lunedì 5 settembre 2022

Le lobby o la fabbrica dell’impotenza – Serge Quadruppani

 

Pubblichiamo la traduzione in italiano dello speciale curato da Serge Quadruppani su lundimatin#348, uscito il 23 agosto 2022. Quadruppani presenta le introduzioni di due testi importanti dedicati al tema dei profitti delle lobby che interagiscono con chi è al potere, si sostituiscono agli stati e gestiscono affari speculando su problemi drammatici e urgenti come le pandemie, le emergenze sanitarie, le malattie croniche, oppure modificando e sfruttando la produzione delle risorse alimentari con effetti catastrofici per la salute pubblica (si veda l’agroindustria). I libri proposti sono due, il secondo dei quali, come spiega Quadruppani, è “passato troppo inosservato ai tempi della sua pubblicazione, nel 2020”. Abbiamo dunque un estratto tratto dal volume di Daniel Benamouzig e Joan Cortinas Muñoz, Des Lobbys au menu. Les entreprises agro-alimentaires contre la santé publique, Raison d’Agir, 2022; a seguire, Olivier Maguet, La santé hors de prix: l’affaire Sovaldi, Raison d’Agir, 2020. Traduzione di Salvatore Palidda

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Basta una conversazione con un vicino di quartiere o un tuffo nella poltiglia dei social network per convincerti di ciò che tutta la scienza sociologica e investigativa non potrà che confermare: mai la consapevolezza della catastrofe in atto è stata così onnipresente e così intensa, e mai è stata accompagnata da un così profondo sentimento di impotenza. Tutti sanno che il Covid-19 è stata solo la prima e non certo la peggiore delle nuove pandemie generate dall’industrializzazione della biosfera, che il cambiamento climatico è appena iniziato e che avrà sempre una svolta più catastrofica, che le guerre, comprese quelli nucleari, sono davanti a noi. Tutti sanno che, di fronte a ciò, la stessa necessità di occuparsi dei problemi più urgenti, cioè di curare e prendersi cura dei più deboli, diventerà sempre più difficile. Tutti lo sanno e tutti pensano che non si possa fare a meno. Probabilmente mai nella storia l’umanità è stata così consapevole di quale fosse la causa principale delle sue disgrazie e di quelle della Terra, e mai è stata così impotente a fermarle [lundimatin]

 

Se c’è un piccolo buco di topo attraverso il quale sfuggire allo scivolo mortale universale, ci arriveremo solo iniziando a capire cosa ha creato questa impotenza e cosa ancora la fabbrica. Identificare, nelle istituzioni e nell’economia, le pratiche e i circuiti che portano a espropriare la stragrande maggioranza della popolazione di qualsiasi potere per intervenire nel disastro in corso, richiede una riflessione sul ruolo delle lobby. I cospiratori, dall’abate Barruel a Louis Fouché e ai suoi compagni di viaggio di estrema sinistra, giocano instancabilmente lo stesso brutto scherzo che consiste nel sostituire la lotta tra sfruttatori e sfruttati, che è il motore della storia, con una lotta contro le lobby. Ma non capire attraverso quali attori precisi, quali pratiche e quali reti si incarna la mortale dinamica capitalista significa condannarsi a generalità vuote.

Inauguriamo qui una serie di buone schede di lettura che documentano l’azione delle lobby più dannose e potenti, quelle che interagiscono costantemente con chi è al potere, e che determinano le loro azioni tanto per motivi di interessi individuali e di classe quanto per una fondamentale prossimità. L’incredibile arroganza di queste persone non è solo arroganza di classe, è anche la traduzione di questa convinzione che i loro media, i loro specialisti e le loro scuole superiori hanno instillato in loro: il vero sono loro. Il merito delle opere che qui verranno presentate è quello di mostrare il vero volto della loro realtà.

Di seguito le introduzioni a due libri. Il secondo è passato troppo inosservato al momento della sua pubblicazione nel 2020. L’affaire Sovaldi: La Santé Hors de Prix, di Olivier Maguet, espone come un farmaco efficace contro l’epatite C sia stato deliberatamente venduto a prezzi elevati, importi esorbitanti estranei ai costi della produzione e come lo Stato francese si è piegato ai diktat del laboratorio di produzione, pur esistendo la possibilità di derogare ai sacrosanti diritti del titolare del brevetto. Fine analisi di come è stato inventato Sovaldi, del ruolo dei ricercatori che sono fin dall’inizio anche imprenditori la cui unica motivazione manifesta è il profitto, questo libro risponde alla domanda: come hanno fatto i governi dei paesi ricchi, in un movimento unanime, ad accettare una prezzo anormalmente alto che gravava pesantemente sui loro bilanci nazionali, quando tutti avevano la stessa possibilità della Francia, nel quadro della legge sui brevetti esistente, di garantire l’accesso a questo medicinale a un costo inferiore? La domanda potrebbe essere formulata in modo più schietto, per comprenderne meglio la portata: come hanno fatto i paesi ricchi a scoprire di condividere ora la triste sorte dei paesi poveri di fronte alla barriera finanziaria nell’accesso alle cure?

E la risposta è politica. Così come l’attività dell’agrobusiness è politica, come descritto in Des lobbies au menu, di Daniel Benamouzig e Joan Cortinas Muñoz. Esplorando le varie categorie di attività politica delle organizzazioni del settore, gli autori possono così esporre come l’industria modella la decisione politica:

Concretamente, le risorse utilizzate per creare o intrattenere numerose reti sono per l’essenziale delle incitazioni che mirano ad attirare scienziati, esperti o decisori: finanziamento della ricerca, remunerazione individuale, spazi sociali, doni vari, accesso a spazi sociali esclusivi. Se questi incentivi non bastano, l’industria mobilita tattiche di pressione – ad hoc, su un parlamentare, con l’argomento della perdita di posti di lavoro in un collegio elettorale, o su uno scienziato attraverso un’azione legale o la semplice minaccia di assumerne uno. Tali incentivi e minacce hanno effetti a lungo termine non sempre visibili, ma che spesso si rivelano strutturanti per la loro natura dissuasiva e implicita. Così, gradualmente, l’industria modella la struttura decisionale di scienziati, esperti, decisori”.

Non siamo obbligati a condividere le posizioni di questi autori che sembrano credere un po’ troppo nella possibilità di uno Stato che sarebbe finalmente quello di tutto il popolo, per cogliere l’importanza del loro lavoro. In realtà, quello che tutti i materiali che ci hanno messo a disposizione sembrano dimostrare definitivamente è che una politica distaccata dalle lobby sarebbe necessariamente una politica distaccata da ogni pratica statale.

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Daniel Benamouzig et Joan Cortinas Muñoz, Des Lobbys au menu.

Les entreprises agro-alimentaires contre la santé publique, Raison d’Agir, 2022

 

Premessa degli editori

Il lobbismo è oggetto, almeno in Francia, di riprovazione generale: questa pratica dei potenti agenti economici consiste nell’usare i mezzi più diversi – e spesso i più perversi – per esercitare un’influenza sui decisori politici al fine di stabilire un quadro giuridico favorevole ai propri interessi, suscita la massima sfiducia, ma anche un vero senso di impotenza, tanto la loro influenza sembra ineluttabile e difficile da contrastare.

L’ossimoro della corruzione legale sembra più adatto a designare le attività dei gruppi di pressione. Per quanto sorprendente possa sembrare, il lobbying è davvero una pratica ufficialmente riconosciuta e regolamentata in molti paesi. Se da tempo ha acquisito un’esistenza giuridica nel mondo anglosassone e a livello europeo, nel 2009 è stata regolamentata, e quindi legalizzata. I gruppi di interesse sono soggetti a un “Codice di condotta” e possono registrarsi ufficialmente per essere presenti all’Assemblea nazionale o al Senato.

Se questo riconoscimento ufficiale ha almeno il vantaggio di essere soggetto a controllo, questo libro di Benamouzig e Cortinas mostra che invece di fornire informazioni ai decisori pubblici, le lobby rafforzano il potere di cui le imprese dispongono per imporre i loro interessi di fronte a dei consumatori che non dispongono mai delle risorse per difendere – o più esattamente costruire – i loro propri interessi. È inoltre abbastanza sorprendente vedere il partito dei lobbisti erigere il ruolo dell’UFC-Que Choisir come modello di progressismo, mentre questa associazione (in Francia) costituisce l’incarnazione del tutto eccezionale di un lobbismo dei deboli che talvolta riesce a pesare sui forti.

Il caso dell’agroindustria studiato in Des lobbies au menu è importante sotto più di un aspetto, poiché le questioni alimentari sono parassitate dai drammatici effetti delle lobby settoriali sulla salute pubblica. Ce ne sarebbero altri, ovviamente, e gli esorbitanti costi del lobbying da parte dell’industria farmaceutica ne sono un esempio non meno eclatante, anche se quest’ultima è soggetta a controlli più severi – si pensi in particolare a casi altamente lucrativi, di cui un caso scandaloso è presentato nel lavoro di Olivier Maguet sui farmaci usati per curare l’epatite C[1].

Le trasformazioni del settore agroindustriale e delle sue tecniche di produzione hanno consentito di immettere sul mercato alimenti sicuramente poco costosi, ma “ricchi di grassi, zuccheri e sali aggiunti, portando soddisfazioni facili[2]”. E il prezzo non è stato, tutt’altro, il principale strumento di propaganda con cui il marketing alimentare ha favorito un modello industriale che porta al consumo di prodotti alimentari non solo in quantità eccessiva, ma anche di scarsa qualità nutrizionale. I promotori del sostegno pubblico all’industria alimentare probabilmente non riconosceranno mai che la loro azione porta a una distorsione dei gusti attraverso l’offerta di prodotti che creano dipendenza, ed è proprio questa l’idea di un’informazione trasparente accessibile a tutti, che è legalmente corrotto dalle lobby.

La disuguaglianza a fronte di informazioni utili, ma volutamente nascoste per avere un certo controllo sugli effetti nutrizionali dei modelli di consumo imposti dall’agroindustria, in realtà aumenta le disuguaglianze sociali a scapito delle categorie più svantaggiate in termini di potere di acquisto ma anche in termini di informazioni e capacità di padroneggiare le informazioni. Mentre il cibo è un problema centrale di salute pubblica, la presa dell’agrobusiness sulle politiche di salute pubblica è tale che, in alcuni casi, tendono a sostituirsi allo Stato, ostacolando l’attuazione di interventi favorevoli alla salute pubblica.

Des Lobbys au menu mostra quanta attenzione ai dettagli l’industria alimentare deve ottenere per raggiungere questo obiettivo: non contenta di influenzare gli standard di produzione, fa tutto il possibile per controllare le condizioni di produzione e la diffusione delle informazioni. Le lobby agroalimentari sono attive a tutti i livelli: etichettatura nutrizionale, limitazione della regolazione dei meccanismi di mercato, freno alle politiche agroindustriali a favore della qualità dei prodotti. Inoltre, mentre i problemi di salute pubblica resistono senza dubbio alla volontà di manipolazione dei lobbisti più di altri, trovano una leva infinitamente espandibile nella promozione del “piacere del gusto” e della “gastronomia francese” (o di altri paesi) che, almeno a prima vista, non ha responsabili da un punto di vista oggettivo e inevitabile.

Per capire questo doppio gioco che rende sfuggente l’azione dei lobbisti agroalimentari, non c’è bisogno di cercare “rivelazioni” (anche se, in realtà, gli scandali non mancano).

Come mostrano Benamouzig e Cortinas, è necessario tornare alle situazioni ordinarie e, sulla base di una rigorosa indagine sociologica, proporre nuovi strumenti di conoscenza per l’azione politica. I meccanismi con cui l’agrobusiness incide sulle politiche nutrizionali e sui processi decisionali pubblici non si trovano solo nelle anticamere del potere e nei corridoi dei parlamenti. Si stanno sviluppando a tutti i livelli della “filiera alimentare”: nella produzione di saperi e categorie di pensiero nel campo della salute pubblica, attraverso i rapporti instaurati dal settore agroindustriale con ricercatori al servizio di compiacenti competenze; nella produzione di argomentazioni giuridiche volte a limitare le misure regolamentari nel campo dell’etichettatura nutrizionale; o nell’attacco a personalità ritenute sconvenienti per gli interessi dell’industria.

Tra tutti i mezzi possibili per combattere le lobby agroindustriali, questo libro mostra l’importanza di regolamentare i mercati alimentari, dove il ruolo dello Stato non dovrebbe più limitarsi a garantire l’approvvigionamento ma a tutelare fondamentalmente la salute pubblica. Ripristinare l’autorità dello Stato, in termini di conoscenza e produzione di informazioni, promozione di standard alimentari e regolamenti ufficiali con capacità di controllo. Non si tratta di aspettarsi che gli industriali forniscano informazioni obiettive e neutre a chi governa e a chi consuma, perché sarebbero nella posizione migliore per farlo, proprio per la loro posizione di produttori. In realtà, gli informatori qui sono anche formatori, che modellano i “gusti” dei consumatori secondo i loro interessi di produttori, a scapito della salute pubblica. I lobbisti delle aziende più potenti, con il consenso dei governi accecati dall’idea di un consumatore perfettamente in controllo delle proprie scelte, si arrogano il diritto di espropriare il consumatore della sua capacità di scegliere, vale a dire di avere accesso al controllo collettivo e informato delle condizioni alle quali può scegliere con cognizione di causa.

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Olivier Maguet, La santé hors de prix: l’affaire Sovaldi, Raison d’Agir, 2020

 

Introduzione. L’affaire Sovaldi

Il 20 novembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica francese un decreto firmato due giorni prima da Marisol Touraine[3], allora Ministro della Salute e degli Affari Sociali. Questo testo normativo, redatto con la terminologia consueta per questo tipo di documenti, è “relativo alle condizioni per il rimborso delle specialità farmaceutiche con autorizzazione all’immissione in commercio”. Dietro questo linguaggio specifico del Codice della Previdenza Sociale, il decreto annuncia che un farmaco chiamato Sovaldi può essere prescritto in ospedale e che sarà coperto al 100% dalla collettività.

Sovaldi cura, nella quasi totalità dei casi, le persone infette da un virus che distrugge il loro fegato: l’epatite C. Finora questa è una buona notizia. Si consiglia comunque di leggere gli allegati a questo decreto, che definiscono con precisione le condizioni di copertura: questo farmaco può essere prescritto solo ai malati più gravi. Applicando i criteri clinici specificati in questi allegati, ciò significa che circa la metà delle 200.000 persone infette dal virus dell’epatite C in Francia non potrà accedervi. Dietro il linguaggio tecnico-amministrativo specifico dei testi normativi, il decreto ministeriale del novembre 2014 testimonia una decisione politica eccezionale e senza precedenti: è la prima volta dalla creazione della Previdenza Sociale nel 1945 che un farmaco viene razionato ufficialmente e amministrativamente dalle autorità pubbliche.

Perché razionare un farmaco che offre ai pazienti la speranza di riprendersi da un’infezione cronica potenzialmente fatale? La risposta è semplice: il suo prezzo. Perché il giorno prima della firma del decreto di Marisol Touraine è stato convalidato un altro testo amministrativo, questa volta da parte di un organismo interministeriale totalmente sconosciuto al grande pubblico ma che svolge un ruolo di primo piano nella determinazione del prezzo del farmaco in Francia: il Comitato economico per i prodotti sanitari (CEPS). Con decisione del 17 novembre 2014, il CEPS informa che il prezzo di Sovaldi sarà di 41.000 euro per una cura standard di dodici settimane. Tale tariffa, decisa dopo una lunga trattativa con il titolare del brevetto industriale, sarà applicata agli ospedali e addebitata al bilancio della Previdenza Sociale. I calcoli sono veloci: con 200mila pazienti che necessitano di queste cure, la bolletta della Previdenza Sociale sarebbe di 8 miliardi di euro. Anche in un paese che è considerato uno dei più ricchi del mondo e che ha la reputazione di avere uno dei migliori sistemi di protezione sociale, questa spesa è semplicemente insopportabile per il ramo della previdenza sociale. Per comprenderne appieno l’eccezionalità, questa somma va confrontata con l’importo totale pagato dall’assicurazione sanitaria quell’anno a titolo di medicinali per tutti gli assicurati della previdenza sociale, tutte le patologie messe insieme, siano esse preventive o curative: circa 30 miliardi di euro.

Da un punto di vista rigoroso di bilancio e nell’ottica del pareggio dei conti sociali, la decisione ministeriale sembra sensata e alimenta la sensazione che non ci fosse altra scelta. Questo sentimento diffuso è tanto più significativo in quanto il saldo di bilancio dei conti sociali e la riduzione del famoso “buco nella sicurezza sociale” (Sanità pubblica) sono diventati la norma dei leader politici di tutte le convinzioni per vent’anni – e di conseguenza dell’infrastruttura tecnico-amministrativa preposta alla gestione della salute e della sicurezza sociale. Inoltre, questa norma imperativa di controllo della spesa sanitaria è costantemente ritrasmessa e diffusa da molti media e opinion leader, il più delle volte senza analisi critiche, il che contribuisce a forgiare l’idea che non c’è alternativa al risparmio, a rischio di “uccisione della sicurezza sociale”.

Tuttavia, nel novembre 2014, il governo aveva una scelta. Più precisamente, gli si offrivano due possibilità: o razionare Sovaldi a causa di un prezzo esorbitante, oppure far scattare un provvedimento di legge previsto dalla legge sui brevetti e volto proprio a rispondere alla situazione in cui un farmaco viene venduto troppo costoso. Questa seconda opzione non è mai stata considerata. Peggio: è stato violentemente denigrato e rifiutato quando associazioni, come Médecins du Monde, hanno ricordato alle autorità pubbliche che non solo avevano a disposizione questo strumento ma soprattutto che erano le uniche a poterlo utilizzare.

Di cosa si tratta? Si tratta infatti di un principio di precauzione ante litteram, introdotto nel diritto francese nel 1959 quando la nascente Quinta Repubblica decise di estendere il regime dei brevetti ai medicinali, vale a dire che l’inventore di un farmaco ha ora il diritto di depositare una domanda di brevetto, cosa che prima non avveniva. Questa decisione pose fine a un lungo dibattito politico sulla brevettabilità dei medicinali, iniziato durante la Rivoluzione francese quando l’Assemblea Costituente adottò la legge del gennaio 1791 sui brevetti per tutte le invenzioni, compresi i prodotti farmaceutici. Erano poi emerse molto rapidamente voci per chiedere uno status speciale per il farmaco, che aveva portato il legislatore, nel luglio 1844, a decidere di escludere il farmaco dal sistema dei brevetti. In un movimento inverso, durante i cento anni che seguirono, altre voci avevano rivendicato la protezione del brevetto, che portò questa volta alla decisione del governo del 1959 in base alla quale la Francia integrava, fino a nuovo ordine, le invenzioni farmaceutiche nel sistema dei brevetti. Lo stesso movimento di normalizzazione del brevetto farmaceutico è stato osservato anche in tutti i paesi del Nord, creando così un potente standard internazionale, uno standard che si applicherà al resto del mondo quando, anni dopo, verrà creata l’Organizzazione mondiale del commercio. Tuttavia, preoccupata per uno Stato che tutela l’interesse pubblico e la salute della sua popolazione, la Francia di de Gaulle aveva poi previsto esplicitamente un meccanismo di deroga a questo principio del brevetto del farmaco. Tale deroga potrebbe essere attivata dal governo nel caso in cui corresse il rischio di dover razionare l’accesso della popolazione a un farmaco a causa del suo “prezzo anormalmente elevato”. Nelle esatte parole, l’espressione compare come tale nell’ordinanza del 4 febbraio 1959 che istituisce il “brevetto farmaceutico speciale” e che al tempo stesso crea questo meccanismo di deroga.

Le disposizioni di questa ordinanza trovano pieno riscontro nella legge del 2 gennaio 1968 sui brevetti per invenzione, legge che fissa ancora in Francia le basi vigenti per definire e inquadrare il brevetto in generale. Il meccanismo di eccezione dei brevetti sui farmaci è ora incluso nell’articolo L-613-16 del Codice della proprietà intellettuale, sotto il nome di “licenza d’ufficio”. Questo articolo autorizza il governo francese a revocare temporaneamente il monopolio di commercializzazione associato a un brevetto su un medicinale se questo medicinale è “messo a disposizione del pubblico […] a prezzi anormalmente elevati, o se il brevetto è sfruttato in condizioni contrarie nell’interesse di salute pubblica”.

In questa situazione, il governo può quindi offrire a qualsiasi produttore che produca una versione generica di questo farmaco per rifornire il mercato francese, cosa che l’esclusività associata al brevetto sul farmaco originatore (il farmaco “di riferimento”) normalmente vieta. Il governo rilascia quindi una licenza di esercizio al concorrente e, poiché questa licenza non è concessa dal titolare del brevetto, viene definita “ex officio”. Il suo interesse: consentire al Paese di ottenere un farmaco della stessa qualità e della stessa efficacia terapeutica di quelli del farmaco originario protetto dal brevetto, ma a un costo inferiore. Ciò consente di rimuovere, legalmente, la barriera finanziaria che ha determinato il razionamento. Non si tratta in alcun modo di espropriazione o nazionalizzazione, in quanto il produttore titolare del brevetto è compensato da royalties calcolate sull’importo delle vendite della versione generica del concorrente, per tutto il periodo in cui la licenza si applica automaticamente.

Nel novembre 2014, con Sovaldi, la Francia si trova ad affrontare una delle situazioni che autorizzano e legittimano il governo a far scattare una licenza d’ufficio. La bolletta Sovaldi sarebbe stata ridotta a 20 milioni di euro per curare tutti i 200mila pazienti, visto il prezzo di vendita di cento euro per la versione generica che allora esisteva sui mercati. Si ricorda che, per questo tipo di farmaci, le spese sono interamente a carico delle risorse pubbliche fornite dai contributi previdenziali e fiscali.

Lo stesso anno in cui poté fare questa scelta della licenza d’ufficio, il governo adottò il piano per il risparmio della spesa pubblica. In una comunicazione del 16 aprile 2014, intitolata “Verità, efficienza, fiducia”, il Presidente del Consiglio Jean-Marc Ayrault presenta le misure adottate per tradurre la richiesta che il Presidente della Repubblica – allora François Hollande – aveva avanzato il 14 gennaio 2014 : ridurre la spesa pubblica di 50 miliardi di euro entro il 2015-2017. Il pacchetto di misure proposto dal governo si rivolge a quattro ambiti: Stato, enti locali, assicurazione sanitaria e protezione sociale. La diminuzione della spesa sanitaria dovrebbe quindi contribuire da sola per un importo di 10 miliardi di euro, parte dei quali deve basarsi esplicitamente sul risparmio nella spesa per i farmaci. Per i circa due miliardi, il risparmio richiesto alla Previdenza Sociale è equivalente a quello che si sarebbe potuto ottenere se il governo avesse optato per la concessione automatica per ridurre l’esorbitante bolletta di Sovaldi.

La domanda è semplice: come siamo arrivati qui? E questa domanda non riguarda solo la Francia. Quasi tutti i paesi considerati ricchi, infatti, si sono trovati di fronte a questa impasse di bilancio con Sovaldi. Prendi l’ambito geografico dei paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), generalmente considerata il club che riunisce le economie più fiorenti del pianeta. Nel gennaio 2017, l’OCSE ha pubblicato un rapporto dedicato alle sfide dell’accesso all’innovazione terapeutica, in cui rilevava che “i nuovi trattamenti contro l’epatite C, che sono molto efficaci, sono inaccessibili per molti potenziali beneficiari in quasi tutti i paesi dell’OCSE a causa della loro elevato impatto di bilancio”. L’OCSE conferma così le segnalazioni lanciate tre anni fa da associazioni e operatori sanitari; ma è vero che, a differenza di quest’ultima, l’organizzazione internazionale non usa il termine “razionamento”, termine poi ferocemente rifiutato dal ministro della Salute francese. Così, all’ottuso rifiuto di utilizzare la licenza d’ufficio prevista dalla legge sui brevetti, che costituisce una negazione dell’“Efficacia”, si aggiunge anche la negazione della “Verità”. Diventa quindi difficile non dubitare della “Fiducia” proclamata dal governo nel suo piano di risparmio…

In che modo i governi dei paesi ricchi, all’unanimità, hanno deciso di accettare un prezzo anormalmente alto che gravava pesantemente sui loro bilanci nazionali, quando avevano tutti la stessa possibilità della Francia, nell’ambito dei brevetti esistenti, di garantire l’accesso a questo medicina a un costo inferiore? La domanda potrebbe essere formulata in modo più schietto, per comprenderne meglio la portata: come hanno fatto i paesi ricchi a scoprire di condividere ora la triste sorte dei paesi poveri di fronte alla barriera finanziaria nell’accesso alle cure? Potremmo anche andare oltre nel formulare la domanda: perché i paesi ricchi, di fronte alla stessa barriera finanziaria dei paesi poveri, si sono tirati indietro di fronte a soluzioni legali che questi stessi paesi poveri non avevano esitato a utilizzare per proteggere la propria gente?

Queste sono le domande a cui risponde questo libro, basato sulla storia di Sovaldi. La genesi di questo farmaco, la strategia del produttore per definirne il prezzo e commercializzarlo a livello mondiale, le decisioni degli Stati che regolano il mercato del farmaco – che ne sono anche i pagatori – in relazione al prezzo richiesto: tanti aspetti che rivelano sfaccettature più ampie di il sistema in cui i farmaci sono attualmente sviluppati e commercializzati. È in questo senso che la vicenda di Sovaldi, farmaco specifico per una singola situazione clinica, diventa un affare pubblico di portata generale.

La prima parte del libro torna ai fatti: la storia di Sovaldi è tanto più interessante perché basata su fonti di prima mano. Queste fonti permettono di decifrare tutti gli aspetti della traiettoria di questo farmaco, dalla sua scoperta in un laboratorio di ricerca di un’università pubblica in Inghilterra al record mondiale di vendite mai ottenuto da un’azienda farmaceutica privata, passando per l’acquisizione di un inizio -up che aveva depositato un brevetto difettoso. Fino ad allora, le informazioni obiettive sul farmaco erano complicate da raccogliere e argomentazioni autorevoli, inaffidabili, prevalevano sull’autorevolezza dell’argomento – non solo tra i produttori ma anche, bisogna ammetterlo, a volte nelle associazioni. Molto spesso era parola contro parola, con evidentemente un’asimmetria nel peso delle rispettive parole. Diverso è il caso di Sovaldi: un gran numero di documenti redatti da produttori e banche di investimento, solitamente protetti dal segreto d’affari o molto difficili da ottenere, sono stati raccolti e riuniti grazie all’attività investigativa sul prezzo di Sovaldi condotta per diciotto mesi dal Commissione Finanze del Senato degli Stati Uniti. Il rapporto investigativo pubblicato nel dicembre 2015 ha pubblicato migliaia di pagine di documenti interni.

La seconda parte del libro analizza la rottura portata alla luce dalla storia di questo farmaco: rivela, in senso stretto, il “caso Sovaldi”, nel senso che individua come l’attuale sistema di sviluppo e commercializzazione di nuovi farmaci sia diventato un pericolo per la salute delle popolazioni, perché porta in sé i semi di un razionamento istituzionalizzato, anche una medicina a doppia velocità. Si individuano questi germi: conseguenze di scelte industriali dettate dalla finanziarizzazione del settore farmaceutico; abuso dei principi della proprietà intellettuale da parte delle aziende farmaceutiche grazie al lassismo degli Stati preposti all’applicazione delle leggi sui brevetti da loro stessi istituiti; l’attuale regolamentazione del mercato dei farmaci da parte degli Stati non è idonea anche se la solvibilità è assicurata da risorse pubbliche; rinuncia degli Stati a far valere i propri diritti, anche ad applicare la legge – anche a volte in violazione dei propri principi costituzionali.

L’affare Sovaldi permette così di scomporre un certo numero di miti in atto nel settore farmaceutico – ad esempio i miti storici sui costi di produzione, sui costi di ricerca e sviluppo farmaceutici (R&D) che spiegherebbero i prezzi alti o addirittura il mito più recente che il prezzo del farmaco sia basato sul suo valore terapeutico (“più è efficace, più è costoso”). La logica alla base del pricing di Sovaldi non ha nulla a che fare con questi tre miti.

Questo libro nasce da un’osservazione: il dibattito pubblico sulle droghe è difficile per diversi motivi. In primo luogo per ragioni legate al corpus di conoscenze richieste, perché oggettivamente si riferisce a materie molto tecniche, relative alla scienza, al diritto (proprietà intellettuale, regolamentazione dei farmaci, concorrenza, ecc.), all’economia, allo standard di bilancio, alla regolamentazione del mercato, al sostegno all’innovazione, tassazione, ecc. Ma la difficoltà tecnica intrinseca del soggetto è rafforzata dal linguaggio usato da chi definisce i termini del “dibattito” sui farmaci o che ne vengono definiti gli “esperti”. La maggior parte di loro usa un linguaggio così oscuro per il profano che è lecito chiedersi se alla complessità della materia non si aggiunga una complessificazione più o meno volontaria. Questa vera e propria “fabbrica dell’ignoranza” appare in maniera esemplare in questa affermazione utilizzando il complesso lessico specifico del dibattito sulle droghe in Francia: “una volta che l’ANSM ha rilasciato un’AIC, l’HAS definisce da un lato l’SMR, su cui il Il ministro della Salute si affiderà a stabilire le condizioni di ammissibilità al rimborso da parte dell’assicurazione sanitaria, e d’altra parte valuterà l’ASMR, che sarà poi preso in considerazione dal CEPS per negoziare il prezzo con il produttore, pur essendo vincolato dalla normativa europea garanzia di prezzo dell’accordo quadro con il LEEM per i farmaci con ASMR da 1 a 3”. Questa frase ripete più o meno elementi che l’autore può aver sentito un giorno quando i suoi interlocutori gli hanno detto che non aveva posto nel dibattito; dietro la sua apparente complessità, descrive proprio quello che in Francia viene chiamato il “circuito del farmaco”, che inizia con il timbro apposto sul farmaco dalle autorità sanitarie e arriva fino alla sua effettiva prescrizione al paziente nell’ambito del sistema di Sicurezza sociale. Naturalmente è del tutto incomprensibile per il profano. Tuttavia, è troppo spesso con questo linguaggio che vengono trattate questioni relative al farmaco.

Non c’è dunque da stupirsi se la natura tecnica del contenuto e la complessità della forma fungono da barriera e talvolta anche da scoraggiare i parlamentari, la cui prerogativa più importante è tuttavia votare il bilancio annuale della malattia assicurativa. Infine, sono rimaste pochissime opzioni per il profano che desidera interessarsi all’argomento e invitarsi al dibattito. Oltre ad essere in numero limitato, queste opzioni sono minimaliste, nel senso che, senza pregiudicare la legittimità e l’interesse di ciascuna di esse, il loro angolo di approccio richiede immediatamente contro-argomentazioni utilizzando questo linguaggio di esperti e tendendo a caricaturare le posizioni esprimono.

Una prima opzione è considerare la medicina come un’illustrazione degli eccessi del modello economico neoliberista globalizzato prevalente. Il tasso di utile netto al netto delle imposte raggiunto dall’industria farmaceutica – singolarmente atipico con una media del 25% quando un utile netto del 5 o 6% è considerato un’ottima notizia in altri settori dell’industria – funge da pratica rivelatrice denunciata come prevaricante : superprofitti alimentati da prezzi esorbitanti e insostenibili per i bilanci sanitari nazionali, meccanismi di ottimizzazione fiscale, privatizzazione dei risultati ottenuti dalle risorse pubbliche destinate alla ricerca e sviluppo, ecc. Questa critica all’industria farmaceutica fa parte di una sfida più generale alla mercificazione del mondo. Ma questo approccio non consente di comprendere il funzionamento e la dinamica dell’attuale ecosistema specifico proprio al farmaco come rivelato da Sovaldi.

C’è una seconda opzione per invitarsi al dibattito: quando se stessi o una persona cara sperimenta una grave reazione avversa al farmaco e questo effetto è causato da un problema di sicurezza che avrebbe potuto essere evitato. Queste carenze nel controllo dei farmaci e nelle reti di sicurezza sono alla base degli scandali sanitari. I motivi sono molteplici: mescolanza di generi, come nel caso del sangue contaminato negli anni ’80, quando l’ex Centro Nazionale Trasfusionale di Sangue favorì la propria attività di vendita di sacche di sangue raccolte nell’ambito della sua missione di organizzatore di trasfusioni di sangue, anche se sapeva che i suoi prodotti erano stati infettati dal virus dell’AIDS; menzogna degli industriali sul profilo di sicurezza del loro prodotto, come con la vicenda Mediator dove l’industriale Servier ha commercializzato dal 1976 al 2009 un farmaco contro il diabete presentandolo come un soppressore dell’appetito e di cui conosceva i rischi per la salute del paziente; sotto il mantello dei maggiori effetti indesiderati di un farmaco prescritto in massa, come per l’affare Vioxx dove l’industriale Merckx ha soffocato gli allarmi sempre più numerosi sulle complicazioni e sui decessi legati al suo antinfiammatorio – Vioxx, era al tempo un record di vendite per un farmaco con un fatturato annuo di 2,5 miliardi di dollari per sei anni fino al suo ritiro nel 2004, con 40.000 morti negli Stati Uniti. Queste carenze non sono di esclusiva responsabilità dei produttori e coinvolgono le agenzie pubbliche di controllo sulla sicurezza dei farmaci, come è stato particolarmente evidenziato dalla vicenda Mediator. La legittima commozione delle vittime e dei loro familiari apre di volta in volta un sano dibattito, che permette di comprendere i fallimenti del circuito dei farmaci per migliorarlo; ma nemmeno questa opzione è sufficiente per evidenziare quanto rivelato dal Sovaldi.

In entrambi i casi è quindi difficile cogliere appieno ciò che sta accadendo nel mercato mondiale de farmaci, ed in particolare nei paesi storicamente considerati ricchi (Nord America, Europa, Giappone, Australia). , che rappresentano l’80% di tale mercato e che fino ad allora pensavano di essere protetti dal razionamento. Il caso Sovaldi svela i limiti di un sistema rotto: oggi un Paese ricco che non può pagare i farmaci di cui ha bisogno è una realtà, non un sogno irrealizzabile. Occorre quindi creare le condizioni per un dibattito illuminato sui medicinali, problema che rimanda a questioni essenziali per il fondamento della vita democratica, come il consenso alla tassazione, l’allocazione delle risorse pubbliche o il rispetto degli obblighi costituzionali sul diritto alla salute.

Basato su Sovaldi, questo libro si propone di contribuire a rendere il complesso tema della medicina accessibile a quante più persone possibile per alimentare questo dibattito pubblico. Dal 2014 al 2017, periodo di effettivo razionamento dei farmaci contro l’epatite C, la Francia non ha potuto curare una popolazione la cui dimensione era espressa in centinaia di migliaia di persone (i 200.000 pazienti con epatite C) con trattamenti il ​​cui prezzo di vendita era espresso in decine di migliaia di euro (40.000 euro per Sovaldi). Con lo stesso sistema senza fiato, ci si può chiedere come il nostro Paese riuscirà a curare una popolazione la cui dimensione è espressa in milioni di persone, come è il caso del cancro, con nuove cure in oncologia il cui prezzo di vendita è oggi espresso in centinaia di migliaia di euro. La posta in gioco di un simile dibattito non potrebbe essere più chiara.

Il circuito dei farmaci in Francia si svolge in tre fasi successive: autorizzazione all’immissione in commercio (AMM), valutazione medica e determinazione del prezzo. Prima viene l’agenzia del farmaco, ora denominata National Drug Safety Agency (ANSM), che rilascia le autorizzazioni all’immissione in commercio dopo aver verificato la sicurezza della molecola confrontando il beneficio fornito dal farmaco con i potenziali rischi generati dalla sua somministrazione al corpo umano, tali come effetti negativi (questo è chiamato rapporto rischi/benefici, che deve puntare a favore dei benefici). Infatti, dalla creazione di un’Agenzia Europea dei Medicinali nel 1995, la procedura di AIC è stata sempre più centralizzata a livello di Unione Europea. Successivamente l’Alta Autorità sanitaria (HAS) effettua la valutazione medica, che consiste nel porre due domande: quali sono le prestazioni cliniche del farmaco rispetto alla sua indicazione? E se c’è, il farmaco migliora la risposta terapeutica rispetto a quella esistente? La risposta alla prima domanda è chiamata servizio medico prestato (SMR), valutato da 1 a 5 in base all’intensità decrescente della sua prestazione, il punteggio 5 indica che questo servizio è inesistente. I medicinali privi di SMR (nota 5) non possono essere rimborsati dall’assicurazione sanitaria. Per gli altri viene posta la seconda domanda, la cui risposta si chiama Improvement of actual benefit (ASMR). L’HAS assegna un punteggio da 1 (maggiore miglioramento rispetto ai farmaci esistenti) a 5 (nessun miglioramento). I miglioramenti più significativi, valutati da 1 a 3, definiscono generalmente quelli che vengono chiamati farmaci innovativi, come nel caso di Sovaldi. Questo scenario è raro e da diversi anni la stragrande maggioranza dei farmaci rimborsabili valutati dall’HAS ha ASMR di 5 e 4, come dimostrano i dati del 2018: il 62% dei farmaci non prevede alcun progresso terapeutico e il 24% solo un minore miglioramento. Come per l’esame dei fascicoli di domanda di AIC, la decisione degli esperti si basa sui dati prodotti dai produttori. Infine, il circuito si conclude con la fissazione del prezzo, decisa da un ente governativo, il Comitato economico per i prodotti sanitari (CEPS), a seguito di una trattativa da esso svolta per conto dello Stato e della Previdenza sociale con gli industriali. La procedura di tariffazione è svincolata da quella della valutazione clinica. L’unico nesso giuridico che collega le due procedure è l’ASMR, il codice di previdenza sociale che precisa che “la determinazione di tale prezzo tiene principalmente conto del miglioramento della prestazione sanitaria fornita dal farmaco”. Sulla carta le cose sembrano abbastanza chiare, ma la realtà è molto più complessa (i rapporti di forza nella trattativa giocano a favore dei produttori che si affidano al monopolio conferito dai loro brevetti) e molto poco trasparente (le trattative sono segrete). Inoltre, lo Stato ha deciso di organizzare le sue trattative con i produttori firmando un accordo quadro con il sindacato che rappresenta l’industria farmaceutica in Francia (LEEM), accordo che, in pratica, porta a una restrizione dei margini di negoziazione per alcuni farmaci , come i farmaci innovativi il cui prezzo deve essere allineato a quello dei suoi vicini europei, cosa che non è richiesta dalla legge francese o dai regolamenti europei.

NOTE

[1] Voir O. Maguet, La Santé hors de prix: l’affaire Sovaldi, Paris, Raisons d’agir, 2020.

[2] F. Étilé, Obésité. Santé publique et populisme alimentaire, Paris, Éditions Rue d’Ulm, 2013, p.9.

[3] Del Partito Socialista francese, figlia di Alain Touraine

 

Note del traduttore

Il cosiddetto “registro della trasparenza” istituito dalla Commissione europea per la registrazione ufficiale delle lobby che operano sulle Commissioni e sul Parlamento europeo, è stato aggiornato nel 2021 e le regole di registrazione sono ulteriormente cambiate. Nel 2022 risultano iscritte a tale registro ben 13.528 lobby, 18% in più di 5 anni fa. Le più numerose sono le Ong (1.770), le più generose le aziende chimiche. Ma ci sono anche lobby che non si sono registrate.

Sulle lobby e il lobbismo presso l’Unione Europea (commissioni e Parlamento) vedi anche Sylvan Laurens Les Courtiers du capitalisme. Milieux d’affaires et bureaucrates à Bruxelles,Agone, 2015 (in inglese: S. Laurens, Bureaucrats and Business Lobbyists in Brussels. Capitalism’s Brokers:, Routledge, 2018.

A proposito dell’affaire Sovaldi si veda che cosa s’è detto in Italia a proposito del costo del farmaco x l’epatite C. Inoltre, medici senza frontiere, in occasione del vertice mondiale sull’epatite in corso in Brasile, a San Paolo, dal 1° al 3 novembre, ha chiuso accordi per acquistare il generico dei primi farmaci anti Hcv (sofosbuvir e daclatasvir) al prezzo di 120 dollari per l’intero ciclo di terapia di 12 settimane. Msf pagherà circa (al cambio corrente)  103 euro per ottenere farmaci che nei Paesi avanzati (Italia inclusa) costano ai servizi sanitari migliaia di euro, anche se il quadro sta cambiando rispetto agli esordi di qualche anno fa delle nuove terapie anti Hcv.

da qui

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