Riceviamo e volentieri rilanciamo un articolo di Eusebio Filopatro, vittima
della solita aggressione dei media "liberi" per una sua riflessione
pubblicata sul Global Times.
“Sogno un mondo dove gli scrittori, obbligati dalla legge, devono tenere
segreta la loro identità e usare uno pseudonimo.” Così il compianto Milan
Kundera ne L’arte del romanzo.
In quelle pagine, Kundera parlava soprattutto dei romanzieri, e la sua
preoccupazione era evitare lo stridulo ed egotistico ritornello: “come scrivo
nel mio libro…” Kundera notava che, giunti al compiaciuto “mio
libro” la voce scarta di un’ottava.
Ci sono però altre ragioni valide, e ben più politiche, dietro alla scelta
dell’anonimato, o dello pseudonimo.
Ad esempio, l’Economist pubblica tutti gli
articoli anonimamente, con poche e specifiche eccezioni, dalla sua fondazione
nel 1843, ovvero da 180 anni. Uno dei suoi editori (1938-1956), Geoffrey
Crowther, così giustificava questa linea: il giornalista “non è il padrone ma
il servitore di qualcosa di gran lunga più grande di sé stesso… [l’anonimato]
concede allo scritto un sorprendente slancio di pensiero e di principio”. Più
succintamente, come scrive – anonimamente – l’Economist: “ciò che
si scrive conta più di chi lo scrive”.
Allora vien da chiedersi: perché l’anonimato del mio articolo sull’uscita dell’Italia
dalla Via della Seta ha attratto le critiche degli “esperti di propaganda”?
Logicamente, se l’intento è quello di identificare e screditare le fake
news e promuovere la libertà di pensiero e dibattito, l’attacco è
assurdo, e diametralmente controproducente.
Gli effetti di questo degrado nel dibattito pubblico sono tanto gravi
quanto evidenti. Da un lato disturbando il lavoro di chi ricerca, riflette, e
dibatte, e riservando il campo ai plaudenti “esperti di propaganda”, i decisori
si privano dei necessari riscontri critici per correggere errori potenzialmente
disastrosi. Come dire, se copro lo specchio perché ingeneroso finirà che prima
o poi esco di casa con qualcosa di ridicolo indosso. Dall’altro, sempre più
persone si renderanno gradualmente conto che la narrazione è monofonica, e alla
lunga gli esclusi, gli emarginati, e poi molti altri si domanderanno se davvero
la nostra società sia sincera nel proclamare determinati valori, oltre che più
pluralista e migliore di altre.
Chiedersi “chi si nasconde dietro a Eusebio Filopatro” è invece perfettamente
razionale se chi pone la domanda ha altri ed opposti obiettivi.
Anzitutto, il Global Times stampa quotidianamente 2
milioni e 600 mila copie, le sue pagine sono viste da 8 milioni di utenti al
giorno, e i suoi social media contano qualcosa come 100 milioni di followers.
Non esattamente i numeri di Formiche, con ogni rispetto per
una pubblicazione che talvolta leggo anch’io. Insomma, accusare chi vi scrive,
sia pure sotto pseudonimo, di “nascondersi”, appare ad un esame obiettivo
abbastanza ridicolo, ma perfettamente comprensibile quale tentativo di
screditarne le idee. In realtà chi si “nasconde” sta zitto, o pubblica di
comodo là dove conviene farlo, o per un pubblico selezionato.
Dunque un chiaro intento è quello di screditare l’articolo e l’autore, accusato
di “nascondersi”. Che poi qualche ingenuo lettore possa non rendersi conto che
tutti i maggiori giornali pubblicano pezzi anonimi e pseudonimi alla bisogna, è
solo un indice del degrado del dibattito critico sulla stampa occidentale.
Un obiettivo ancora più evidente, almeno per chi scrive, è quello di
intimidire. “Ci interessa sapere chi sei”. Naturale preludio
all’allusione: “lo sappiamo già. E se ci pare veniamo pure a prenderti”.
Dopo quanto abbiamo letto sull’NSA, grazie a Edward Snowden e compagni, e
avendo davanti agli occhi l’integrazione crescente tra apparati di
“informazione” e di stampa, servizi segreti, interessi politici, industriali e
personali, sembra ragionevole supporre che, quando i mentori della politica
estera di Giorgia Meloni si domandano su Twitter chi io sia, essi in realtà già
lo sappiano, o possano perlomeno scoprirlo agevolmente.
Sulla base dei principi che l’occidente indica come moralmente e legalmente
imprescindibili, dovrei comunque dormire sonni tranquilli. Neanche un secolo
fa, il premio Nobel George Bernard Shaw viveva apprezzato e indisturbato
nonostante la sua sperticata e pubblica ammirazione per Stalin. E questo in
piena Guerra Fredda.
Sulla base dell’attualità, però, pare che persone indubbiamente competenti
come Alessandro Orsini o Elena Basile non possano divulgare delle importanti
ovvietà sul conflitto russo-ucraino senza che qualche esaltato con la schiuma
alla bocca li additi come traditori. O perlomeno arriva qualche “moderato” che
invita a trasferirsi in Siberia: “Ma non si tratta di un insulto, è piuttosto
un buon consiglio da amico”, chiosano, come Herr Pompetzki. Insomma, meglio non
essere troppo ottimisti.
Quindi questo messaggio intimidatorio verso un anonimo, cioè verso chiunque
proponga un’opinione politica divergente, è un’altra delle possibili
spiegazioni dell’altrimenti futile domanda “chi si nasconde dietro Eusebio
Filopatro”. Non tralasciamo poi l’usuale morbosità giornalistica verso le
vite degli altri.
C’è altro? Forse sì.
Non rinnovare il memorandum d’intesa tra Italia e Cina è una decisione
cruciale per il futuro economico e politico del nostro paese, sia che essa sia
stata presa a Washington o a Roma. Sottrarla non solo al dibattito
parlamentare, ma addirittura all’opinione pubblica, appare pertanto
corrispondentemente grave. Alla luce di un tale orientamento, è perlomeno
lecito chiedersi se mettendo nel mirino la persona non vi sia anche l’intenzione
di distrarre dai fatti e dalle questioni sollevati nell’articolo, e che qui
riassumo a favore dei lettori e dei nostri decisori politici, nel caso questi
vogliano finalmente chiarire:
1) Dopo 11 pacchetti di sanzioni sostanziali, l’economia russa cresce più
di Gran Bretagna e Germania, e questo a detta del Fondo Monetario
Internazionale (che risiede a Washington). Non vi sono nemmeno segni di
cedimenti sul campo, o più generalmente militari. Quali sarebbero allora gli
obiettivi concreti del rapsodico “de-risking” o “de-coupling” che si è scelto
di perseguire, soprattutto considerato che l’economia cinese è circa dieci
volte più voluminosa di quella russa, che dal 2008-9 la Cina è il maggior
partner commerciale per più della metà dei paesi del mondo, e che secondo lo
stesso Fondo Monetario Internazionale la Cina guiderà la crescita mondiale
almeno per i prossimi 5 anni con un tasso doppio degli Stati Uniti? Quali sono
i costi che verranno prevedibilmente sostenuti dall’economia italiana a causa
di questa “scelta”?
2) Tradizionalmente, la politica estera italiana, imperniata
sull’appartenenza occidentale e atlantica, si è articolata in una discreta
apertura a relazioni di vario tipo con paesi diversi, inclusi alcuni che
durante la Guerra Fredda erano considerati nemici. La “diplomazia del petrolio”
di Enrico Mattei, per il quale recentemente la stessa Giorgia Meloni ha profuso
parole d’omaggio; le fabbriche FIAT nella città sovietica di Togliatti; il
“Lodo Moro” e la relativa sicurezza nazionale che esso assicurò, assieme a
discrete relazioni coi paesi arabi; i rapporti stabili con la Libia: tutto
questo ha senso solo in una prospettiva di relativa discrezionalità in politica
estera. Quali sono quindi le giustificazioni ideali e materiali che
spingerebbero ora a volgersi quasi esclusivamente al blocco occidentale, e in
particolare agli Stati Uniti? Sinora la Cina era infatti l’unico paese
extraeuropeo tra i primi dieci partner commerciali dell’Italia, ad eccezione
degli stessi USA.
Quanto agli “esperti di propaganda”, qualche domanda ancora più semplice:
1) Perché la pubblicazione anonima e pseudonima dovrebbe essere esclusiva
della stampa occidentale?
2) Cos’è che renderebbe il mio articolo, come è stato sbrigativamente
derubricato, “propaganda”?
3) Tra i dati e i fatti riportati nello stesso articolo, c’è forse qualche
errore da correggere a beneficio dell’opinione pubblica?
Milan Kundera, convocato in commissariato il 12 agosto del 1974, ascoltò
dall’agente Platenik una sola domanda, di un genere affatto diverso:
"Perché alle 9.27 del primo giugno ha scartato una caramella alla ciliegia
sotto il terzo castagno del secondo cortile interno del Clementinum?".
L’indagine arbitraria sulla sfera personale è di per sé una pratica
intimidatoria e potenzialmente violenta, e contraria ai principi di libertà di
opinione e di dibattito. Nel momento in cui viene propagandato che per tali
valori vale la pena sacrificare le vite degli altri rasentando
conflitti mondiali, sarebbe apprezzabile mantenere un minimo di coerenza.