specialisti e le loro
scuole superiori hanno instillato in loro: il vero sono loro. Il merito delle
opere che qui verranno presentate è quello di mostrare il vero volto della loro
realtà.
Di seguito
le introduzioni a due libri. Il secondo è passato troppo inosservato al momento
della sua pubblicazione nel 2020. L’affaire Sovaldi: La Santé Hors de
Prix, di Olivier Maguet, espone come un farmaco efficace contro l’epatite C
sia stato deliberatamente venduto a prezzi elevati, importi esorbitanti
estranei ai costi della produzione e come lo Stato francese si è piegato ai
diktat del laboratorio di produzione, pur esistendo la possibilità di derogare
ai sacrosanti diritti del titolare del brevetto. Fine analisi di come è stato
inventato Sovaldi, del ruolo dei ricercatori che sono fin dall’inizio anche
imprenditori la cui unica motivazione manifesta è il profitto, questo libro
risponde alla domanda: come hanno fatto i governi dei paesi ricchi, in un
movimento unanime, ad accettare una prezzo anormalmente alto che gravava
pesantemente sui loro bilanci nazionali, quando tutti avevano la stessa
possibilità della Francia, nel quadro della legge sui brevetti esistente, di
garantire l’accesso a questo medicinale a un costo inferiore? La domanda
potrebbe essere formulata in modo più schietto, per comprenderne meglio la
portata: come hanno fatto i paesi ricchi a scoprire di condividere ora la
triste sorte dei paesi poveri di fronte alla barriera finanziaria nell’accesso
alle cure?
E la risposta
è politica. Così come l’attività dell’agrobusiness è politica, come descritto
in Des lobbies au menu, di Daniel Benamouzig e Joan Cortinas Muñoz.
Esplorando le varie categorie di attività politica delle organizzazioni del
settore, gli autori possono così esporre come l’industria modella la decisione
politica:
“Concretamente,
le risorse utilizzate per creare o intrattenere numerose reti sono per
l’essenziale delle incitazioni che mirano ad attirare scienziati, esperti o
decisori: finanziamento della ricerca, remunerazione individuale, spazi
sociali, doni vari, accesso a spazi sociali esclusivi. Se questi incentivi non
bastano, l’industria mobilita tattiche di pressione – ad hoc, su un
parlamentare, con l’argomento della perdita di posti di lavoro in un collegio
elettorale, o su uno scienziato attraverso un’azione legale o la semplice
minaccia di assumerne uno. Tali incentivi e minacce hanno effetti a lungo
termine non sempre visibili, ma che spesso si rivelano strutturanti per la loro
natura dissuasiva e implicita. Così, gradualmente, l’industria modella la
struttura decisionale di scienziati, esperti, decisori”.
Non siamo
obbligati a condividere le posizioni di questi autori che sembrano credere un
po’ troppo nella possibilità di uno Stato che sarebbe finalmente quello di
tutto il popolo, per cogliere l’importanza del loro lavoro. In realtà, quello
che tutti i materiali che ci hanno messo a disposizione sembrano dimostrare
definitivamente è che una politica distaccata dalle lobby sarebbe necessariamente
una politica distaccata da ogni pratica statale.
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Daniel Benamouzig et Joan Cortinas Muñoz, Des
Lobbys au menu.
Les entreprises agro-alimentaires contre la santé
publique, Raison
d’Agir, 2022
Premessa
degli editori
Il lobbismo
è oggetto, almeno in Francia, di riprovazione generale: questa pratica dei
potenti agenti economici consiste nell’usare i mezzi più diversi – e spesso i
più perversi – per esercitare un’influenza sui decisori politici al fine di
stabilire un quadro giuridico favorevole ai propri interessi, suscita la
massima sfiducia, ma anche un vero senso di impotenza, tanto la loro influenza
sembra ineluttabile e difficile da contrastare.
L’ossimoro
della corruzione legale sembra più adatto a designare le attività dei gruppi di
pressione. Per quanto sorprendente possa sembrare, il lobbying è davvero una
pratica ufficialmente riconosciuta e regolamentata in molti paesi. Se da tempo
ha acquisito un’esistenza giuridica nel mondo anglosassone e a livello europeo,
nel 2009 è stata regolamentata, e quindi legalizzata. I gruppi di interesse
sono soggetti a un “Codice di condotta” e possono registrarsi ufficialmente per
essere presenti all’Assemblea nazionale o al Senato.
Se questo
riconoscimento ufficiale ha almeno il vantaggio di essere soggetto a controllo,
questo libro di Benamouzig e Cortinas mostra che invece di fornire informazioni
ai decisori pubblici, le lobby rafforzano il potere di cui le imprese
dispongono per imporre i loro interessi di fronte a dei consumatori che non
dispongono mai delle risorse per difendere – o più esattamente costruire – i
loro propri interessi. È inoltre abbastanza sorprendente vedere il partito dei
lobbisti erigere il ruolo dell’UFC-Que Choisir come modello di
progressismo, mentre questa associazione (in Francia) costituisce
l’incarnazione del tutto eccezionale di un lobbismo dei deboli che talvolta
riesce a pesare sui forti.
Il caso
dell’agroindustria studiato in Des lobbies au menu è
importante sotto più di un aspetto, poiché le questioni alimentari sono
parassitate dai drammatici effetti delle lobby settoriali sulla salute
pubblica. Ce ne sarebbero altri, ovviamente, e gli esorbitanti costi del
lobbying da parte dell’industria farmaceutica ne sono un esempio non meno
eclatante, anche se quest’ultima è soggetta a controlli più severi – si pensi
in particolare a casi altamente lucrativi, di cui un caso scandaloso è
presentato nel lavoro di Olivier Maguet sui farmaci usati per curare l’epatite
C[1].
Le
trasformazioni del settore agroindustriale e delle sue tecniche di produzione
hanno consentito di immettere sul mercato alimenti sicuramente poco costosi, ma
“ricchi di grassi, zuccheri e sali aggiunti, portando soddisfazioni facili[2]”.
E il prezzo non è stato, tutt’altro, il principale strumento di propaganda con
cui il marketing alimentare ha favorito un modello industriale che porta al
consumo di prodotti alimentari non solo in quantità eccessiva, ma anche di
scarsa qualità nutrizionale. I promotori del sostegno pubblico all’industria
alimentare probabilmente non riconosceranno mai che la loro azione porta a una
distorsione dei gusti attraverso l’offerta di prodotti che creano dipendenza,
ed è proprio questa l’idea di un’informazione trasparente accessibile a tutti,
che è legalmente corrotto dalle lobby.
La
disuguaglianza a fronte di informazioni utili, ma volutamente nascoste per
avere un certo controllo sugli effetti nutrizionali dei modelli di consumo
imposti dall’agroindustria, in realtà aumenta le disuguaglianze sociali a scapito
delle categorie più svantaggiate in termini di potere di acquisto ma anche in
termini di informazioni e capacità di padroneggiare le informazioni. Mentre il
cibo è un problema centrale di salute pubblica, la presa dell’agrobusiness
sulle politiche di salute pubblica è tale che, in alcuni casi, tendono a
sostituirsi allo Stato, ostacolando l’attuazione di interventi favorevoli alla
salute pubblica.
Des Lobbys
au menu mostra
quanta attenzione ai dettagli l’industria alimentare deve ottenere per
raggiungere questo obiettivo: non contenta di influenzare gli standard di
produzione, fa tutto il possibile per controllare le condizioni di produzione e
la diffusione delle informazioni. Le lobby agroalimentari sono attive a tutti i
livelli: etichettatura nutrizionale, limitazione della regolazione dei
meccanismi di mercato, freno alle politiche agroindustriali a favore della
qualità dei prodotti. Inoltre, mentre i problemi di salute pubblica resistono
senza dubbio alla volontà di manipolazione dei lobbisti più di altri, trovano
una leva infinitamente espandibile nella promozione del “piacere del gusto” e
della “gastronomia francese” (o di altri paesi) che, almeno a prima vista, non
ha responsabili da un punto di vista oggettivo e inevitabile.
Per capire
questo doppio gioco che rende sfuggente l’azione dei lobbisti agroalimentari,
non c’è bisogno di cercare “rivelazioni” (anche se, in realtà, gli scandali non
mancano).
Come
mostrano Benamouzig e Cortinas, è necessario tornare alle situazioni ordinarie
e, sulla base di una rigorosa indagine sociologica, proporre nuovi strumenti di
conoscenza per l’azione politica. I meccanismi con cui l’agrobusiness incide
sulle politiche nutrizionali e sui processi decisionali pubblici non si trovano
solo nelle anticamere del potere e nei corridoi dei parlamenti. Si stanno
sviluppando a tutti i livelli della “filiera alimentare”: nella produzione di
saperi e categorie di pensiero nel campo della salute pubblica, attraverso i
rapporti instaurati dal settore agroindustriale con ricercatori al servizio di
compiacenti competenze; nella produzione di argomentazioni giuridiche volte a
limitare le misure regolamentari nel campo dell’etichettatura nutrizionale; o
nell’attacco a personalità ritenute sconvenienti per gli interessi
dell’industria.
Tra tutti i
mezzi possibili per combattere le lobby agroindustriali, questo libro mostra
l’importanza di regolamentare i mercati alimentari, dove il ruolo dello Stato
non dovrebbe più limitarsi a garantire l’approvvigionamento ma a tutelare
fondamentalmente la salute pubblica. Ripristinare l’autorità dello Stato, in
termini di conoscenza e produzione di informazioni, promozione di standard
alimentari e regolamenti ufficiali con capacità di controllo. Non si tratta di
aspettarsi che gli industriali forniscano informazioni obiettive e neutre a chi
governa e a chi consuma, perché sarebbero nella posizione migliore per farlo,
proprio per la loro posizione di produttori. In realtà, gli informatori qui
sono anche formatori, che modellano i “gusti” dei consumatori secondo i loro
interessi di produttori, a scapito della salute pubblica. I lobbisti delle
aziende più potenti, con il consenso dei governi accecati dall’idea di un
consumatore perfettamente in controllo delle proprie scelte, si arrogano il
diritto di espropriare il consumatore della sua capacità di scegliere, vale a
dire di avere accesso al controllo collettivo e informato delle condizioni alle
quali può scegliere con cognizione di causa.
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Olivier Maguet, La santé hors de prix:
l’affaire Sovaldi, Raison d’Agir, 2020
Introduzione.
L’affaire Sovaldi
Il 20
novembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica
francese un decreto firmato due giorni prima da Marisol Touraine[3],
allora Ministro della Salute e degli Affari Sociali. Questo testo normativo,
redatto con la terminologia consueta per questo tipo di documenti, è “relativo
alle condizioni per il rimborso delle specialità farmaceutiche con
autorizzazione all’immissione in commercio”. Dietro questo linguaggio specifico
del Codice della Previdenza Sociale, il decreto annuncia che un farmaco
chiamato Sovaldi può essere prescritto in ospedale e che sarà coperto al 100%
dalla collettività.
Sovaldi
cura, nella quasi totalità dei casi, le persone infette da un virus che
distrugge il loro fegato: l’epatite C. Finora questa è una buona notizia. Si
consiglia comunque di leggere gli allegati a questo decreto, che definiscono
con precisione le condizioni di copertura: questo farmaco può essere prescritto
solo ai malati più gravi. Applicando i criteri clinici specificati in questi
allegati, ciò significa che circa la metà delle 200.000 persone infette dal
virus dell’epatite C in Francia non potrà accedervi. Dietro il linguaggio
tecnico-amministrativo specifico dei testi normativi, il decreto ministeriale
del novembre 2014 testimonia una decisione politica eccezionale e senza
precedenti: è la prima volta dalla creazione della Previdenza Sociale nel 1945
che un farmaco viene razionato ufficialmente e amministrativamente dalle
autorità pubbliche.
Perché
razionare un farmaco che offre ai pazienti la speranza di riprendersi da
un’infezione cronica potenzialmente fatale? La risposta è semplice: il suo
prezzo. Perché il giorno prima della firma del decreto di Marisol Touraine è
stato convalidato un altro testo amministrativo, questa volta da parte di un
organismo interministeriale totalmente sconosciuto al grande pubblico ma che
svolge un ruolo di primo piano nella determinazione del prezzo del farmaco in
Francia: il Comitato economico per i prodotti sanitari (CEPS). Con decisione
del 17 novembre 2014, il CEPS informa che il prezzo di Sovaldi sarà di 41.000
euro per una cura standard di dodici settimane. Tale tariffa, decisa dopo una
lunga trattativa con il titolare del brevetto industriale, sarà applicata agli
ospedali e addebitata al bilancio della Previdenza Sociale. I calcoli sono
veloci: con 200mila pazienti che necessitano di queste cure, la bolletta della
Previdenza Sociale sarebbe di 8 miliardi di euro. Anche in un paese che è
considerato uno dei più ricchi del mondo e che ha la reputazione di avere uno
dei migliori sistemi di protezione sociale, questa spesa è semplicemente
insopportabile per il ramo della previdenza sociale. Per comprenderne appieno
l’eccezionalità, questa somma va confrontata con l’importo totale pagato
dall’assicurazione sanitaria quell’anno a titolo di medicinali per tutti gli
assicurati della previdenza sociale, tutte le patologie messe insieme, siano
esse preventive o curative: circa 30 miliardi di euro.
Da un punto
di vista rigoroso di bilancio e nell’ottica del pareggio dei conti sociali, la
decisione ministeriale sembra sensata e alimenta la sensazione che non ci fosse
altra scelta. Questo sentimento diffuso è tanto più significativo in quanto il
saldo di bilancio dei conti sociali e la riduzione del famoso “buco nella
sicurezza sociale” (Sanità pubblica) sono diventati la norma dei leader
politici di tutte le convinzioni per vent’anni – e di conseguenza dell’infrastruttura
tecnico-amministrativa preposta alla gestione della salute e della sicurezza
sociale. Inoltre, questa norma imperativa di controllo della spesa sanitaria è
costantemente ritrasmessa e diffusa da molti media e opinion leader, il più
delle volte senza analisi critiche, il che contribuisce a forgiare l’idea che
non c’è alternativa al risparmio, a rischio di “uccisione della sicurezza
sociale”.
Tuttavia,
nel novembre 2014, il governo aveva una scelta. Più precisamente, gli si
offrivano due possibilità: o razionare Sovaldi a causa di un prezzo
esorbitante, oppure far scattare un provvedimento di legge previsto dalla legge
sui brevetti e volto proprio a rispondere alla situazione in cui un farmaco
viene venduto troppo costoso. Questa seconda opzione non è mai stata
considerata. Peggio: è stato violentemente denigrato e rifiutato quando
associazioni, come Médecins du Monde, hanno ricordato alle autorità pubbliche
che non solo avevano a disposizione questo strumento ma soprattutto che erano
le uniche a poterlo utilizzare.
Di cosa si
tratta? Si tratta infatti di un principio di precauzione ante litteram,
introdotto nel diritto francese nel 1959 quando la nascente Quinta Repubblica
decise di estendere il regime dei brevetti ai medicinali, vale a dire che
l’inventore di un farmaco ha ora il diritto di depositare una domanda di
brevetto, cosa che prima non avveniva. Questa decisione pose fine a un lungo
dibattito politico sulla brevettabilità dei medicinali, iniziato durante la
Rivoluzione francese quando l’Assemblea Costituente adottò la legge del gennaio
1791 sui brevetti per tutte le invenzioni, compresi i prodotti farmaceutici.
Erano poi emerse molto rapidamente voci per chiedere uno status speciale per il
farmaco, che aveva portato il legislatore, nel luglio 1844, a decidere di
escludere il farmaco dal sistema dei brevetti. In un movimento inverso, durante
i cento anni che seguirono, altre voci avevano rivendicato la protezione del
brevetto, che portò questa volta alla decisione del governo del 1959 in base
alla quale la Francia integrava, fino a nuovo ordine, le invenzioni
farmaceutiche nel sistema dei brevetti. Lo stesso movimento di normalizzazione
del brevetto farmaceutico è stato osservato anche in tutti i paesi del Nord,
creando così un potente standard internazionale, uno standard che si applicherà
al resto del mondo quando, anni dopo, verrà creata l’Organizzazione mondiale
del commercio. Tuttavia, preoccupata per uno Stato che tutela l’interesse
pubblico e la salute della sua popolazione, la Francia di de Gaulle aveva poi
previsto esplicitamente un meccanismo di deroga a questo principio del brevetto
del farmaco. Tale deroga potrebbe essere attivata dal governo nel caso in cui
corresse il rischio di dover razionare l’accesso della popolazione a un farmaco
a causa del suo “prezzo anormalmente elevato”. Nelle esatte parole,
l’espressione compare come tale nell’ordinanza del 4 febbraio 1959 che
istituisce il “brevetto farmaceutico speciale” e che al tempo stesso crea
questo meccanismo di deroga.
Le
disposizioni di questa ordinanza trovano pieno riscontro nella legge del 2
gennaio 1968 sui brevetti per invenzione, legge che fissa ancora in Francia le
basi vigenti per definire e inquadrare il brevetto in generale. Il meccanismo
di eccezione dei brevetti sui farmaci è ora incluso nell’articolo L-613-16 del
Codice della proprietà intellettuale, sotto il nome di “licenza d’ufficio”.
Questo articolo autorizza il governo francese a revocare temporaneamente il
monopolio di commercializzazione associato a un brevetto su un medicinale se
questo medicinale è “messo a disposizione del pubblico […] a prezzi
anormalmente elevati, o se il brevetto è sfruttato in condizioni contrarie
nell’interesse di salute pubblica”.
In questa
situazione, il governo può quindi offrire a qualsiasi produttore che produca
una versione generica di questo farmaco per rifornire il mercato francese, cosa
che l’esclusività associata al brevetto sul farmaco originatore (il farmaco “di
riferimento”) normalmente vieta. Il governo rilascia quindi una licenza di
esercizio al concorrente e, poiché questa licenza non è concessa dal titolare
del brevetto, viene definita “ex officio”. Il suo interesse: consentire al
Paese di ottenere un farmaco della stessa qualità e della stessa efficacia
terapeutica di quelli del farmaco originario protetto dal brevetto, ma a un
costo inferiore. Ciò consente di rimuovere, legalmente, la barriera finanziaria
che ha determinato il razionamento. Non si tratta in alcun modo di
espropriazione o nazionalizzazione, in quanto il produttore titolare del
brevetto è compensato da royalties calcolate sull’importo delle vendite della
versione generica del concorrente, per tutto il periodo in cui la licenza si
applica automaticamente.
Nel novembre
2014, con Sovaldi, la Francia si trova ad affrontare una delle situazioni che
autorizzano e legittimano il governo a far scattare una licenza d’ufficio. La
bolletta Sovaldi sarebbe stata ridotta a 20 milioni di euro per curare tutti i
200mila pazienti, visto il prezzo di vendita di cento euro per la versione
generica che allora esisteva sui mercati. Si ricorda che, per questo tipo di
farmaci, le spese sono interamente a carico delle risorse pubbliche fornite dai
contributi previdenziali e fiscali.
Lo stesso
anno in cui poté fare questa scelta della licenza d’ufficio, il governo adottò
il piano per il risparmio della spesa pubblica. In una comunicazione del 16
aprile 2014, intitolata “Verità, efficienza, fiducia”, il Presidente del
Consiglio Jean-Marc Ayrault presenta le misure adottate per tradurre la richiesta
che il Presidente della Repubblica – allora François Hollande – aveva avanzato
il 14 gennaio 2014 : ridurre la spesa pubblica di 50 miliardi di euro entro il
2015-2017. Il pacchetto di misure proposto dal governo si rivolge a quattro
ambiti: Stato, enti locali, assicurazione sanitaria e protezione sociale. La
diminuzione della spesa sanitaria dovrebbe quindi contribuire da sola per un
importo di 10 miliardi di euro, parte dei quali deve basarsi esplicitamente sul
risparmio nella spesa per i farmaci. Per i circa due miliardi, il risparmio
richiesto alla Previdenza Sociale è equivalente a quello che si sarebbe potuto
ottenere se il governo avesse optato per la concessione automatica per ridurre
l’esorbitante bolletta di Sovaldi.
La domanda è
semplice: come siamo arrivati qui? E questa domanda non riguarda solo la
Francia. Quasi tutti i paesi considerati ricchi, infatti, si sono trovati di
fronte a questa impasse di bilancio con Sovaldi. Prendi l’ambito geografico dei
paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(OCSE), generalmente considerata il club che riunisce le economie più fiorenti
del pianeta. Nel gennaio 2017, l’OCSE ha pubblicato un rapporto dedicato alle
sfide dell’accesso all’innovazione terapeutica, in cui rilevava che “i nuovi
trattamenti contro l’epatite C, che sono molto efficaci, sono inaccessibili per
molti potenziali beneficiari in quasi tutti i paesi dell’OCSE a causa della
loro elevato impatto di bilancio”. L’OCSE conferma così le segnalazioni lanciate
tre anni fa da associazioni e operatori sanitari; ma è vero che, a differenza
di quest’ultima, l’organizzazione internazionale non usa il termine
“razionamento”, termine poi ferocemente rifiutato dal ministro della Salute
francese. Così, all’ottuso rifiuto di utilizzare la licenza d’ufficio prevista
dalla legge sui brevetti, che costituisce una negazione dell’“Efficacia”, si
aggiunge anche la negazione della “Verità”. Diventa quindi difficile non
dubitare della “Fiducia” proclamata dal governo nel suo piano di risparmio…
In che modo
i governi dei paesi ricchi, all’unanimità, hanno deciso di accettare un prezzo
anormalmente alto che gravava pesantemente sui loro bilanci nazionali, quando
avevano tutti la stessa possibilità della Francia, nell’ambito dei brevetti
esistenti, di garantire l’accesso a questo medicina a un costo inferiore? La
domanda potrebbe essere formulata in modo più schietto, per comprenderne meglio
la portata: come hanno fatto i paesi ricchi a scoprire di condividere ora la
triste sorte dei paesi poveri di fronte alla barriera finanziaria nell’accesso
alle cure? Potremmo anche andare oltre nel formulare la domanda: perché i paesi
ricchi, di fronte alla stessa barriera finanziaria dei paesi poveri, si sono
tirati indietro di fronte a soluzioni legali che questi stessi paesi poveri non
avevano esitato a utilizzare per proteggere la propria gente?
Queste sono
le domande a cui risponde questo libro, basato sulla storia di Sovaldi. La
genesi di questo farmaco, la strategia del produttore per definirne il prezzo e
commercializzarlo a livello mondiale, le decisioni degli Stati che regolano il
mercato del farmaco – che ne sono anche i pagatori – in relazione al prezzo
richiesto: tanti aspetti che rivelano sfaccettature più ampie di il sistema in cui
i farmaci sono attualmente sviluppati e commercializzati. È in questo senso che
la vicenda di Sovaldi, farmaco specifico per una singola situazione clinica,
diventa un affare pubblico di portata generale.
La prima
parte del libro torna ai fatti: la storia di Sovaldi è tanto più interessante
perché basata su fonti di prima mano. Queste fonti permettono di decifrare
tutti gli aspetti della traiettoria di questo farmaco, dalla sua scoperta in un
laboratorio di ricerca di un’università pubblica in Inghilterra al record
mondiale di vendite mai ottenuto da un’azienda farmaceutica privata, passando
per l’acquisizione di un inizio -up che aveva depositato un brevetto difettoso.
Fino ad allora, le informazioni obiettive sul farmaco erano complicate da
raccogliere e argomentazioni autorevoli, inaffidabili, prevalevano
sull’autorevolezza dell’argomento – non solo tra i produttori ma anche, bisogna
ammetterlo, a volte nelle associazioni. Molto spesso era parola contro parola,
con evidentemente un’asimmetria nel peso delle rispettive parole. Diverso è il
caso di Sovaldi: un gran numero di documenti redatti da produttori e banche di
investimento, solitamente protetti dal segreto d’affari o molto difficili da
ottenere, sono stati raccolti e riuniti grazie all’attività investigativa sul
prezzo di Sovaldi condotta per diciotto mesi dal Commissione Finanze del Senato
degli Stati Uniti. Il rapporto investigativo pubblicato nel dicembre 2015 ha
pubblicato migliaia di pagine di documenti interni.
La seconda
parte del libro analizza la rottura portata alla luce dalla storia di questo
farmaco: rivela, in senso stretto, il “caso Sovaldi”, nel senso che individua
come l’attuale sistema di sviluppo e commercializzazione di nuovi farmaci sia
diventato un pericolo per la salute delle popolazioni, perché porta in sé i
semi di un razionamento istituzionalizzato, anche una medicina a doppia
velocità. Si individuano questi germi: conseguenze di scelte industriali
dettate dalla finanziarizzazione del settore farmaceutico; abuso dei principi della
proprietà intellettuale da parte delle aziende farmaceutiche grazie al lassismo
degli Stati preposti all’applicazione delle leggi sui brevetti da loro stessi
istituiti; l’attuale regolamentazione del mercato dei farmaci da parte degli
Stati non è idonea anche se la solvibilità è assicurata da risorse pubbliche;
rinuncia degli Stati a far valere i propri diritti, anche ad applicare la legge
– anche a volte in violazione dei propri principi costituzionali.
L’affare
Sovaldi permette così di scomporre un certo numero di miti in atto nel settore
farmaceutico – ad esempio i miti storici sui costi di produzione, sui costi di
ricerca e sviluppo farmaceutici (R&D) che spiegherebbero i prezzi alti o
addirittura il mito più recente che il prezzo del farmaco sia basato sul suo
valore terapeutico (“più è efficace, più è costoso”). La logica alla base del
pricing di Sovaldi non ha nulla a che fare con questi tre miti.
Questo libro
nasce da un’osservazione: il dibattito pubblico sulle droghe è difficile per
diversi motivi. In primo luogo per ragioni legate al corpus di conoscenze
richieste, perché oggettivamente si riferisce a materie molto tecniche,
relative alla scienza, al diritto (proprietà intellettuale, regolamentazione
dei farmaci, concorrenza, ecc.), all’economia, allo standard di bilancio, alla
regolamentazione del mercato, al sostegno all’innovazione, tassazione, ecc. Ma
la difficoltà tecnica intrinseca del soggetto è rafforzata dal linguaggio usato
da chi definisce i termini del “dibattito” sui farmaci o che ne vengono
definiti gli “esperti”. La maggior parte di loro usa un linguaggio così oscuro
per il profano che è lecito chiedersi se alla complessità della materia non si
aggiunga una complessificazione più o meno volontaria. Questa vera e propria “fabbrica
dell’ignoranza” appare in maniera esemplare in questa affermazione
utilizzando il complesso lessico specifico del dibattito sulle droghe in
Francia: “una volta che l’ANSM ha rilasciato un’AIC, l’HAS definisce da un lato
l’SMR, su cui il Il ministro della Salute si affiderà a stabilire le condizioni
di ammissibilità al rimborso da parte dell’assicurazione sanitaria, e d’altra
parte valuterà l’ASMR, che sarà poi preso in considerazione dal CEPS per
negoziare il prezzo con il produttore, pur essendo vincolato dalla normativa
europea garanzia di prezzo dell’accordo quadro con il LEEM per i farmaci con
ASMR da 1 a 3”. Questa frase ripete più o meno elementi che l’autore può aver
sentito un giorno quando i suoi interlocutori gli hanno detto che non aveva
posto nel dibattito; dietro la sua apparente complessità, descrive proprio
quello che in Francia viene chiamato il “circuito del farmaco”, che inizia con
il timbro apposto sul farmaco dalle autorità sanitarie e arriva fino alla sua
effettiva prescrizione al paziente nell’ambito del sistema di Sicurezza
sociale. Naturalmente è del tutto incomprensibile per il profano. Tuttavia, è
troppo spesso con questo linguaggio che vengono trattate questioni relative al
farmaco.
Non c’è
dunque da stupirsi se la natura tecnica del contenuto e la complessità della
forma fungono da barriera e talvolta anche da scoraggiare i parlamentari, la
cui prerogativa più importante è tuttavia votare il bilancio annuale della
malattia assicurativa. Infine, sono rimaste pochissime opzioni per il profano
che desidera interessarsi all’argomento e invitarsi al dibattito. Oltre ad
essere in numero limitato, queste opzioni sono minimaliste, nel senso che,
senza pregiudicare la legittimità e l’interesse di ciascuna di esse, il loro
angolo di approccio richiede immediatamente contro-argomentazioni utilizzando
questo linguaggio di esperti e tendendo a caricaturare le posizioni esprimono.
Una prima
opzione è considerare la medicina come un’illustrazione degli eccessi del
modello economico neoliberista globalizzato prevalente. Il tasso di utile netto
al netto delle imposte raggiunto dall’industria farmaceutica – singolarmente
atipico con una media del 25% quando un utile netto del 5 o 6% è considerato
un’ottima notizia in altri settori dell’industria – funge da pratica
rivelatrice denunciata come prevaricante : superprofitti alimentati da prezzi
esorbitanti e insostenibili per i bilanci sanitari nazionali, meccanismi di
ottimizzazione fiscale, privatizzazione dei risultati ottenuti dalle risorse
pubbliche destinate alla ricerca e sviluppo, ecc. Questa critica all’industria
farmaceutica fa parte di una sfida più generale alla mercificazione del mondo.
Ma questo approccio non consente di comprendere il funzionamento e la dinamica
dell’attuale ecosistema specifico proprio al farmaco come rivelato da Sovaldi.
C’è una
seconda opzione per invitarsi al dibattito: quando se stessi o una persona cara
sperimenta una grave reazione avversa al farmaco e questo effetto è causato da
un problema di sicurezza che avrebbe potuto essere evitato. Queste carenze nel
controllo dei farmaci e nelle reti di sicurezza sono alla base degli scandali
sanitari. I motivi sono molteplici: mescolanza di generi, come nel caso del
sangue contaminato negli anni ’80, quando l’ex Centro Nazionale Trasfusionale
di Sangue favorì la propria attività di vendita di sacche di sangue raccolte
nell’ambito della sua missione di organizzatore di trasfusioni di sangue, anche
se sapeva che i suoi prodotti erano stati infettati dal virus dell’AIDS;
menzogna degli industriali sul profilo di sicurezza del loro prodotto, come con
la vicenda Mediator dove l’industriale Servier ha commercializzato dal 1976 al
2009 un farmaco contro il diabete presentandolo come un soppressore
dell’appetito e di cui conosceva i rischi per la salute del paziente; sotto il
mantello dei maggiori effetti indesiderati di un farmaco prescritto in massa,
come per l’affare Vioxx dove l’industriale Merckx ha soffocato gli allarmi
sempre più numerosi sulle complicazioni e sui decessi legati al suo antinfiammatorio
– Vioxx, era al tempo un record di vendite per un farmaco con un fatturato
annuo di 2,5 miliardi di dollari per sei anni fino al suo ritiro nel 2004, con
40.000 morti negli Stati Uniti. Queste carenze non sono di esclusiva
responsabilità dei produttori e coinvolgono le agenzie pubbliche di controllo
sulla sicurezza dei farmaci, come è stato particolarmente evidenziato dalla
vicenda Mediator. La legittima commozione delle vittime e dei loro familiari
apre di volta in volta un sano dibattito, che permette di comprendere i
fallimenti del circuito dei farmaci per migliorarlo; ma nemmeno questa opzione
è sufficiente per evidenziare quanto rivelato dal Sovaldi.
In entrambi
i casi è quindi difficile cogliere appieno ciò che sta accadendo nel mercato
mondiale de farmaci, ed in particolare nei paesi storicamente considerati
ricchi (Nord America, Europa, Giappone, Australia). , che rappresentano l’80%
di tale mercato e che fino ad allora pensavano di essere protetti dal
razionamento. Il caso Sovaldi svela i limiti di un sistema rotto: oggi un Paese
ricco che non può pagare i farmaci di cui ha bisogno è una realtà, non un sogno
irrealizzabile. Occorre quindi creare le condizioni per un dibattito illuminato
sui medicinali, problema che rimanda a questioni essenziali per il fondamento
della vita democratica, come il consenso alla tassazione, l’allocazione delle
risorse pubbliche o il rispetto degli obblighi costituzionali sul diritto alla
salute.
Basato su
Sovaldi, questo libro si propone di contribuire a rendere il complesso tema
della medicina accessibile a quante più persone possibile per alimentare questo
dibattito pubblico. Dal 2014 al 2017, periodo di effettivo razionamento dei
farmaci contro l’epatite C, la Francia non ha potuto curare una popolazione la
cui dimensione era espressa in centinaia di migliaia di persone (i 200.000
pazienti con epatite C) con trattamenti il cui prezzo di vendita era espresso
in decine di migliaia di euro (40.000 euro per Sovaldi). Con lo stesso sistema
senza fiato, ci si può chiedere come il nostro Paese riuscirà a curare una
popolazione la cui dimensione è espressa in milioni di persone, come è il caso
del cancro, con nuove cure in oncologia il cui prezzo di vendita è oggi
espresso in centinaia di migliaia di euro. La posta in gioco di un simile
dibattito non potrebbe essere più chiara.
Il circuito
dei farmaci in Francia si svolge in tre fasi successive: autorizzazione
all’immissione in commercio (AMM), valutazione medica e determinazione del
prezzo. Prima viene l’agenzia del farmaco, ora denominata National Drug Safety
Agency (ANSM), che rilascia le autorizzazioni all’immissione in commercio dopo
aver verificato la sicurezza della molecola confrontando il beneficio fornito
dal farmaco con i potenziali rischi generati dalla sua somministrazione al
corpo umano, tali come effetti negativi (questo è chiamato rapporto
rischi/benefici, che deve puntare a favore dei benefici). Infatti, dalla
creazione di un’Agenzia Europea dei Medicinali nel 1995, la procedura di AIC è
stata sempre più centralizzata a livello di Unione Europea. Successivamente
l’Alta Autorità sanitaria (HAS) effettua la valutazione medica, che consiste
nel porre due domande: quali sono le prestazioni cliniche del farmaco rispetto
alla sua indicazione? E se c’è, il farmaco migliora la risposta terapeutica
rispetto a quella esistente? La risposta alla prima domanda è chiamata servizio
medico prestato (SMR), valutato da 1 a 5 in base all’intensità decrescente
della sua prestazione, il punteggio 5 indica che questo servizio è inesistente.
I medicinali privi di SMR (nota 5) non possono essere rimborsati
dall’assicurazione sanitaria. Per gli altri viene posta la seconda domanda, la
cui risposta si chiama Improvement of actual benefit (ASMR). L’HAS assegna un
punteggio da 1 (maggiore miglioramento rispetto ai farmaci esistenti) a 5
(nessun miglioramento). I miglioramenti più significativi, valutati da 1 a 3,
definiscono generalmente quelli che vengono chiamati farmaci innovativi, come
nel caso di Sovaldi. Questo scenario è raro e da diversi anni la stragrande
maggioranza dei farmaci rimborsabili valutati dall’HAS ha ASMR di 5 e 4, come
dimostrano i dati del 2018: il 62% dei farmaci non prevede alcun progresso
terapeutico e il 24% solo un minore miglioramento. Come per l’esame dei
fascicoli di domanda di AIC, la decisione degli esperti si basa sui dati
prodotti dai produttori. Infine, il circuito si conclude con la fissazione del
prezzo, decisa da un ente governativo, il Comitato economico per i prodotti
sanitari (CEPS), a seguito di una trattativa da esso svolta per conto dello
Stato e della Previdenza sociale con gli industriali. La procedura di
tariffazione è svincolata da quella della valutazione clinica. L’unico nesso
giuridico che collega le due procedure è l’ASMR, il codice di previdenza
sociale che precisa che “la determinazione di tale prezzo tiene principalmente
conto del miglioramento della prestazione sanitaria fornita dal farmaco”. Sulla
carta le cose sembrano abbastanza chiare, ma la realtà è molto più complessa (i
rapporti di forza nella trattativa giocano a favore dei produttori che si
affidano al monopolio conferito dai loro brevetti) e molto poco trasparente (le
trattative sono segrete). Inoltre, lo Stato ha deciso di organizzare le sue
trattative con i produttori firmando un accordo quadro con il sindacato che
rappresenta l’industria farmaceutica in Francia (LEEM), accordo che, in
pratica, porta a una restrizione dei margini di negoziazione per alcuni farmaci
, come i farmaci innovativi il cui prezzo deve essere allineato a quello dei
suoi vicini europei, cosa che non è richiesta dalla legge francese o dai
regolamenti europei.
NOTE
[1] Voir O. Maguet, La Santé hors de prix: l’affaire Sovaldi,
Paris, Raisons d’agir, 2020.
[2] F. Étilé, Obésité. Santé publique et populisme alimentaire,
Paris, Éditions Rue d’Ulm, 2013, p.9.
[3] Del Partito Socialista francese, figlia di Alain Touraine
Note del
traduttore
Il
cosiddetto “registro della trasparenza” istituito dalla Commissione europea per
la registrazione ufficiale delle lobby che operano sulle Commissioni e sul
Parlamento europeo, è stato aggiornato nel 2021 e le regole di registrazione
sono ulteriormente cambiate. Nel 2022 risultano iscritte a tale registro ben
13.528 lobby, 18% in più di 5 anni fa. Le più numerose sono le Ong (1.770), le
più generose le aziende chimiche. Ma ci sono anche lobby che non si sono registrate.
Sulle lobby
e il lobbismo presso l’Unione Europea (commissioni e Parlamento) vedi anche
Sylvan Laurens Les Courtiers du capitalisme. Milieux d’affaires et bureaucrates
à Bruxelles,Agone, 2015 (in inglese: S. Laurens, Bureaucrats and Business
Lobbyists in Brussels. Capitalism’s Brokers:, Routledge, 2018.
A proposito
dell’affaire Sovaldi si veda che cosa s’è detto in Italia a proposito del costo del farmaco x l’epatite C. Inoltre, medici senza frontiere, in
occasione del vertice mondiale sull’epatite in corso in Brasile, a San Paolo,
dal 1° al 3 novembre, ha chiuso accordi per acquistare il generico dei primi
farmaci anti Hcv (sofosbuvir e daclatasvir) al prezzo di 120 dollari per
l’intero ciclo di terapia di 12 settimane. Msf pagherà circa (al cambio
corrente) 103 euro per ottenere farmaci che nei Paesi avanzati (Italia
inclusa) costano ai servizi sanitari migliaia di euro, anche se il quadro sta cambiando rispetto agli esordi di qualche anno fa delle nuove
terapie anti Hcv.
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