L’espressione «Comunità educante», diffusa e ripetuta in vari documenti del Ministero italiano dell’Istruzione e nella elaborazione dei suoi pedagogisti, è una delle più significative, in parte criptiche ma sostanzialmente chiare, espressioni della potenza che il linguaggio possiede nel nascondere la realtà mentre la designa. In altri termini, si tratta di una formula fortemente ideologica, volta a nascondere – con il suono mellifluo dell’inclusione e della condivisione – la trasformazione ormai quasi compiuta delle scuole in luoghi di indottrinamento radicale, la cui radicalità consiste in una serie di «comportamenti attesi», nell’introiettare regole morali inflessibili, valori fuori dai quali non si viene riconosciuti non soltanto come studenti o docenti ma anche come cittadini e persino come umani.
Questo estremo dispositivo di esclusione viene realizzato attraverso una
serie di strumenti, di parole d’ordine, di doveri, ben descritti e disvelati da
Fernanda Mazzoli nel suo saggio Comunità educante e adattamento sociale (in
«Koinè», anno XXXVIII, Ideali di comunità, Petite Plaisance, Pistoia 2021).
Uno di questi strumenti è la dissoluzione dei saperi in una serie di
frammenti comportamentali che nel loro bulimico accumularsi privano le menti e
le vite di ogni reale comprensione del mondo e di ogni autentica libertà
esistenziale.
«Alimentazione, salute, legalità, affettività, multiculturalità,
problematiche inerenti a vecchie e nuove dipendenze, raccolta differenziata,
comunicazione non ostile, finanza, pensiero computazionale, trapianti,
donazione degli organi, cultura d’impresa, commercio solidale, codice stradale,
peer education, rappresentano solo alcune delle educazioni che le scuole, in
collaborazione con svariate associazioni, propongono ai loro iscritti» (p. 33).
Una raccolta indifferenziata di valori/comportamenti che toglie tempo,
possibilità e respiro all’istruzione, all’apprendimento, al confronto con le
difficoltà concettuali e mentali che i problemi matematici, filosofici,
giuridici, scientifici pongono e debbono porre all’itinerario di persone in
formazione e crescita. Le educazioni, invece, «alimentano una pretesa
totalizzante sul piano dei buoni pensieri e dei buoni stili di vita che ben si
presta a manipolazioni ideologiche tanto più incisive quanto più poste
all’insegna della democrazia, dell’inclusione e del rispetto per i diritti
umani» (p. 38).
A farsi tramite, strumento e controllori di tale dissoluzione della
conoscenza teoretica nei comportamenti etici sono chiamati i docenti.
L’insegnante «tende sempre più a scrollarsi di dosso i panni ingombranti e
démodé dell’esperto di contenuti disciplinari per indossare quelli di un
operatore sociale impegnato a dispensare pillole indolori di sapere tra
l’intrattenimento culturale e l’ammaestramento comportamentale» (p. 33).
Il sorriso, la facilitazione, il successo formativo, i bisogni,
l’accoglienza e altre analoghe parole d’ordine nascondono la vincente ideologia
liberista, la potenza stritolatrice e iniqua del capitalismo mentre vince. «Un
esempio per tutti: la questione ambientale della quale si rimuovono le cause
profonde che affondano nella ricerca del massimo profitto da parte del modo di
produzione capitalistico […]. Ne deriva una semplificazione del pensiero che
costituisce fertile humus all’indottrinamento ideologico. La materia
trasversale dell’Educazione civica, di recente reintrodotta, e che di tutto si
occupa, salvo fornire nozioni giuridiche basilari ed una doverosa conoscenza
della Costituzione, è esemplare quanto a banalizzazione e depauperamento dei
contenuti e a sospensione di qualsiasi attività mentale raziocinante. È un
consumatore avvertito e smaliziato l’autentico destinatario delle educazioni»
(p. 39).
Il culto per l’attualità, l’accusa di incomprensibili forme passatiste e
antiquarie rivolta a qualunque contenuto culturale che richieda un minimo di
esercizio intellettuale e di sforzo mnemonico/raziocinante è funzionale alla
«sedicente modernizzazione della scuola che è nei fatti adeguamento alle
esigenze attuali dell’economia di mercato» (p. 42).
Nelle scuole e anche nelle università (in particolare dalla diffusione del
virus e del suo sistematico utilizzo politico) domina in realtà un clima di
passività, rassegnazione, indifferenza. In sintesi, «la comunità educante è
sostanzialmente un dispositivo ideologico di adattamento sociale» (p. 41). Il
quale da due anni è diventato un dispositivo fideistico di adesione al
«neocredo vaccinale» (p. 43), le cui concrete articolazioni sono ben descritte
e sintetizzare in questa dolorosa ma realistica pagina:
La scuola è di tutti, salvo che dei docenti (e di tutti i lavoratori della
scuola), degli studenti e dei genitori non vaccinati; i primi soggetti a
sospensione dal lavoro e dallo stipendio (e sono migliaia); i secondi messi
alla gogna come untori dei compagni, nonché responsabili del ritorno delle
classi in DAD; gli ultimi impossibilitati ad entrare negli spazi scolastici se
privi di green pass. […] La comunità educante li sta espellendo, salvo
tempestivo ravvedimento ed autocritica dei colpevoli, recuperando, in tal modo,
il peggio delle due culture che, in passato, hanno attraversato il Paese: la
cattolica e la comunista. […] La perentorietà della messa al bando dal civile
consesso dell’ultima incarnazione, in ordine di tempo, dei nemici del genere
umano è tale da avvalorare l’impressione che sul terreno della scuola pubblica
non ci sia più spazio ormai per una comunità che non sia eterodiretta e pronta
a conformarsi alle direttive dei centri di potere (p. 44).
Della ‘comunità educante’ così (fra)intesa sono parte le famiglie,
diventate agenzie sindacali del diritto dei figli all’ignoranza. Il «familismo
cognitivo» del quale parla Davide Miccione reclama – con aggressioni,
intimidazioni e ricorsi – che i propri figli siano sempre premiati, promossi,
sostenuti, anche e soprattutto quando non studiano, non capiscono, non si
impegnano, disprezzano gli insegnanti e i libri. E dunque «fuori dai luoghi
comuni e dal politicamente corretto, è necessario dire come il vero grande
nemico della formazione degli studenti siano oggi le famiglie: famiglie
disastrate di genitori disinteressati al profitto scolastico, maggiormente
pronti a comprare cellulari che libri di testo, pronti a rivendicare diritti
per i loro rampolli e mai a insegnare i doveri. I genitori, consapevoli o meno,
costruiscono il fallimento umano dei loro figli perpetuando quest’Italia
perennemente stracciona anche qualora sia benestante» (Lumpen Italia. Il
trionfo del sottoproletariato cognitivo, LetteredaQALAT, Caltagirone 2022, p.
83).
Amare e plausibili le analisi di Mazzoli e Miccione. E tuttavia il bisogno
di libertà degli esseri umani è pari almeno al loro impulso verso la servitù
volontaria. Lo stupore dal quale nascono e rinascono ogni volta e di continuo
gli interrogativi che generano la critica e il sapere è pari almeno al
conformismo delle istituzioni. Un docente, un insegnante, un professore che
torni a essere un bambino limpido e stupefatto, capace di dire ai suoi alunni –
come nella favola – che il re è nudo, distrugge con questo solo gesto la
menzogna e rende davvero educante la comunità nella quale opera.
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