Stretto fra guerra e crisi di
governo, è passato quasi sotto silenzio un dato interessante e assai istruttivo
contenuto nel Rapporto
Istat 2022 relativo
all’inflazione ed ai suoi effetti sulle famiglie italiane. Al di là della
retorica del “siamo tutti sulla stessa barca”, funzionale solo ad imbrigliare
eventuali rivendicazioni salariali, l’Istituto evidenzia come gli effetti
dell’inflazione siano molto più pesanti per le famiglie più povere. Ma
attenzione (e qui viene la parte interessante): questo succede non solo –
banale, ma sempre vero – perché chi ha redditi più bassi ha minore margine per
contrastare l’effetto dell’aumento dei prezzi, ma anche perché per queste
famiglie il dato dell’inflazione è di per sé più alto rispetto alla media
nazionale. Ma come? Il dato dell’inflazione non è QUEL
numero (unico per tutti) che attualmente oscilla fra l’8 e il 9%?
Prima di capire i motivi di questa
asimmetria, indagare le sue implicazioni dal punto di vista distributivo e
individuare, di conseguenza, gli strumenti per farvi fronte, cerchiamo di
spiegare meglio cos’è e come viene calcolato il tasso di inflazione in Italia.
L’inflazione è un numero che indica,
in misura percentuale, l’aumento del livello medio dei prezzi rispetto a un
periodo precedente. Il livello medio dei prezzi è calcolato attraverso un
indice che, per l’appunto, media i prezzi di vari prodotti. In Italia, tale
indice si chiama “indice armonizzato dei prezzi al consumo” (IPCA), e si misura
identificando un certo paniere di beni e servizi rappresentativo dei consumi
medi delle famiglie italiane. La variazione tendenziale di questo indice (ad
esempio, giugno 2022 rispetto a giugno 2021) ci fornisce la misura di questo
incremento dei prezzi e quindi del tasso di inflazione.
Ma nella pratica, come si calcola
l’IPCA? I beni e servizi vengono suddivisi in categorie omogenee (alimentari
lavorati, alimentari non lavorati, energia, servizi relativi all’abitazione,
servizi ricreativi e culturali, etc.) e per ognuna di queste categorie si
calcola il livello di prezzi raggiunto; dopodiché, ad ognuna di esse viene assegnato
un determinato peso. Ciò vorrà dire che i beni che, in media, vengono consumati
di più, avranno un peso maggiore. Ciò fa si che la composizione dell’IPCA sia
rappresentativa di come è composto il “carrello della spesa” nella media
dell’economia italiana: la somma dei contributi pesati delle varie categorie di
beni e servizi diventa quindi un numero unico. La variazione percentuale di
questo numero ci restituirà il tasso di inflazione.
Il punto è che i “carrelli della
spesa” delle famiglie italiane sono assai diversi, non solo da un punto di
vista quantitativo ma anche qualitativo: varia, in altri termini, la loro
composizione. Ed è proprio a partire da queste considerazioni che l’ISTAT ha
svolto un esercizio interessante.
Prima di tutto, procede a disaggregare
l’indice finale, mostrando il contributo fornito dalle diverse categorie di
beni e servizi: ad esempio, a maggio 2022 l’inflazione complessiva è del 7,3%,
ma l’incremento della componente “energia” (che include i carburanti) è del
42,9%, e quella degli “alimentari non lavorati” dell’8,6%, (molto più della
media). Allo stesso tempo, altre categorie di beni aumentano, ma in misura meno
significativa: ad esempio, i “Beni industriali non energetici”
(sostanzialmente, tutti i beni di consumo diversi dagli alimentari e
dall’energia) aumentano “solo” del 2,6%, mentre nell’ambito dei “Servizi
ricreativi, culturali e per la cura della persona” l’aumento è del 4,9%. Fin
qui, poco di nuovo: sapevamo già infatti che questa ondata inflazionistica è
originata, in prima battuta, dall’aumento dei prezzi dell’energia e questo
aumento si sta progressivamente trasferendo a tutti i settori dell’economia, a
partire dagli alimentari.
A questo punto, l’ISTAT divide le
famiglie italiane in 5 gruppi: il primo quinto è quello più povero, che mostra
una spesa complessiva più bassa, poi il secondo, il terzo e così via fino
all’ultimo quinto (quello più ricco). Quindi, l’ISTAT confronta quello che è
successo fino al primo trimestre 2022, prendendo in considerazione come sono composti
i differenti “carrelli della spesa” (per semplicità, ci soffermiamo sulle
differenze fra il quinto più povero (con consumi minori) e il quinto più ricco.
ISTAT mostra come nel carrello della
spesa del quinto più povero, la spesa per energia rappresenta ben il 14,6%
della spesa complessiva, mentre per il quinto più ricco essa pesa solamente il
6,7%; allo stesso modo la spesa per prodotti alimentari vale il 33,2%
della spesa complessiva per il quinto più povero e solamente il 16,5% nel
quinto più ricco. Al contrario, invece, i servizi ricreativi o i beni
industriali non energetici pesano di più nel carrello delle famiglie più ricche
che di quelle più povere…
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