martedì 15 agosto 2023

Il Museo della Memoria in Cile, il golpe e le vittime, pagine di un passato che ancora divide - Michele Emmer

 

Uno dei luoghi simbolo della lotta contro la dittatura e la crudele repressione del dissenso durante il golpe di Pinochet e gli anni successivi è il Museo de la Memoria. La presidente del Cile Michelle Bachelet il 21 maggio 2007 annunciò la costituzione di un Museo de la Memoria y de los Derechos Humanos e un mese più tardi fu indetto un concorso per selezionare un progetto. La scelta del luogo dove collocare il nuovo museo non fu scelta a caso.

L’avenida Matucana fu scelta perché il luogo era strettamente legato alla violazione dei diritti umani da parte della dittatura militare. Le forze armate che erano di stanza nel vicino parco Quinta Normal e nell’Internado Nacional Barros Arana (INBA), controllavano i quartieri di Quinta Normal e Barrancas (che oggi hanno un altro nome) erano i responsabili dei desaparecidos San Juan de Dios, e dei centri di detenzione e tortura.

La presidente Bachelet, che era lei stessa vittima delle torture del regime di Pinochet, pose la prima pietra il 10 dicembre 2008. II concorso internazionale era stato vinto da Estudio América, studio di architettura di San Paolo di Mario Figueroa, Lucas Fehr e Carlos Dias. Il progetto era basato sull’idea di quartiere aperto per integrare il nuovo edificio nella città che si sarebbe fuso con l’ambiente circostante all’interno della città. Il 10 gennaio 2010 la presidente Bachelet, che ci teneva moltissimo ad essere lei ad inaugurare il Museo, due mesi prima che terminasse il suo mandato aprì il Museo de la Memoria y de los Derechos Humanos.

Le motivazioni per aprire uno spazio dedicato alla Memoria erano molto chiare:
“Far conoscere le sistematiche violazioni dei diritti umani da parte dello Stato cileno negli anni 1973-1990, affinché attraverso la riflessione etica sulla 
memoria, la solidarietà e l’importanza dei diritti umani, si rafforzi la volontà nazionale così che gli eventi che ledono la dignità degli esseri umani non si ripeteranno mai più. Inoltre, il Museo completa questo scopo con il presupposto della sua esistenza, secondo il quale Il Museo della memoria e dei diritti umani è un progetto di riparazione morale per le vittime e propone una riflessione che trascende quanto accaduto in passato e che serve alle nuove generazioni per costruire un futuro migliore di rispetto illimitato della vita e della dignità delle persone.”

Nel discorso inaugurale la presidente Bachelet ha sottolineato che “Non possiamo cambiare il nostro passato, dobbiamo solo imparare da ciò che abbiamo vissuto. Questo museo è uno spazio per la costruzione delle memorie in Cile. E non c’è un solo ricordo del passato. Le persone ricordano in modo diverso, individualmente e collettivamente. Fortunatamente la memoria del Cile è molto più grande e ricca del ricordo della tragedia che commemoriamo in questo museo. Ma quella tragedia è anche una dimensione imprescindibile nella memoria del nostro paese. Una dimensione che dovrebbe farci riflettere su cosa succede quando la democrazia e lo Stato di diritto vengono distrutti. Una dimensione che esorta a sentire che il presente e il futuro sono responsabilità di tutti. Ecco perché questo è uno spazio pubblico per tutto il Cile, per conoscere, valorizzare e imparare. Un posto per preservare la verità e la giustizia che ci è costato così tanto da raggiungere.”

Le polemiche

Fin da quando fu progettato ed inaugurato vi furono polemiche da parte di settori della destra cilena. Che ancora continuano malgrado siano oramai passati 15 anni dalla sua inaugurazione. Uno dei casi più clamorosi è lo scandalo che scoppiò nel 2018 quando vennero recuperate in un libro di tre anni prima alcune dichiarazioni contro il Museo de la memoria fatte dall’appena nominato ministro della cultura Mauricio Rojas del presidente di un governo di destra Sebastián Piñera. “Más que un museo (…) se trata de un montaje cuyo propósito, que sin duda logra, es impactar al espectador, dejarlo atónito, impedirle razonar (…) Es un uso desvergonzado y mentiroso de una tragedia nacional que a tantos nos tocó tan dura y directamente”, ha scritto Rojas nel 2015 nel libro Diálogos de Conversos.

Rojas è stato costretto dal Presidente a dimettersi 4 giorni dopo la nomina a ministro della cultura. Rojas era ai tempi del golpe un esponente del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria), peraltro membri del MIR di allora hanno dichiarato al giornale spagnolo El Pais del 14 agosto del 2018 di non averlo mai conosciuto. Era fuggito in Svezia dove era diventato anche deputato. Il presidente del Cile dichiarò di non condividere le parole di Rojas affermando però che allo stesso tempo che il suo governo non condivideva “la intención de ciertos sectores del país, que pretenden imponer una verdad única y que no tienen ninguna tolerancia y respeto por la libertad de expresión y opinión de todos nuestros compatriotas”.

Una dichiarazione che faceva seguito a molte altre affermazioni negli anni precedenti in cui si sosteneva che il museo doveva essere come dire equidistante e fornire anche le motivazioni storiche sociali e politiche che avevano portato (verrebbe da dire per forza) al golpe con annesse torture, sparizioni e omicidi. Tanto da prefigurare la creazione di un altro Museo ma questa volta della verità. (Piccolo inciso: fanno venire in mente le parole (non dette) da qualcuno in Italia a proposito delle bombe (terroristiche, per carità). Meno male che Mattarella c’è!)

Qualche giorno dopo le dimissioni del ministro fu convocata una manifestazione in appoggio al Museo con le parole d’ordine: “No tuvimos verdad. No tuvimos justicia. No tuvimos reparación. ¿Nos quieren quitar la memoria?” (Non abbiamo avuto la verità. Non abbiamo avuto giustizia. Non abbiamo avuto riparazione. Vogliono toglierci la memoria?)”

Il Museo

Tornando al Museo de la Memoria. Davanti al museo c’è una grande area in cui si organizzano mostre, concerti, incontri. Area che è sotto il livello stradale, si deve scendere una rampa. Su una delle pareti della piazza sono scritti i 30 articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua terza sessione, il 10 dicembre 1948 a Parigi con la risoluzione 219077A.

Articolo 1
Tutti gli esseri umani nascono 
liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 3
Ogni individuo ha 
diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria
persona.
Articolo 5
Nessun individuo potrà essere 
sottoposto a tortura o a trattamento o a
punizione crudeli, inumani o degradanti.

¡Canto qué mal me sales
cuando tengo que cantar espanto!
Espanto como el que vivo
como el que muero, espanto
de verme entre tantos y tantos
momentos del infinito
en que el silencio y el grito
son las metas de este canto.
Lo que veo nunca vi.
Lo que he sentido y lo que siento
hará brotar el momento…
Victor Jara
(Canto, come mi vieni male/ quando devo cantare la paura!/ Paura come quella che vivo,/ come quella che muoio, paura/ di vedermi fra tanti, tanti/ momenti dell’infinito/ in cui il silenzio e il grido/ sono le mete di questo canto./ Quello che vedo non l’ho mai visto./ Ciò che ho sentito e che sento/ farà sbocciare il momento…) (Ultima strofa del testo scritto da Victor Jara nello stadio di Santiago poco prima di essere ucciso. )
Nella vicina stazione Quinta Normal della metropolitana si trova un 
murale di Jorge Tacla realizzato in collaborazione con altri giovani artisti, ispirato ai versi del cantautore Victor Jara.

La visita

Ci sono dei luoghi, tanti luoghi, ai quali ci si avvicina con una grande emozione, con un’ansia, quasi una paura verrebbe da dire per come si reagirà, per come si riuscirà a comprendere, a capire, se è mai possibile, quanto è successo. Se si riuscirà a farsi una idea, molto sfuocata e pallida, di quanto milioni di persone hanno sofferto e continuano a soffrire nei modi più turpi ed atroci che i cosiddetti umani sono stati capaci di inventare. E’ curioso che l’evoluzione abbia portato alla superiorità di una razza animale (che questo siamo) che è in grado di distruggere, uccidere, torturare con grande varietà e fantasia, anche di autodistruggersi. Anche in assenza di una qualsiasi motivazione anche la più aberrante che ci sia.

Sono arrivato alla rampa che porta al primo piano della esposizione permanente de El Museo de la Memoria con grande emozione. Qualche giorno dopo sarei andato a visitare il Palacio de la Moneda. Non si sentiva alcun rumore entrando, c’erano delle persone, ma si sentiva, si percepiva che si stava entrando in un luogo sacro, nel senso dedicato interamente alla descrizione delle atrocità subite da tanta parte del popolo Cileno e per ricordarne la memoria, e per imparare da quanto successo perché non succeda mai più.

Frasi che generazioni di umani hanno sentito ripetere e ripetuto a quelli dopo di loro, invano, si può tranquillamente aggiungere. Sembra del tutto utopico questo atteggiamento positivo di fiducia verso il futuro che viene prontamente smentito, basta guardarsi intorno nel mondo ovvero ripercorrere le tappe della storia dell’umanità. Una delle testimonianze più incredibili presenti (in video) delle centinaia di interviste fatte a persone torturate e a prigionieri, è quella di un detenuto che è stato più volte torturato ma che spiega:

Le torture erano banali all’inizio, fatte dai militari cileni, botte, essenzialmente, pugni, calci, bastonate. Insomma senza inventiva, e con scarsi risultati pratici. Pochi crollavano e fornivano informazioni. Poi sono arrivati i professionisti della tortura, gli agenti speciali USA e quelli brasiliani e in poco tempo i nostri militari cileni hanno imparato le tecniche moderne di allora per la tortura.”

E terminava la sua testimonianza aggiungendo con un sorriso beffardo e guardando dritto nella telecamera, rivolgendosi a tutti noi: “Io sono ancora qui e sono ancora un uomo.”

Al piano terra del grande palazzo una enorme pianta del mondo realizzata con fotografie che indicano quanto siano diffusi i regimi dittatoriali, quante guerre civili o invasioni da stati esterni siano state e continuino a generare una grande mole di violenze, una valanga di crimini contro l’umanità, comprese ovviamente le torture, esecuzioni sommarie, e desaparecidos, con relativo rapimento dei figli delle persone uccise e scomparse.

Nella stessa sala il riconoscimento per le vittime e le loro famiglie del diritto di sapere che cosa sia successo perché ci sia il riconoscimento pubblico della sofferenza subita. In alcuni stati, non moltissimi, sono state via via costituite commissione per accertare la verità, per una possibile riparazione e riconciliazione. Che spesso significa impunità. E’ facile uccidere, sterminare, torturare, mentre la ricerca dei colpevoli, dei legami politici che hanno assicurato la loro impunità risulta spesso impossibile e praticamente non attuabile per tante diverse ragioni. E quindi l’amnistia arriva spesso a sanare, si fa per dire, per ragioni politiche, sociali, religiose, le colpe e cancellare i reati.

Solo una piccola parte dei colpevoli vengono individuati e puniti. Alcuni militari cileni hanno fatto causa allo stato cileno per essere stati costretti a torturare ed uccidere delle persone, e quindi a subire loro un forte stress psicofisico (!).

Nella sala è stata inserita una croce di ferro trasportata dal Patio 29 del Cimitero generale di Santiago, dove erano stati sotterrati i resti delle vittime della dittatura militare. In una vetrina vi sono i rapporti della Commissione nazionale per la verità e la riconciliazione del 1991 e della Commissione nazionale sulla prigionia e la tortura del 2003-2005, noti rispettivamente come Rapporto Rettig e Rapporto Valech.

Le immagini del golpe

Quindi ho iniziato nel silenzio la salita della lunga scalinata che porta al primo piano. Ad un certo punto della scalinata ho cominciato a sentire dei rumori, colpi di cannone e di mitragliatrici, lo scoppio di bombe, degli ordini militari urlati, frasi che si comprendono in qualsiasi lingua del mondo, anche se non si capiscono le singole parole. Sono arrivato in una grande sala. Sulla destra su una parete altissima si vedevano delle immagini, dei volti di persone. Sulla sinistra una parete scura con tre video installati, con scritto sopra che ora fosse e dove si svolgessero gli avvenimenti che si vedevano nei filmati. Insomma una videocronaca degli avvenimenti del golpe in quella giornata del 11 settembre 1973.

Sui tre schermi venivano proiettate immagini dello stesso evento da punti di vista diversi, così da cercare di ricreare nel modo più attendibile possibile la sequenza degli avvenimenti accaduti. Quasi tutto è stato registrato, quasi tutto è documentato. I golpisti stavano liberando il paese dalla dittatura comunista e le gloriose forze armate stavano compiendo in pieno il loro dovere. Bisognava far conoscere al mondo e in primis ai cileni di che cosa erano capaci le forse armate cilene. A partire dal golpe si possono vedere gli effetti delle prime iniziative della dittatura militare. I soldati che combattono attorno al palazzo de la Moneda. La battaglia dura alcune ore perché molte armi erano presenti all’interno del palazzo, compresi bazooka e mitragliatrici.

Solo qualche mese prima era stato tentato un altro colpo di stato da parte di una unità militare meccanizzata di carri armati, da cui il nome di El Tanquetazo. Il golpe contro il governo di Unidad Popular è avvenuto il 29 giugno 1973 da parte di ufficiali dell’esercito cileno, istigati dalla CIA, e fu stroncato, dai soldati fedeli alla costituzione comandati dal Generale Carlos Prats.

Nei giorni successivi al golpe dell’11 settembre circolavano notizie sui giornali e nelle televisioni che il generale Prats stava puntando su Santiago con una colonna di militari fedeli al governo. Non succederà. Carlos Prats era stato comandante in capo dell’Ejército de Chile dal 26 ottobre 1970 al 23 agosto 1973, sotto la presidenza di Salvador Allende. Dopo il golpe Prats va in esilio in Argentina dove viene ucciso nell’ ambito dell’Operacion Condor per l’uccisione di cileni in esilio all’estero. Anche in Italia fu organizzato l’omicidio di Bernardo Leigthon, politico democristiano in esilio che rimase gravemente ferito il 6 ottobre 1975 a Roma. L’Operacion Condor riguardava i servizi segreti di molti paesi del Sud America ed era organizzata dalla CIA se non direttamente dal governo USA...

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