articoli, appelli, musica e video di
Giorgio Agamben, John Pilger, AntiDiplomatico, Comunità di Base delle Piagge,
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Thierry Meyssan, Alberto Negri, Bruna Bianchi, Ramzy Baroud, Caitlin Johnstone,
Stefano Orsi, Fabio Marcelli, Sahra Wagenknecht, Alessandro Orsini, Franco
Trincale, Guido Salerno Aletta
La terza guerra mondiale non è ancora finita – Giorgio
Agamben
«Viviamo in una crisi epocale. Io
credo che non siamo ancora al fondo, neppure alla metà di questa crisi. Sempre
più ci sto pensando. Sono convinto che lo scenario culturale, intellettuale,
politico non ha ancora esplicitato tutte le sue potenzialità. Dobbiamo
considerarci alla fine della terza guerra mondiale». La guerra di cui Dossetti
parlava in questa intervista del 1993 è stata più devastante o altrettanto
devastante delle altre due, perché è stata combattuta solo dal male in nome del
male, fra potenze ugualmente malvage, anche se in apparenza con meno
spargimento di sangue. Ma questa guerra secondo ogni evidenza non è ancora
finita, ha preso altre forme e noi ci siamo dentro senza riuscire a vederne la
fine. Siamo dentro la guerra planetaria contro il virus, parte in causa nelle
mille guerre civili che dividono i popoli dall’interno e coinvolti nostro
malgrado nella guerra in Ucraina come occasione di una guerra mondiale bianca,
che viene cioè condotta innanzitutto nel linguaggio e nelle menti degli uomini.
È possibile, tuttavia, che
Dossetti avesse ragione e che questa interminabile guerra coincida in qualche
modo con la fine, che la fine sia, cioè, per così dire sempre in corso. «Siamo
dinnanzi all’esaurimento delle culture – aggiungeva ¬– non vedo nascere un
pensiero nuovo né da parte laica, né da parte cristiana. Siamo tutti immobili,
fissi su un presente, che si cerca di rabberciare in qualche maniera». Le
potenze che si battono non hanno infatti alcuna salvezza e alcuna verità da
proporre: solo una continua, incombente minaccia di malattia e morte e l’odio e
la guerra di ciascuno verso tutti. Sono, in questo senso, alla fine e l’atroce
guerra civile planetaria che conducono è la forma della loro fine.
Europei, Americanizzatevi! – Guido Salerno Aletta
Crisi energetica:
deindustrializzazione e fine dello Stato sociale
Deindustrializzare l’Europa serve ad americanizzarla.
La prossima crisi energetica, per
via delle sanzioni alla Russia che metterà in crisi la gran parte delle grandi imprese manifatturiere forzandole
alla sospensione della produzione per spostarla altrove nel mondo, concluderà
anche nel Vecchio Continente il processo di smantellamento del sistema di
produzione capitalistica fondata sul salariato di massa che aveva sopito il
conflitto di classe con la creazione dello Stato sociale.
Sin dalla metà degli Anni Trenta
cominciando dall’Inghilterra, e poi in modo generalizzato in tutta l’Europa
dopo la seconda guerra mondiale, l’esperimento socialdemocratico aveva portato
alla organizzazione da parte dello Stato di una serie di servizi pubblici a
fruizione universale cui corrispondevano altrettanti diritti sociali. Quattro erano i pilastri:
Istruzione, Sanità, Casa, Assicurazione obbligatoria per
gli infortuni sul lavoro, la disoccupazione e la vecchiaia.
Questi interventi pubblici erano
e sono ancora oggi finanziati con il contributo fondamentale che
deriva dal prelievo fiscale sul
reddito da lavoro dipendente. Il costo del lavoro, che
rappresenta l’onere complessivo per l’impresa, viene ripartito in due porzioni:
da una parte, c’è il reddito monetario in busta paga, a disposizione del
lavoratore per i suoi consumi personali; dall’altra, ci sono il prelievo
fiscale dello Stato per la fornitura dei servizi pubblici ed i contributi
previdenziali obbligatori.
Negli Stati Uniti, nonostante gli
interventi assunti sin dagli Anni Trenta con il sistema previdenziale della
Social Security e con la Sanità pubblica del Medicare e del Medicaid, il
sistema si è sempre più orientato verso forme di assicurazione privata. In
fondo, anche con l’Obamacare non si era fatto altro che rendere obbligatoria la
sottoscrizione di una polizza assicurativa da parte di compagnie private alla
stregua di quanto accede anche in Italia per coprire i rischi della
Responsabilità Civile Auto. Negli Usa, il sistema scolastico superiore, quello
sanitario e quello previdenziale sono sostanzialmente gestiti da compagnie
private e da Fondazioni senza fine di lucro.
Nel corso degli ultimi
trent’anni, anche in Europa si è fatta sempre più forte la spinta verso la
privatizzazione dei servizi pubblici, accusandone la gestione di inefficienza.
Siamo in una fase di erosione dello Stato sociale, di crescente terziarizzazione
e di progressiva esternalizzazione della fornitura dei servizi. Le formule del
Partenariato-Pubblico-Privato e della complementarietà tra servizi di base ed
accessori, sono state usate un po’ dappertutto, dalla Sanità alla Previdenza.
Ora arriva l’ultima spallata: da
una parte, la crisi energetica in corso porterà alla insostenibilità di una
serie di produzioni industriali; dall’altra, essendo già fortemente indebitati,
gli Stati si troveranno sempre più in difficoltà nel finanziare la spesa
pubblica sociale.
Dopo la chiusura negli scorsi
decenni delle miniere, dei grandi complessi industriali chimici e metallurgici,
e poi anche delle fabbriche dedicate alla meccanica fine ed agli apparati
elettronici e di telecomunicazioni, è arrivato il turno degli impianti
automobilistici. La transizione verso l’auto elettrica farà a meno della gran
parte dei componenti tradizionali, dal motore a combustione interna ai sistemi
frizione/cambio/trasmissione. Centinaia di migliaia di lavoratori diventeranno
inutili.
C’è anche un dato storico,
ineliminabile: spostare i grandi complessi manifatturieri fuori dall’Occidente,
verso la Cina o il Vietnam, la Turchia o l’India, ed in prospettiva anche in
Africa, significa delocalizzarli in aree in cui il conflitto di classe non ha alcuna
tradizione, né socio-culturale, né politica. D’altra parte, per contrastare il
fenomeno della ingovernabilità delle fabbriche automobilistiche ed il
terrorismo che si era insinuato pericolosamente, anche in Italia negli anni
Ottanta si scelse la strada della delocalizzazione interna, con nuovi
insediamenti realizzati ex-novo in aree prive di qualsiasi tradizione operaia.
Ai partiti tradizionali che in
Europa hanno costruito lo Stato Sociale si sostituiscono sempre nuove
formazioni: la modificazione dei sistemi produttivi e dell’organizzazione
sociale comporta anche quelle della rappresentanza politica e della
organizzazione delle funzioni pubbliche.
Come è successo negli Usa a
partire degli anni Ottanta con lo spostamento delle produzioni verso il Messico
ed il Brasile, e poi a partire dal Duemila verso la Cina, in Europa ci
troveremo di fronte ad una nuova riorganizzazione economica.
L’industria europea aveva
resistito finora, rimanendo competitiva a livello internazionale, solo a costo
di ridurre continuamente i costi del lavoro e contemporaneamente anche la
copertura dello Stato sociale, beneficiando dei bassi costi dell’energia. La
crisi in atto, in termini di elevati costi e di scarsa disponibilità, le darà
una potente spallata.
Niente più Scuole pubbliche
gratuite, niente più Sanità universale, niente più Sistema pensionistico
pubblico. E, naturalmente, c’è chi non aspetta altro per fare finalmente tanti
soldi: sempre meno Stato, sempre più Mercato.
Europei, Americanizzatevi!
Crisi energetica: deindustrializzazione
e fine dello Stato sociale.
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