Come sarà l’Italia sotto la fiamma nera? Saperlo non è
difficile, basta guardare alle numerosissime regioni e città italiane che già
si sono consegnate a questa regressione. Ultima, la civile, bellissima, Lucca,
sprofondata fino ad avere un assessore direttamente di Casa Pound. Le
celebrazioni per la Liberazione di Lucca (5 settembre) sono state
sostanzialmente soffocate, e l’Anpi non è stata invitata. Per avere un’idea del
clima, basta un’occhiata a un articolo comparso negli scorsi giorni su una
testata online lucchese: «Rosalba Ciucci, presidente dell’Anpi, l’associazione
nazionale partigiani finanziata a pioggia dai soldi dei contribuenti, ha
lanciato i suoi strali in un comunicato invitando i lucchesi in piazza – ce
n’erano davvero pochi però, segno evidente che il suo richiamo conta quanto il
due di coppe a briscola quando regna bastoni – per celebrare questa mattina
l’anniversario della Liberazione di Lucca dal nazifascismo contro la giunta
Pardini rea per poca sensibilità, superficialità o scarsa volontà,
di non aver invitato proprio loro, quelli dell’Anpi, i partigiani del secolo
ventunesimo, che vedono camicie nere e brune anche quando sono seduti sulla
tazza del cesso» Laddove il proverbio legato ai semi delle carte napoletane
acquista una pregnanza sinistra se solo si sostituisca «manganelli» a
«bastoni».
In una ordinanza del 25 agosto, il nuovo sindaco ha
preso atto che «risultano ancora presenti, soprattutto nel centro storico
cittadino, fenomeni che contrastano col decoro e la vivibilità urbana e che si
concretizzano nell’occupazione impropria di spazi pubblici e privati, di beni
monumentali e di arredi urbani attraverso condotte quali sedersi o sdraiarsi
sui gradini, sui sagrati delle Chiese, sui piedistalli delle statue, sul suolo
pubblico, su pavimentazione di edifici ovvero nell’utilizzare gli arredi urbani
in maniera impropria. Tali condotte, oltre che contrarie al pubblico decoro,
costituiscono di fatto un impedimento alla accessibilità per gli altri
cittadini ed utilizzatori (studenti, turisti, pendolari, fruitori della città)
di spazi pubblici e privati quali arredi urbani, gradini di accesso, soglie,
sagrati delle Chiese e quant’altro». Insomma, alcuni poveretti osano sedersi o
perfino sdraiarsi sugli arredi urbani. Il sindaco di Lucca non lo sa, ma le
panche di via sulla base dei più bei palazzi di Lucca, così come avviene a
Firenze e in molte altre città di impronta rinascimentale, avevano esattamente
quello scopo: offrire riposo ai viandanti, non importa se poveri o neri. Ma ora
no, per la giunta di estrema destra, questi corpi «costituiscono anche un danno
all’immagine della città e suscitano la percezione di incuria della città
stessa, in forte contrasto con le iniziative di valorizzazione del patrimonio
storico, culturale ed architettonico». Di qui la decisione: «nell’ambito di
tutto il centro storico, così come delimitato dalle mura urbane (comprese le
stesse) del territorio comunale di Lucca, è fatto divieto a chiunque di
sedersi, sdraiarsi o dormire sul suolo pubblico o nelle aree ad uso pubblico o
aperte al pubblico passaggio, sui sagrati delle Chiese, sui gradini dei
piedistalli della statue e dei monumenti, sulle soglie, sulle pavimentazioni,
sui muretti, sui gradini posti all’esterno degli edifici pubblici e privati».
E, naturalmente, «è vietato altresì sdraiarsi e dormire sulle panchine
pubbliche ovvero bivaccare nelle aree pubbliche ed in quelle soggette a uso
pubblico o a pubblico passaggio».
Nulla di nuovo o originale: era il 1997 quando il
sindaco-sceriffo leghista di Treviso fece togliere dalla città tutte le
panchine, dichiarando di aver visto «nella zona della stazione decine di negri
seduti sulle spallette del ponte, altri extracomunitari seduti sulle panchine e
sacchetti e zaini attaccati penzoloni ai rami degli alberi. Il giorno dopo sono
andato dal prefetto perché non tollero che Treviso diventi – continuava il
sindaco – una terra di occupazione». Dopo venne un sindaco leghista di Verona,
che usò il simbolo del cuore, piazzato in ferro in mezzo alle panchine, per impedire
ai poveri di sdraiarcisi: con una perversione semantica davvero estrema. Ma
questa commendevole tradizione ha un capostipite ben più antico e terribile. Mi
ricorda Franco Marcoaldi che Stefan Zweig, nel capitolo finale del suo Mondo
di ieri (uscito nel 1942), racconta come «pochi giorni dopo presa di
Vienna da parte di Hitler fu emanato il bestiale decreto che vietava agli ebrei
di sedersi sulle panchine, uno di quei provvedimenti che chiaramente avevano
come unico scopo di tormentare gli ebrei con sadica crudeltà». Oggi i bersagli
non sono, ancora, gli ebrei, ma altri diversi: i poveri, i neri. Si
sbaglierebbe, però, a non vedere il nesso. In Uomini comuni. Polizia
tedesca e soluzione finale in Polonia, lo storico americano Christopher
Browning racconta che, organizzando una rappresaglia, il sindaco polacco e gli
ufficiali nazisti si accordarono per «colpire due sole categorie: quella degli
stranieri e dei residenti temporanei e quella dei cittadini “privi di
sufficienti mezzi di sussistenza”». Settantotto polacchi furono fucilati, e
furono uccisi «i più poveri tra i poveri». Emerge una costante: il potere che
cavalca la paura colpisce sempre due categorie, eternamente odiate e spesso
coincidenti: gli stranieri e i poveri.
Ma attenzione: la corsa verso il mostruoso che ci ha
portato fin qua coinvolge molte altre destre che oggi si tinteggiano con un non
credibile antifascismo. Tra le prime città che applicarono i DASPO urbani
previsti dai decreti sicurezza di Salvini ci fu la Firenze del “democratico” Nardella,
che espulse i poveri dalla zona rossa del centro-cartolina, rivendicando alla
sua parte (via Minniti) un ruolo nella genealogia culturale e politica di
quella aberrazione. Parafrasando Virginia Woolf, il modo migliore per battere
questa destra «non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma
di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi».
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