venerdì 2 settembre 2022

La nuova frontiera della repressione: i fogli di via - Maurizio Bongioanni

 

È la mattina del 12 agosto quando Caterina, attivista climatica di Extinction Rebellion Torino, riceve una telefonata inaspettata: deve recarsi agli uffici di polizia di Pinerolo per firmare la revoca del foglio di via con il quale il questore di Torino l’aveva allontanata per un anno dalla città in cui vive e studia. Il foglio di via le era stato notificato il 25 luglio 2022, quando altre due attiviste di Extinction Rebellion, Vic e Delfina, erano salite con una scala sul balcone del palazzo della Regione Piemonte per appendere uno striscione con scritto “Benvenuti nella crisi climatica: siccità, è solo l’inizio”. Un modo appariscente, ma nonviolento, per raccontare a tutta la città le responsabilità di una Giunta regionale che solo qualche mese prima aveva presentato e approvato in Consiglio tre ordini del giorno, tutti e tre firmati dalla destra, per chiedere al governo di prendere maggiormente in considerazione proposte di produzione energetica per mezzo di centrali nucleari, incenerimento dei rifiuti e di aumentare le estrazioni nei giacimenti di gas nazionali.
L’azione dimostrativa di Vic e Delfina si era conclusa per ordine del questore con il sequestro dell’impianto (casse e microfoni) con cui le attiviste facevano sentire la propria voce in piazza, striscioni, 22 denunce e 15 fogli di via dalla città. Tutte le persone presenti in piazza, infatti, anche chi distribuiva volantini o faceva foto, hanno ricevuto una denuncia: gli articoli violati, secondo le autorità, erano quelli relativi all’invasione di edifici o terreni e quello di “manifestazione non preavvisata”. Ma ciò che aveva fatto più discutere era stata la scelta del questore di espellere da Torino 13 persone – delle 22 denunciate – per un periodo di uno o due anni. I fogli di via obbligatori sono misure di prevenzione personale previste per «i soggetti che […] mettono in pericolo […] la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica» secondo il decreto legislativo 159 del 2011.

«Su consiglio dell’avvocato, abbiamo immediatamente inoltrato istanza di riesame alla questura in relazione al foglio di via» – spiega Caterina –. «L’esito positivo è arrivato in meno di tre settimane. Questa è la evidente conferma della necessità di fare marcia indietro su una decisione arbitraria e illegittima del questore di Torino». Quello di Caterina non è l’unico foglio di via ad essere stato revocato. Ad oggi la convocazione in questura è arrivata anche ad Alessio e Pedro. Ma se da una parte le autorità stanno revocando alcuni provvedimenti presi quel giorno, altri ne stanno arrivando a settimane di distanza dalla manifestazione. «Il 5 agosto ho ricevuto una chiamata dalla questura di Bologna, città in cui vive la mia famiglia, per dirmi che sarei dovuta rientrare entro 24 ore, in modo da ricevere la notifica del foglio di via» – è la testimonianza di un’altra attivista, Noemi –. «Ho dovuto lasciare tutto da un giorno all’altro. Ancora oggi non so se potrò tornare a vivere nella città in cui ho un affitto, in cui studio e in cui avrei dovuto iniziare un nuovo lavoro a partire da settembre».

Delfina, una delle due ragazze che si è arrampicata sul balcone, non ha ricevuto la notifica per il foglio di via, in teoria perché è residente nella città ma deve attendere l’esito della denuncia. «Ciò che mi spinge a partecipare a queste manifestazioni e ad assumermi tutti i rischi, è la consapevolezza che non sto facendo nulla di violento e nemmeno di così assurdo. Quello che perderemo, e che nel mondo molti di noi stanno già perdendo, è nulla in confronto a qualche denuncia. Sono molto più terrorizzata da ciò che mi attende in futuro, dal collasso sociale che ne verrà, che dalla reazione delle istituzioni e delle forze dell’ordine». Delfina è alla costante ricerca di dialogo e le manifestazioni organizzate sinora sono state pacifiche. «Consiglio e Giunta regionali agiscono per curare il danno a posteriori: prendiamo il caso siccità» – continua –. «Si investono soldi per riparare le dispersioni degli impianti idrici ma se poi non c’è acqua da far scorrere il problema non è risolto a monte. Insomma, nelle politiche attuali manca totalmente la prevenzione affinché determinati problemi non si ripetano in futuro. Per ottenere un Consiglio regionale aperto alla cittadinanza su questo e altri temi climatici abbiamo dovuto intraprendere uno sciopero della fame. A conferma che la disobbedienza civile è l’unico modo per farsi ascoltare. Queste denunce possono essere l’occasione per attirare l’attenzione su questi temi».

«Queste misure sono totalmente illegittime, perché la maggior parte di noi vive, studia e lavora a Torino» – ribadisce Alessio, costretto a rientrare forzatamente a Roma, città in cui vive la sua famiglia –. «Io ho perso il lavoro a causa di un foglio di via che il questore sapeva benissimo di non poter notificare. Chi mi ripagherà per tutti i danni subiti?». Per gli attivisti la strategia della questura è quella di tagliare le gambe alla protesta, silenziare la voce dei manifestanti che chiedono più attenzione e azioni concrete per contrastare la crisi climatica. «L’acqua che sta scendendo nei bacini idroelettrici piemontesi è acqua glaciale, cioè che è dovuta purtroppo allo fusione dei ghiacciai per l’innalzamento dello zero termico, quindi non è una bella notizia: arriva acqua, ma stiamo perdendo le riserve», ha ammesso l’assessore regionale all’ambiente Matteo Marnati, in quota Lega, lo stesso partito che durante un’informativa del Consiglio regionale richiesta per il giorno successivo alla manifestazione del 25 luglio, criticava i manifestanti per le loro proteste, invitandoli “ad andare a studiare”, pronunciandosi d’accordo con l’utilizzo del Daspo urbano (ovvero il divieto di accedere a un determinato luogo per motivi di ordine pubblico) verso i manifestanti e, infine, spiegando che chi deve ridurre le emissioni sono “Cina e India, non di sicuro il Piemonte”.

«Dando la colpa ad altri dimostrano che non c’è una visione olistica, interconnessa, dei cambiamenti climatici» – conclude Delfina –. «Ci dicono che la transizione non va affrontata ideologicamente ma qui si tratta di sopravvivenza».

L’articolo è tratto da Altreconomia dove è pubblicato con il titolo “I fogli di via delle questure che vogliono tagliare le gambe all’attivismo climatico”.

da qui

Nessun commento:

Posta un commento