Come trasferire la maggior parte della ricchezza prodotta direttamente nelle tasche dell’1%? Come evitare che i profitti siano suddivisi equamente tra lavoratori e datori di lavoro? Come distruggere le PMI e le botteghe artigiane per avvantaggiare le grandi multinazionali? Come togliere potere alle contrattazioni collettive dei lavoratori? Come rivolgere le armi economico-finanziarie di cui dispone solo uno Stato contro l’interesse comune?
Queste sono le domande a cui le classi dominanti hanno dovuto trovare
risposta per ribaltare un sistema che aveva garantito crescita e diminuzione
delle disuguaglianze a partire dagli anni 30 e, ancora di più, dopo la fine
delle due Guerre Mondiali.
Le risposte sono arrivate con la rivoluzione di Reagan e della Thatcher, con la
globalizzazione, con la controriforma liberale iniziata a metà degli anni 70.
Un salto indietro nel tempo di quasi un secolo. Un ritorno, sotto tantissimi
punti di vista, all’800. Con in più la rivoluzione digitale.
Un progetto di restaurazione del potere e della ricchezza concentrati nelle
mani di pochi il cui più grande successo sono stati l’Unione Europa e l’euro.
Un esempio perfetto dello Stato non più al servizio dei cittadini, ma dei
mercati e dei più ricchi. Un mix mortifero di libera circolazione di merci,
capitali e lavoro, deflazione salariale, politiche fiscali pro-cicliche in
recessione e anti-cicliche nelle minuscole fasi di crescita.
Perché, lungi dall’essere stato un errore, quella della UE dell’euro è una
storia di successo. Del più grande successo dell’1%.
Un costrutto che proprio per i suoi punti fondanti si scontra soprattutto
con la Costituzione di un Paese. Con la sua impostazione sociale ed economica:
quella italiana.
Perché passare da obiettivi di piena occupazione alla stabilità dei prezzi,
passare dalla sovranità popolare alla cessione della stessa a enti
sovranazionali non eletti e ammantati di scientismo, è come per un qualsiasi
organismo passare dalla vita alla morte. Un capovolgimento di fase non
sostenibile.
Quello che deve essere chiaro, è che non si è trattato di un errore, di un
malfunzionamento di sistema, di un esperimento andato storto.
I milioni di poveri in più, di disoccupati, di sottoccupati, di sfruttati,
le decine di migliaia di aziende chiuse, i suicidi per la crisi, le centinaia
di migliaia di giovani laureati costretti a scappare da un Paese in lenta
agonia da oltre un ventennio, la distruzione sistematica dei risparmi, del
valore degli immobili e l’abbattimento progressivo dello Stato sociale, sono
tutti figli di una granitica volontà politica.
Eppure ci sono strade da rifare, ponti e gallerie da manutenere, metropolitane
da costruire, reti autostradali e ferroviarie da ampliare. Scuole e Ospedali da
abbattere e ricostruire, territori da mettere in sicurezza dal rischio
idrogeologico e sismico.
Fabbriche da aprire, poli industriali da ricreare, distretti portuali da
organizzare. E ancora le centrali per la produzione di energia pulita. Sistemi
educativi da ripensare. E poi gli investimenti nella ricerca.
Ma il Paese sta lentamente morendo. Da diversi decenni ormai. Perché? Una
domanda e un'offerta che non riescono a incontrarsi, a diventare effettive.
Perché?
Perché manca - ci ripetono da tanto, troppo tempo - il mezzo di comunicazione
finanziario per mettere in connessione due bisogni reali, che non hanno
scarsità del bene da scambiare, ma della valuta che regola questo scambio.
Perché “Mancano i soldi”, insomma.
Una delle più grandi bugie che siano mai state raccontate. E quella forse con
le conseguenze più gravi sulla vita di milioni di essere umani.
La BCE negli ultimi anni, solo per l'acquisto dei titoli pubblici, ha creato
dal nulla migliaia di miliardi di euro. Dal nulla. Non estratti dalle miniere o
dalle nostre tasse. Tanto meno dai soldi dei pensionati norvegesi.
Non mancano mattoni, ferro, cemento, materie da lavorare, da trasformare che
giustifichino tutti i poveri e i disoccupati. Che giustifichino tutta questa
disperazione. Si tratta di un modello economico fondato sulla scarsità, sulla
privazione, dal lato della domanda. E sullo spreco dal lato dell'offerta.
Una modello che si regge su bugie e su argomentazioni pseudo-tecniche e
scientiste (NAIRU, output gap, PIL potenziale). Un modello che rappresenta un
vergognoso attacco al Paese e ai suoi abitanti.
Perché, come spiega Simon Wren-Lewis, professore di economia politica alla
Oxford University, «una semplice verità, che non ascolterete dai media, è che
in un'economia con un tasso di cambio flessibile e una propria Banca Centrale
come il Regno Unito, lo Stato non può mai andare in bancarotta, poiché la Banca
Centrale può acquistare il debito pubblico».
Perché come spiega Acocella nel suo Elementi di politica economica «il
disavanzo può essere finanziato in due modi, attraverso la creazione
addizionale di base monetaria o l'emissione di nuovi titoli del debito
pubblico. Le due modalità di finanziamento in deficit hanno natura ed effetti
notevolmente diversi. La prima differenza tra i due modi di finanziamento
consiste nel loro diverso costo. È chiaro che il finanziamento con il debito è
costoso. Il finanziamento con base monetaria è invece spesso meno costoso o niente
affatto costoso.
Non lo è affatto se realizzato tramite emissione di biglietti o monete del
Tesoro, se si prescinde dai costi materiali dell'emissione; lo è in minima
misura, se ottenuto nell'ambito di convenzioni tra Stato e Banca Centrale o di
norme del genere di quelle che, fino al 1981 (ossia al cosiddetto
"divorzio" tra Tesoro e Banca d'Italia) prevedeva l'obbligo di
quest'ultima di finanziare lo scoperto del Tesoro sul conto corrente di
Tesoreria. Questa linea di credito, infatti, poteva essere mantenuta
indefinitamente nel tempo e, anzi, tendeva a crescere in valore assoluto
all'aumentare del valore della spesa pubblica, diventando una forma stabile di
finanziamento del deficit».
Ci stata per decenni propalata una retorica basata sulla mancanza di soldi,
sull’aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità, sulla pericolosità di
un alto debito pubblico, su un Paese i cui abitanti (noi) sarebbero
antropologicamente portati al crimine, all’evasione, all’ozio, al non rispetto
delle regole.
Perché se ti convincono di essere antropologicamente inferiore, quasi
geneticamente, sarai tu stesso a chiedere il vincolo esterno. A chiedere che
siano altri (tedeschi, francesi, americani), a decidere per te. Nel tuo
interesse, ovviamente.
Quanto tutto questo sia stato voluto, perseguito e ottenuto lo si evince
chiaramente dalle parole dei protagonisti. Gente che per superbia e convinzione
di impunità, più di una volta ha detto verità agghiaccianti col sorriso in
faccia.
Unione Europea ed euro sono servite e servono a mettere al riparo dal processo
elettorale la più grande opera di impoverimento delle masse. La più grande
opera di distribuzione e redistribuzione della ricchezza dal 99% della
popolazione all’1% più ricco.
La povertà, la disoccupazione, la disuguaglianza sociale, le milioni di vite
distrutte, il futuro strappato alle nuove generazioni costrette a emigrare.
Tutte queste atrocità non sono frutto del destino infame, sono una scelta
politica.
Dettata da tornaconto personale di pochi e dalle false credenze di alcuni.
Sulle quali ci si sta però giocando la vita, i sogni, le speranze, il futuro di
intere popolazioni.
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